Studi e riscoperte 2
LE CERE BOLOGNESI
DEL SETTECENTO

a prima vista,
sembran vive

Marta Santacatterina

TUTTO INIZIÒ NEI LABORATORI DI ANATOMIA, NEL SETTECENTO A BOLOGNA, QUANDO PER SCOPI SCIENTIFICI FURONO CREATI MODELLI UMANI IN CERA. DA LÌ SI DIFFUSE BEN PRESTO LA PRODUZIONE DI OPERE IN CEROPLASTICA COSÌ FEDELI AI PERSONAGGI RITRATTI DA SEMBRARE “PIÙ VERE DEL VERO”.

«Prense il Lelli due scheletri umani, e posti negli ideali atteggiamenti, con canapa inzuppata di cera mischiata con semola, e trementina, cominciò a foggiare i vari muscoli, e ad affigerli a’ loro luoghi imitando colla più scrupolosa esattezza il vero ed il naturale, cui aveva sempre sott’occhio»(1). Così scriveva l’anatomista Michele Medici nel 1856 a proposito dei modelli umani in cera richiesti a Ercole Lelli dall’Accademia delle scienze nel 1742 e che ancora oggi sorprendono i visitatori del Museo di palazzo Poggi a Bologna. L’impresa potrebbe a buon diritto essere considerata come il punto di partenza di una produzione artistica che si affermò nel capoluogo emiliano del Settecento con esiti eccellenti, divenendo in breve tempo un’autentica moda. Mutati i gusti, le cere vennero poi relegate in luoghi poco visibili, forse a causa del sottile disagio che suscitano, sembrando a prima vista “vive”. A riportare l’attenzione sulla ceroplastica felsinea è intervenuta una recente mostra, ospitata a Bologna al Museo Davia Bargellini e al Museo di palazzo Poggi , che ha contribuito sia a nuovi studi sia a una generale revisione delle attribuzioni delle opere.

L’affascinante vicenda, che peraltro ha anche un “lato pink” tutto da scoprire, prese avvio nel contesto degli studi di anatomia umana: allora, infatti, le dissezioni dei cadaveri ai fini della ricerca scientifica erano piuttosto rare e il ricorso a un materiale duraturo e capace di imitare perfettamente l’aspetto dell’organismo umano poteva efficacemente risolvere parecchi grattacapi. Ecco allora la decisione di rivolgersi a Lelli per la realizzazione di una serie di figure di cera destinate alla Sala di notomia dell’Accademia delle scienze. L’artista, nato nel 1702 a Bologna e dotato di grande talento per il disegno, manifestò ben presto la predilezione per il rilievo anatomico e orientò i suoi studi alla miologia e alla osteologia, frequentando anche le sale settorie degli ospedali cittadini. Dopo quasi dieci anni dalla firma del contratto del 1742, lo scultore presentò otto modelli a grandezza naturale, cioè un nudo di donna, uno di uomo e sei “scorticati” che mostrano i vari strati muscolari del corpo, fino agli scheletri. Ad aiutare Lelli giunse inoltre, dalla bottega dello scultore Angelo Gabriello Piò, Giovanni Manzolini che dopo circa tre anni aprì un proprio atelier in cui collaborava pure la moglie Anna Morandi. Alla morte di Manzolini, fu lei a prendere in mano il laboratorio, specializzandosi proprio nelle cere anatomiche – nonostante quell’attività fosse ritenuta assai poco consona al genere femminile – e raggiungendo livelli di altissima qualità, soprattutto nella riproduzione degli organi di senso.

All’abilità di Anna Morandi si devono i busti del marito, intento a sezionare un cuore, e di lei stessa, vestita con eleganti abiti in seta rosa adorni di pizzi e gioielli, alle prese con un cranio umano del quale ha già scoperto parte del cervello. Impressionante? Senza dubbio, ma questo autoritratto dalla forte valenza simbolica «coglie il momento in cui le mani della Morandi stanno per “impossessarsi” del fulcro essenziale dell’intero essere umano»(2). La dotta Bologna non tardò a riconoscere la straordinarietà dei suoi lavori: “Lady Anatomist” fu aggregata ad honorem all’Accademia clementina e ricevette uno stipendio per tenere lezioni a casa e all’università.

I due busti di Morandi ci introducono al tema dei ritratti. Protagonisti della stagione d’oro della ceroplastica bolognese furono anche Angelo Gabriello Piò, Filippo Scandellari, che fu suo allievo, Luigi Dardani e Nicola Toselli, che riuscirono a mettere a punto un’elaborata tecnica di origini antiche grazie alla quale la cera colorata – arricchita con capelli, barbe, peli autentici, senza dimenticare le vesti e gli accessori – dava luogo a ritratti anatomicamente perfetti: Andrea Emiliani li definì intrisi di «una vitale presenza, un’allusione sconcertante all’umano»(3).


Filippo Scandellari, Ritratto di Anna Maria Calegari Zucchini (1742), particolare.


Nicola Toselli, Ritratto del conte senatore Paolo Patrizio Zambeccari (dopo il 1756), particolare.


Ercole Lelli, Figura femminile in piedi (1742-1751 circa), Bologna, Museo di palazzo Poggi.


