Grandi mostre. 3 
LE CELEBRAZIONI DI PICASSO

IN SPAGNA A SPASSO
COL GIOVANE PICASSO

SULLE TRACCE DI PICASSO: LE SUE RADICI IBERICHE DALL’ANDALUSIA ALLA GALIZIA, DAI PIRENEI A MADRID.

GLORIA FOSSI

NNon una, bensì molte vite ha conosciuto Picasso dal 1881, quando, il 25 ottobre, nasce a Malaga in Andalusia, sino all’8 aprile del 1973, quando muore a Mougins, in Costa Azzurra. Studiare la sua opera gigantesca è un percorso senza fine. Oltre ventimila i dipinti, le sculture, i disegni, i collage, gli assemblage, le incisioni. Nessun artista al mondo vanta il primato di così tanti musei a lui interamente dedicati a Malaga, Barcellona, Parigi, Antibes, Vallauris, Münster. Oltre a questi, altri prestigiosi musei in Europa e oltreoceano, che nell’anno di celebrazioni per il cinquantenario della morte hanno allestito una serie imponente di mostre. Non solo. Luoghi fondamentali, dove sono conservati preziosi documenti, sono anche le sue dimore giovanili andaluse e catalane, oggi istituzioni museali: a Malaga, ma pure negli affascinanti villaggi di Horta de Sant Joan sui Pirenei e di Gósol, a sud di Andorra. Se le sue dimore francesi (Vauvenargues, Boisgeloup, Mougins), ancora degli eredi, sono visibili solo dall’esterno, in Andalusia e nella Catalogna tutto è ben in vista, e ad avventurarsi sulle tracce dei primi anni di Picasso le sorprese non mancano, neppure se si è studiato tanto sui libri e visitato i musei di tutto il mondo.

 
A Malaga, la casa natale in plaza de la Merced, al numero 15, è su due piani, con grandi finestre che incorniciano l’angolo di un bel palazzo intonacato di giallo chiaro. Sul marciapiede, davanti al portone che a malapena si scorge, ci sono i tavolini di un ristorante. Certo, non doveva essere così ai tempi di Picasso nella Malaga del flamenco, delle chitarre gitane, della corrida.

Torre di Ercole (II secolo d.C., restaurata tra XVII e XVIII secolo), La Coruña (Galizia).

La grande arena ad anfiteatro nella plaza de Toros, nei pressi della frequentatissima spiaggia della Malagueta, dista in linea d’aria tre chilometri. Per comprenderne l’ampiezza vale la pena salire sui verdeggianti speroni dell’antico Alcazar: circondata ormai da grattacieli, l’arena oggi ospita le fotografie con Picasso maturo di Edward Quinn. Ma è qui che il giovanissimo Pablo, accompagnato dal padre, veniva ad ammirare lo spettacolo cruento di toreri, picadores, cavalli e tori. Chi oggi ama gli animali non può sopportare l’odore di sabbia intrisa di sangue e di morte, le urla e l’eccitazione, ma non si può prescindere dalla corrida malagueña per comprendere il grande artista andaluso, e quel perenne conflitto fra Eros e Thanatos che sin dalle prime prove della gioventù accompagnerà le sue opere: sin dal primo dipinto che si conosca, realizzato a circa nove anni qui a Malaga, e proprio qui, nella casa di plaza de la Merced (oggi custode di tanti cimeli come i suoi soldatini di piombo donati dalla figlia Maya, il vestitino del battesimo, oltre a una cospicua raccolta grafica e fotografica). Stiamo parlando della piccola tavoletta di cedro, conservata da Picasso per tutta la vita, ricavata da una scatola di sigari, dipinta a olio, col Picador amarillo, qui illustrata a p. 29.


Per tradizione il picador sta a cavallo e deve “preparare” il toro alle ferali minacce del torero. È vestito di giallo (“amarillo” in spagnolo) con ricami in oro sul gilet e porta un grande cappello. Il dipinto non è un capolavoro, è in sintonia con quanto altri bambini saprebbero fare, e pare che a far risaltare gli occhi del “cavaliere” sia stata la sorella Lola bucando e grattando la superficie. Tuttavia è indice precoce di una delle principali passioni di Picasso, l’“afición”, come dicono gli spagnoli, per la corrida.

