Letture iconologiche
La notte
buongiorno,
notte
Rossana Mugellesi, Stefania Landucci
Buongiorno, notte è il titolo del film del 2003 in cui Marco Bellocchio racconta il delitto Moro attraverso gli occhi e la mente di una sequestratrice, Chiara. La dimensione del racconto è onirica, «un sogno, che altro?»: non un film d’indagine ma la rilettura personale del tragico evento che alla fine vede Moro allontanarsi per le vie di Roma. L’accostamento giorno/notte è infatti irreale, come lo era nella poesia di Emily Dickinson a cui Bellocchio si è ispirato(1). Giorno-luce del sole-vita / Notte-ombra nera- silenzio: René Magritte ha provato in diverse opere a dare forma a questa duplicità di immagini ed è famosa la coesistenza dei due inconciliabili elementi in rappresentazioni surreali ma coinvolgenti. Ricordiamo qui il suo L’uomo e la notte (1964), o L’impero delle luci (1953-1954).
Diverso l’approccio a questo tema in un’opera meno nota dell’artista, Il significato della notte (1927): un uomo e la sua ombra(2), forse la sua anima, su uno sfondo quasi indecifrabile, inquietante, dove il buio evoca incubo e spavento.
Così gli antichi temevano la dea Notte che volava nel cielo oscuro avvolgendo il mondo con il suo mantello ora nero, ora blu profondo trapuntato di stelle; Esiodo, nella Teogonia la annovera tra le più antiche divinità cosmiche, personificazione della notte terrestre, insieme al fratello Erebo, ovvero l’oscurità infernale.
Bellissima La notte di Auguste Raynaud con le forme morbide di una fanciulla dai lunghi capelli che leggera si muove nello spazio, lontana da ansia e inquietudine.
Più conturbante invece La notte di William-Adolphe Bouguereau che si solleva sulla terra, avvolta da un manto scuro che ne lascia scoperta gran parte del sensuale corpo mentre con le braccia sembra difendersi da un pericolo forse annunciato dall’uccello che la sovrasta.
Una veste di velluto scuro foderata di nera pelliccia su uno sfondo altrettanto cupo con l’unica concessione di un tappeto rosso porpora avvolge la giovane moglie di Pieter Paul Rubens, pittore della magnificenza e del colore che in Hélène Fourment esce dal bagno (La piccola pelliccia) ritrae la moglie come una Venere rinascimentale e ne esalta il corpo lucente e formoso. Nel contrasto con il nero della notte la donna sembra ritrovarsi e ricambiare con complice intimità lo sguardo dell’osservatore, mentre l’oscurità esalta la luminosità del morbido corpo per un effetto di sontuoso e insieme raffinato erotismo.
La progenie della Notte, numerosa e potente, si rivela profondamente incisiva per la vita degli uomini: Hypnos (Sonno) è suo figlio, come pure Thanatos (Morte)(3), molto simili, vicini nell’opera La notte e il sonno della preraffaellita Evelyn de Morgan, ove Notte fluttua con una veste rossa e un mantello svolazzante quasi a oscurare il cielo dietro di sé, mentre il figlio, a lei abbracciato, è figura anch’essa languida intenta a spargere papaveri(4) sulla terra.
Così si legge nella Teogonia di Esiodo: «Dal Caos nacquero l’Erebo e la Notte nera, nacquero l’Etere e il Giorno dalla Notte che li concepì unita nell’abbraccio con l’Erebo […].
La Notte generò […] Thanatos, generò Hypnos, generò la stirpe dei Sogni, senza unirsi a nessuno la Notte tenebrosa li generò […] poi la Notte funesta generò Nemesis, sciagura per gli uomini soggetti alla Morte». Nella visione antica era dea primordiale, temuta dallo stesso Zeus, e il Pittore di Saffo nel 500 a.C. l’aveva rappresentata in un vaso a figure nere, Il carro di Nyx, avvolta nel suo mantello scuro mentre percorre il cielo trainata da quattro cavalli.
Ancora la Teogonia torna sul legame inestricabile che unisce la Notte al Giorno. La sua dimora è terribile ma i due si parlano, si alternano, l’uno illuminando le cose, l’altra nascosta in una nuvola di tenebre.
