Studi e riscoperte 3
MICHELANGELO GIOVANE

UN’INDOLE SCOLPITA
NEL MARMO

Se condivi e vasari danno versioni diverse sulla prima formazione di Michelangelo, entrambi confermano la presenza dell’artista, già adolescente, nel giardino di San Marco, a Firenze. Una sorta di accademia ante litteram, con una collezione di sculture antiche, di proprietà di Lorenzo de’ Medici, dove il giovane allievo realizza due capolavori, che guardano sì a maestri del passato, come Donatello, ma che vanno anche oltre.

Maurizia Tazartes

Preferiva la scultura alle altre arti perché era stato allattato a Settignano (Firenze) da una balia che gli dava il «latte impastato con la polvere di marmo», spiegava Michelangelo. La nutrice, figlia e moglie di scalpellini, viveva in una terra di cavatori, dove si estraeva la pietra serena utilizzata nella costruzione degli edifici. Lì si era trasferito il padre dell’artista, podestà del Castello di Chiusi (Siena) e di Caprese (Arezzo), di origine fiorentina e patrizia, col neonato Michelangelo, secondo di cinque figli.

Non fu certo una gioia per il genitore, Ludovico di Leonardo Buonarroti, che il figlio si dedicasse a un’arte “meccanica”. Avrebbe preferito che ottenesse un incarico nei pubblici uffici. Ma Michelangelo, la pietra l’aveva nel sangue e la spuntò contro la resistenza paterna, secondo la biografia di Ascanio Condivi, redatta con lo stesso artista. Michelangelo avrebbe avuto quindi una prima formazione autonoma, presso cavatori, tagliatori di pietra e scalpellini.

Secondo la testimonianza di Vasari, invece, il ragazzo dodicenne sarebbe stato accompagnato dal padre nella bottega di Domenico Ghirlandaio, la più importante di Firenze, per poter imparare l’arte e riscuotere un piccolo salario, utile alla numerosa famiglia. Lo storico aretino accompagna le sue affermazioni con documenti e ricordi. In quella bottega il ragazzo si sarebbe distinto per la bravura nel disegno, osservando con attenzione artisti del passato come Giotto e Masaccio.

Certo è che tra i quindici e i diciassette anni, tra 1490 e 1492, Michelangelo si trova a Firenze a lavorare la scultura nel giardino di San Marco, di proprietà di Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, come sostengono in accordo Condivi e Vasari. Una specie di cantiere verde, nella nota piazza omonima, dove tra logge, viali, stanze, si ammassavano reperti antichi, greci e romani, provenienti da Roma, Napoli e Venezia. «Era Michelangelo, quando andò in casa del Magnifico, d’età d’anni quindici in sedici, e vi stette fin alla morte di lui, che fu nel novantadue, intorno a due anni», ricorda Condivi. Il Magnifico lo ospita in casa sua, lo ammette alla sua tavola, con i figli Piero, Giovanni, Giuliano e illustri personaggi.

Nel giardino di San Marco, vero e proprio laboratorio all’aria aperta, dove i giovani si provavano sotto la guida di Bertoldo di Giovanni, già allievo di Donatello, Michelangelo si fa davvero le ossa. Guarda le antiche sculture, sbozza e scolpisce secondo il suo genio. Fa la famosa Testa di fauno, che il mecenate fiorentino gli corregge per la dentatura troppo perfetta, irrealistica in un vecchio. E il ragazzo si affretta a rimediare togliendole un dente e trapanandole una gengiva, con gran divertimento di Lorenzo.