Quando Pablo nacque parve subito un miracolo, perché i primi vagiti stentavano ad arrivare, e solo il fumo del sigaro dello zio Luís sembrò svegliarlo alla vita. Figurarsi, lui che poi ha vissuto tanto a lungo. Nella casa di Malaga, prima ancora di parlare correttamente, Pablo chiedeva solo una cosa: “lá-piz”, una matita. Più grandicello ritrarrà i genitori, la sorellina Lola, la piccola Conchita, e già in quei dipinti mostrerà una maturità notevole, un talento indiscusso. Patria di Picasso, oggi meta di turismo sfrenato, Malaga ospita, a pochi passi dalla dimora natale dell’artista, nella città vecchia, lo straordinario Museo Picasso Málaga, in un affascinante palazzo cinquecentesco in calle San Agustín. Qui troviamo dipinti di una bellezza indicibile, molti dei quali poco noti e poco pubblicati, come le due tele raffiguranti due donne, l’una di schiena, l’altra frontale, realizzate nel 1906 fra Gósol e Parigi e in prestito temporaneo dalla Fundación Almine y Bernard Ruiz-Picasso.
Le prime prove di precoce maturità artistica risalgono però a molto tempo prima, agli anni trascorsi in Galizia, a La Coruña, sulla costa atlantica battuta dal vento e dalla pioggia. Qui la famiglia si era trasferita nel 1891. E qui, a soli dodici anni, Pablo era stato ammesso a frequentare i corsi di disegno della Scuola di belle arti. Cominciava allora a disegnare come Raffaello. Gli ci vorrà una vita, come dirà in una famosa “boutade” nel 1946, per tornare a dipingere come un bambino. Per i familiari creò, ancora in tenera età, perfino due riviste, manoscritte: pagine bellissime, piene di caricature, disegni dal vero, accompagnati da brevi commenti non privi di ironia. I pochi fogli settimanali (oggi al Museu Picasso di Barcellona) uscivano la domenica. In uno di questi spicca il disegno a matita di una torre, che su suggerimento del padre il giovanissimo artista chiama «Torre del caramello». È una sorta di caramella gigantesca, raffigurante un faro di origine romana (Torre di Ercole, il vero nome) sulla scogliera percorribile a piedi per diversi chilometri in un itinerario di rara bellezza naturalistica.


Il Mas de Burot (1898 circa), Parco naturale dels Ports, Horta de Sant Joan (Tarragona).

La città, in lontananza, è oggi un enorme agglomerato di case e grattacieli. Resta però la casa dove Pablo abitò con la famiglia. È in pieno centro, in calle Payo Gómez, poco distante da plaza d’España. All’esterno è un anonimo edificio, con la facciata stretta fra altri casamenti, un balconcino in ferro battuto affacciato sulla strada. Al secondo piano, attraverso strette scale di legno, si visitano le stanze un poco claustrofobiche della sua infanzia. Certo più vivace dovette essere la vita nella Barcellona modernista, dove Pablo visse a più riprese, dal 1895 al 1903. Ma qui voglio soffermarmi sui due villaggi di Horta de Sant Joan e di Gósol. I percorsi didattici nel Centro Picasso di Horta e in quello di Gósol sono ben fatti, e quest’ultimo offre anche una biblioteca fornitissima. Picasso era andaluso, ma un’anima in parte catalana l’ha senza dubbio avuta. Parlava il catalano con quella cadenza inconfondibile, che aveva imparato nel 1888. A Horta Pablo aveva trascorso quasi un anno, ospite dell’amico Manuel Pallarés. «Tutto quello che so l’ho imparato a Horta», dirà da anziano. A visitare questo incantevole paesino fuori dal tempo, circondato da aspre montagne, non si fatica a crederlo. Nei dintorni, selvaggi e immutati, si trova ancora qualche fattoria isolata in mattoni e le porte dipinte a calce in giallo, bianco o azzurro, come il Mas de Burot e il Mas de Quiquet, ora molto ristrutturato, che fra 1888 e 1889 Pablo aveva dipinto su una piccola tela conservata al Museu Picasso di Barcellona, qui a pagina 31.

