Lo sguardo impenetrabile, severo, magnetico, ci scruta con una perizia psicologica modernissima: è il Ritratto di gentildonna di Giovan Battista Moroni (1575 circa), approdato felicemente da pochi mesi alla Frick Collection di New York, uno dei musei più affascinanti e prestigiosi del Nuovo Mondo. È l’emblema di un periodo fortunato per i ritratti bergamaschi di qua e di là dall’Atlantico, dato che, tra una battuta d’asta e l’apparizione in una mostra, anche un’altra opera di origine orobica, l’Autoritratto di Simone Peterzano, giunge in un museo di primo livello, questa volta l’Accademia Carrara di Bergamo.
Capolavoro della vecchiaia, negli anni in cui il maestro albinese si isola consapevolmente nel paese natìo, il ritratto moroniano inquadra un’anonima gentildonna a mezzobusto, sicuramente esponente dell’alta borghesia o della nobiltà locale in virtù della capigliatura raccolta da fili di perle, dell’elegante gorgiera merlettata, della preziosa collana che le cinge il collo e, soprattutto, del sontuoso abito di broccato con decorazioni auree fitomorfe. Magnate del carbone e dell’acciaio, Henry Clay Frick (1849-1919) è ricordato soprattutto come uno dei più fini e temuti collezionisti d’arte tra Otto e Novecento: fondatore della raccolta che costituisce la colonna portante del suo museo, nel cuore della East Side di Central Park, non riuscì – nonostante lo desiderasse – ad arricchire il suo patrimonio con un ritratto di Giovan Battista Moroni. A colmare questo desiderio è il recente lascito postumo di un altro milionario, Aso O. Tavitian (1940-2020): “businessman” di origini bulgaro-armene, proprietario di una squisita raccolta d’arte e di ritratti in particolare (Parmigianino, Rubens, Salviati, Moroni, Gros, Cranach, Ribera). Mr. Tavitian è stato anche un mecenate e benefattore delle arti, versante in cui è emerso soprattutto per il suo legame strettissimo all’interno del “board” dirigenziale della Frick.
STUDI E RISCOPERTE 1
MORONI E PETERZANO
RITRATTI IN DONO
GRAZIE A DUE PREZIOSI LASCITI, IL RITRATTO DI GENTILDONNA DI GIOVAN BATTISTA MORONI E L’AUTORITRATTO DI SIMONE PETERZANO SONO APPRODATI, RISPETTIVAMENTE, ALLA FRICK COLLECTION DI NEW YORK E ALL’ACCADEMIA CARRARA DI BERGAMO.
Luca Brignoli
Nel 2019, in occasione della prima monografica statunitense che proprio la Frick dedicò a Moroni, il collezionista prestò il suo Ritratto di gentildonna, probabilmente il vertice della ritrattistica femminile moroniana: al dipinto toccò il posto d’onore al centro della Oval Room, confrontandosi con dipinti e oggetti presenti nei ritratti dell’autore, per focalizzare al meglio gli elementi della moda cinquecentesca (spade, libri, gioielli, medaglie, broccati ecc.). Con ogni probabilità risale a quell’occasione il desiderio di Aso Tavitian, all’epoca vicepresidente della Frick, di legare la sua gemma all’istituzione museale. Già nelle proprietà del principe Gagarin a San Pietroburgo, nel 1928 il ritratto di Moroni fu acquistato, su suggerimento del conoscitore Wilhelm Valentiner, dall’ambasciatore cubano negli Stati Uniti, Oscar Benjamin Cintas. Trasferito a L’Avana, alla morte del diplomatico (1957) fu messo in vendita dalla Cintas Foundation, nel 1963; ad acquistarlo fu proprio Tavitian, che nel 2018 aggiungerà alla sua raccolta un altro Moroni – meno penetrante e vertiginoso di Ritratto di gentildonna –, un coevo Ritratto di donna (1575 circa), già ritenuto l’effigie di Isotta Brembati, poetessa bergamasca e seconda moglie di Gian Gerolamo Grumelli (raffigurato nel celeberrimo Cavaliere in rosa), nonché unica dama che ebbe il privilegio di posare ben due volte per Moroni.
In attesa della riapertura della Frick Collection nello storico edificio all’ombra di Central Park (attualmente chiuso per lavori di ristrutturazione e ampliamento degli spazi), il dipinto ha trovato asilo – insieme a un nucleo considerevole di capolavori del museo – in una sede temporanea, la Frick Madison, dove gli oggetti collezionati dal fondatore sono in dialogo e, suggestivamente a contrasto, con l’architettura brutalista di Marcel Breuer.
Se Moroni ha arricchito il museo americano, l’Autoritratto di Simone Peterzano è una delle acquisizioni e delle novità più significative della rinnovata Accademia Carrara, che ha riaperto recentemente i battenti presentando i suoi ben noti capolavori in spazi e con un allestimento moderni, meditati e colorati, degni dei grandi musei internazionali.
Allievo di Tiziano a Venezia, maestro di Caravaggio a Milano, Peterzano è un rappresentante di tutto rispetto nel panorama del tardo manierismo veneto-lombardo: nell’Autoritratto posa per se stesso allo specchio, esibendo il ragguardevole status sociale raggiunto (efficacemente messo in luce dalla barba ben curata e dalla gorgiera all’ultimo grido, come già nell’autoritratto nei Santi Paolo e Barnaba a Listra); ancor più rilevante è l’iscrizione sul parapetto, in cui si firma, dichiarando le proprie radici tizianesche: «SIMON. PETERZANVVS. VENETVS. TITIANI. ALUMNVS. / FECIT. MDLXXXVIIII». Una patente che, mandando a memoria un celebre commento di Roberto Longhi, esprime «una posa, un gesto aulico, una pomposa dichiarazione di quarti nobiliari».
A legare l’Autoritratto alla Carrara è il lascito testamentario degli storici dell’arte Maurizio Calvesi (già primo direttore di “Art e Dossier” dal 1986 al 1995) e della moglie Augusta Monferini: si tratta di un vero e proprio omaggio alla città di Bergamo, in quanto la coppia – cui il museo ha dedicato, in segno di gratitudine, un pomeriggio di studi in loro onore lo scorso 2 maggio – prestò il dipinto alla prima monografica sul pittore, che la Carrara inaugurò il 6 febbraio 2020: un’esposizione sfortunata, chiusa meno di un mese dopo a causa della pandemia Covid-19, che ha flagellato con particolare intensità il territorio bergamasco.
Nel rinnovato allestimento del museo, l’Autoritratto di Peterzano testimonia, insieme a pittori come Gian Paolo Cavagna e Vincenzo Campi, la stagione della ritrattistica bergamasca e lombarda appena successiva agli esiti strepitosi di Moroni, aprendo in una soluzione unica di continuità all’infilata del realismo sei-settecentesco di Ceresa, Baschenis e Fra Galgario: la tradizione pittorica che prima preparò il retroterra e poi continuò la rivoluzione del Caravaggio.
ART E DOSSIER N. 412
SETTEMBRE 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: Il MAGA?: Una fabbrica culturale di Federico D. Giannini; CORTOON:Tecnica mista con conchiglia di Luca Antoccia; GRANDI MOSTRE. 1 - Plessi a Brescia e a Milano- Nozze d’oro di Sileno Salvagnini ; GRANDI MOSTRE. 2 - Iperrealismo a Roma - A onor del vero di Ilaria Rossi