IL RITRATTO IN CERA ERA ORMAI UN GENERE AMBITO DALLE FAMIGLIE BOLOGNESI PIÙ ABBIENTI, QUASI QUANTO LE PARRUCCHE SONTUOSE E ARRICCIATE CHE ORNAVANO I CAPI DEGLI ILLUSTRI CITTADINI


Il ritratto in cera di Anna Maria Calegari Zucchini è il primo esemplare documentato. Il busto, commissionato a Piò ma realizzato da Scandellari, è contenuto in una “macchina scenica” realizzata ad hoc e reca sui lati motivi floreali, un richiamo alle “soavissime fragranze” percepite da coloro che si avvicinavano al corpo dell’anziana serva di Dio, morta in odore di santità. A “Madonna Anna” si lega la figura di padre Ercole Isolani, la cui famiglia incaricò Scandellari di creare un busto, riprendendo verosimilmente un calco in gesso del volto preso post mortem. Sarà per lo sguardo rivolto verso il basso, per il viso ossuto, per il sorriso appena accennato e che contrasta con la veste e il largo cappello entrambi neri, ma la sua visione provoca un brivido di inquietudine. Resistendo alla tentazione di volgere altrove lo sguardo, si possono notare le unghie sporche e smozzicate, la pelle sottilissima e macchiata a causa della vecchiaia, i peli della barba rasata.

Altri esempi di pregio sono gli elegantissimi ritratti di Carlo Francesco Dotti (attribuiti a Piò) e di Paolo Patrizio Zambeccari realizzato da Nicola Toselli. Il primo fu l’architetto del santuario di San Luca di Bologna: lo documentano la scritta sul foglio arrotolato tenuto in mano dal personaggio, il cartiglio posto sullo scarabottolo dalle forme sinuose e la riproduzione degli strumenti del mestiere. Il secondo, un conte senatore. L’opera che lo rappresenta, realizzata dopo il 1756, è una raffinata testimonianza di come il ritratto in cera fosse ormai un genere ambito dalle famiglie bolognesi più abbienti, quasi quanto le parrucche sontuose e arricciate che ornavano i capi degli illustri cittadini, sia da vivi sia nel loro ricordo “inscatolato”.

Curioso il caso di monsignor Francesco Zambeccari, del quale si sono conservati due ritratti eseguiti entrambi da Luigi Dardani: il primo, che lo immortala con la mantellina rossa e lo zucchetto sul capo, fu commissionato attorno al 1750 dallo stesso gesuita bolognese che poi lo donò alla Libreria pubblica di Santa Lucia (oggi è al Museo Davia Bargellini). Il secondo, in collezione privata, raffigura il prelato più anziano e costituisce un ricordo destinato alla fruizione privata della sua famiglia.

Allo stesso Dardani si devono due esempi di ritratti devozionali per la chiesa di Santa Maria in Galliera: San Carlo Borromeo e San Filippo Neri sono tra i pochi sopravvissuti di un genere di manufatti che a quei tempi dovevano essere assai diffusi. Ma la ceroplastica bolognese si espresse anche nelle cosiddette “teste di carattere”, come quelle di Scandellari che non edulcora i difetti fisici dei contadini vestiti a festa, e anzi gioca bonariamente con il loro sorriso sdentato, con i nei e le verruche da cui spuntano peli ispidi o barbe mal rasate. Ma i fiori di cui si ornano addolciscono il loro semplice status e le espressioni marcate suscitano immediata simpatia. E pensare che a Bologna tutta questa varietà di generi, stili, destinazioni nacque dall’esigenza di disporre di imitazioni “più vere del vero” dei cadaveri...


Filippo Scandellari, Testa di villana che ride (1750 circa), particolare, Madrid, Museo Nacional del Prado.


Filippo Scandellari, Ritratto di padre Ercole Maria Giuseppe Isolani (1756-1757), particolare.


Luigi Dardani, San Carlo Borromeo (prima del 1765), particolare, Bologna, Santa Maria di Galliera.


Luigi Dardani, Ritratto di monsignor Francesco Zambeccari (1762-1767), particolare.


Ercole Lelli, Sala delle cere anatomiche, Bologna, Museo di palazzo Poggi.

LE CERE DELLA SPECOLA ALLA FONDAZIONE PRADA

Il corpo e le sue possibili mutazioni e contaminazioni sono per il regista David Cronenberg la base di partenza della sua produzione cinematografica. Una ricerca e una riflessione sul corpo che viene offerta alla Fondazione Prada di Milano in Cere anatomiche. La Specola di Firenze - David Cronenberg (fino al 17 luglio; www. fondazioneprada.org). In mostra tredici ceroplastiche del XVIII secolo, realizzate per scopi didattici, insieme a settantadue copie di disegni anatomici provenienti dalla raccolta del museo fiorentino, attualmente chiuso per ammodernamenti, e un cortometraggio inedito di Cronenberg, intitolato Four Unloved Women, Adrift on a Purposeless Sea, Experience the Ecstasy of Dissection.



ART E DOSSIER N. 411
ART E DOSSIER N. 411
LUGLIO-AGOSTO 2023
In questo numero: CAMERA CON VISTA: Piccole lingue madri di Luca Antoccia; STORIE A STRISCE: Il mondo nel disegno di Sergio Rossi; GRANDI MOSTRE. 1 - Le celebrazioni di Picasso - Sulle tracce di Picasso di Gloria Fossi ; GRANDI MOSTRE. 2 - Futurismo a Otterlo - Radicali e bellicosi di Claudio Pescio