Horta diventerà, nel secondo viaggio del 1909, il paesino cubista per eccellenza: le sue case squadrate lo ispirarono, nell’estate di quell’anno, quando vi giunse con la compagna Fernande. Ecco allora i primi paesaggi cubisti, con la cisterna, la fabbrica di mattoni con la ciminiera (c’è chi dice sia un frantoio), e le palme. Con Fernande, compagna della bohème parigina a Montmartre, Picasso era stato ancor prima a Gósol, in un viaggio faticosissimo, a dorso di mulo, nel 1906. È faticoso per me che vi arrivo da Tarragona sotto una pioggia battente, con l’automobile, e mi domando come avrà fatto Fernande sul mulo, con il cappello alla moda, impacciata nel lungo vestito, stretto in vita e con l’ampia gonna. Eppure, non si lamentò, e Picasso vi trascorse un’estate feconda, realizzando opere ispirate a un classicismo atavico, alle sculture iberiche preromane e al romanico catalano.

Pur avendo vissuto soprattutto in Francia, Picasso è rimasto spagnolo: in parte andaluso, in parte catalano, un poco castigliano, dato che nel 1936 fu nominato direttore “in absentia” del Museo del Prado. E dire che al Prado – dove troviamo la più ampia raccolta di El Greco, Velázquez, Goya – non è più tornato, né ha più messo piede in Catalogna dopo il 1934. Né in Andalusia, dal 1901. Penso all’accento francese di Picasso, quando in Costa Azzurra chiederà, nel 1957, ad alcuni artisti malagueñi: «Com’è plaza de la Merced? Ci sono ancora le panchine di marmo? Quante volte mi sono scorticato le ginocchia cercando di saltarci sopra!». Chissà se con loro parlò andaluso. La panchina esiste ancora, e ci si siede per un selfie accanto a una scultura in bronzo che raffigura l’artista anziano. Non so se gli farebbe piacere.

LE MOSTRE IN SPAGNA

La Spagna celebra il cinquantenario della morte di Picasso con una serie di mostre sotto l’egida della Celebración Picasso 1973-2023, in collaborazione con il Musée National Picasso-Paris e il governo spagnolo. Cominciamo da Malaga, la terra natale. Due le esposizioni al Museo Picasso Málaga, nel cinquecentesco Palacio de Buenavista: Picasso escultor. Materia y cuerpo (fino al 10 settembre), con una selezione di sculture dagli anni Venti agli anni Sessanta che chiariscono il ruolo primario, in Picasso, del corpo umano come insieme e come frammento; Metamorfosis perpetua espone nello stesso museo (fino al 19 settembre) dipinti, disegni e sculture del secondo dopoguerra, a illustrare la genesi e gli sviluppi di opere seminali, come la Donna incinta, a partire dai primi schizzi alle radicali trasformazioni. Rinnovate, nel museo, anche le stanze della collezione permanente (Diálogos con Picasso. Collección 2020-2023, sino al 31 dicembre). Al Museo Casa Natal Picasso Málaga la mostra Las edades de Pablo (fino al 1° ottobre) documenta, con una scelta di opere, l’intero percorso cronologico e stilistico dell’artista. Questo museo ha prestato, inoltre, una cospicua raccolta grafica e fotografica per la bella mostra Picasso. Le origini del mito (Sarzana, La Spezia, Fortezza Firmafede, fino al 16 luglio) e per Picasso metamorfico (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna, fino al 5 novembre), quest’ultima priva però di catalogo e didascalie, e di una benché minima spiegazione. A Madrid (dove è imprescindibile anche una visita al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, per ammirare Guernica), il Museo del Prado si occupa delle non sporadiche influenze di El Greco, in particolare sul Picasso del cubismo analitico, relazione finora poco esplorata (Picasso, El Greco y el cubismo analítico, fino al 17 settembre). A Barcellona, infine, il Museu Picasso il 19 ottobre prossimo inaugura Miró-Picasso (fino a febbraio 2024). Il cinquantenario della morte dell’artista andaluso coincide di fatto con i quarant’anni dalla morte dell’ottantenne artista catalano (1983).

ART E DOSSIER N. 412
ART E DOSSIER N. 412
SETTEMBRE 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: Il MAGA?: Una fabbrica culturale di Federico D. Giannini; CORTOON:Tecnica mista con conchiglia di Luca Antoccia;  GRANDI MOSTRE. 1 - Plessi a Brescia e a Milano- Nozze d’oro di Sileno Salvagnini ; GRANDI MOSTRE. 2 - Iperrealismo a Roma -  A onor del vero di Ilaria Rossi