Il nero è il colore della notte, del buio, dell’oscurità: la lingua latina distingueva una duplice terminologia, “ater”, il nero opaco, e “niger”, il nero brillante; mentre il primo, di derivazione etrusca, è rimasto a lungo l’aggettivo più usato assumendo poi dal II secolo a.C. una connotazione negativa, il secondo allude invece al giungere dell’oscurità e delle tenebre. Come sostiene Michel Pastoreau(5), nel campo dei colori il rapporto con la luce resta primario; il nero è all’inizio ambivalente: opaco e brillante, scuro e chiaro.
Da una parte, dunque, gli antichi vedevano la Notte come divinità rovinosa, oscura, pronta a scatenare la sua ira contro gli uomini e già Omero la definiva tale; dall’altra, come nel lirico Alcmane, se ne esaltava la quiete e la si considerava benevola. Nella letteratura classica, accanto alla sua descrizione come momento di sospensione dagli affanni, essa poteva rappresentare lo scenario del dolore e dell’inquietudine, specie di donne “appassionate”. Nell’Eneide di Virgilio per la regina Didone «che mai si abbandona al sonno, o accoglie la notte negli occhi o nell’animo, raddoppiano i tormenti, e di nuovo insorgendo l’amore imperversa, e fluttua con grande tempesta di ire»; e nelle Metamorfosi di Ovidio, Mirra, divorata dalla passione incestuosa per il padre Cinira, prima avrà la notte silenziosa spettatrice delle sue angosce e poi complice: «Si avvia al misfatto. Fugge dal cielo la luna d’oro, nubi nere ricoprono le stelle, che dileguano, la notte resta priva dei suoi fulgori. […] Ma lei va, e le tenebre e il nero della notte attenuano la vergogna»(6).
Tale duplicità di visione è riscontrabile anche nella tradizione artistica. Se, come abbiamo visto, Raynaud dipinge la Notte dolce e rassicurante, non così altri pittori che ora l’associano all’inquietudine (i romantici tedeschi), ora alla solitudine esistenziale (Hopper), ora l’accostano al giorno in un rapporto onirico (Magritte). Parimenti la letteratura moderna indulge alla complessità del tema: la si associa a momenti di serenità o passione, come si legge in La notte di Guy de Maupassant: «Amo la notte con passione.
La amo come si ama il proprio paese o la propria amante, di un amore istintivo, profondo, invincibile». Oppure viene collegata alla follia della guerra che ha visto Ungaretti soldato: nella poesia I fiumi – «ora ch’è notte e / che la mia vita mi pare / una corolla di tenebre» – traspare l’idea di qualcosa di assoluto attraverso una dolorosa vicenda che assimila la vita a una notte che unisce l’esperienza privata all’universalità della storia.
«Un tempo il nero non era considerato bello, / o se lo era non portava il nome di Bellezza: / ora invece è di questa il legittimo erede»: nel sonetto 127 William Shakespeare si riferisce ai capelli e agli occhi neri dell’amante per esaltarne la bellezza, ma potremmo allargare il concetto proprio alla dimensione poliedrica della notte che da tormento si trasforma in pace, un’oscurità che può diventare significativa, soggettivamente interpretabile.
Così sembra parlarci il Quadrato nero su fondo bianco di Kazimir Severinovič Malevič, l’artista russo che indicò il 1913 come anno della nascita del quadrato suprematista (in realtà era del 1915), il “punto zero” della pittura: il dipinto ha come titolo anche La vittoria sul sole, il trionfo della notte sul giorno, l’inizio, una sorta di caos primordiale in veste moderna.
E infine nella ricercata oscurità di una fotografia di Elliott Erwitt appare suggestiva la statua che svetta leggera sulla cupola del castello di Charlottenburg a Berlino: immortalata come la dea Fortuna, non sembra invece evocare la postura della dea Notte, corredata del manto nero e sovrastata dalla luna? Quasi una moderna riproduzione dell’antica divinità.
Virginia Woolf, Gita al faro
ART E DOSSIER N. 411
LUGLIO-AGOSTO 2023
In questo numero: CAMERA CON VISTA: Piccole lingue madri di Luca Antoccia; STORIE A STRISCE: Il mondo nel disegno di Sergio Rossi; GRANDI MOSTRE. 1 - Le celebrazioni di Picasso - Sulle tracce di Picasso di Gloria Fossi ; GRANDI MOSTRE. 2 - Futurismo a Otterlo - Radicali e bellicosi di Claudio Pescio