A lavorare nel giardino di San Marco, c’erano altri giovani, tra cui Bugiardini, Granacci, Rustici, Baccio da Montelupo, Sansovino, Torrigiani. Una scuola moderna, la cui esistenza aveva lasciato scettici, negli anni Sessanta del Novecento, storici dell’arte come André Chastel. Ma successivamente le ricerche archivistiche di Ludovico Borgo, Ann H. Sievers e Caroline Elam ne avevano rintracciato ubicazione e funzione consentendo di documentare il giardino sino agli anni Settanta del Quattrocento. Era poi arrivata l’importante mostra del 1992 in Casa Buonarroti (Firenze) – Il giardino di San Marco. Maestri e compagni del giovane Michelangelo, a cura di Paola Barocchi – a restituirne la piena realtà e a confermare il racconto di Condivi e Vasari.

Da allora si sono affinati gli studi su questo primo periodo di Michelangelo, in particolare sui due famosi marmi giovanili, la Battaglia dei centauri e la Madonna col Bambino (Madonna della scala), realizzati nei due anni passati nell’“orto” del Magnifico. Brillano ancora in una sala, al primo piano di Casa Buonarroti in via Ghibellina, per secoli abitazione della famiglia, diventata museo nel 1964. La Fondazione Casa Buonarroti ha dedicato ai due capolavori giovanili un volume, Michelangelo: le opere giovanili. Nuove acquisizioni (Roma 2022), a cura di Cristina Acidini e Alessandro Cecchi, con saggi di vari studiosi (dei quali riportiamo, nelle prossime righe, alcune parti), che ne illustrano il restauro del 2021, le relative indagini, la tecnica di esecuzione, il significato e la musealizzazione.


Michelangelo Buonarroti, Madonna col Bambino (Madonna della scala) (1490 circa), particolare, Firenze, Casa Buonarroti.


Michelangelo Buonarroti, Battaglia dei centauri (1490-1492), Firenze, Casa Buonarroti.


Michelangelo Buonarroti, Madonna col Bambino (Madonna della scala) (1490 circa), Firenze, Casa Buonarroti.

Donatello, Madonna col Bambino (Madonna del Pugliese - Dudley) (1440 circa), Londra, Victoria and Albert Museum.


Donatello, Madonna delle nuvole (1425-1435), Boston, Museum of Fine Arts.

La prima cosa che ancora colpisce è che un ragazzo di quindici-diciassette anni, per quanto bravo, fosse in grado di una lavorazione così raffinata e non facile. Nella Madonna col Bambino (Madonna della scala) (56,7 x 40,1 cm), del 1490 circa, in una sottile lastra di marmo (profonda da 2, 5 a 4 cm) Michelangelo affronta la tecnica dello “stiacciato”, introdotta da Donatello.

«Una lavorazione delicatissima», scrive Daniela Manna, eseguita con strumenti di piccole dimensioni e solchi di circa un millimetro, che rivelano la volontà e capacità di creare volumi e incavi giocando con la luce. Michelangelo riesce a rendere grandiose le figure in uno spazio ristretto, morbido il manto della Madonna, che ricade fluido intorno al Bambino stretto contro il suo seno allattante. I putti giocosi, che si arrampicano sulla scala, contrastano con gli scalini e il sedile di Maria, minimali e spigolosi. 

Nella Battaglia dei centauri del 1490-1492, eseguita su una lastra marmorea spessa fra i 6 e i 17 cm, le figure si pongono su piani diversi, secondo i dettami di Vasari del «mezzo rilievo», osserva Prisca Giovannini, nella sua dettagliata analisi. Il giovane scultore «affronta e vince le difficoltà di mettere in scena una vera, concitata battaglia, intrecciando gruppi più piccoli e più grandi in forma variegata, in modo da concentrare l’intensità verso il centro tematico dell’azione», scrive Claudia Echinger- Maurach nel suo saggio sull’iconografia dell’opera.

Ecco, al centro, il capo dei centauri, Eurito, ben in risalto rispetto alla calca, che cerca di difendersi da un giovane, Ercole, a sinistra, pronto a tirargli addosso un gran sasso. Motivo della contesa, la donna nuda di spalle malmenata da due uomini. Un scena piena di lottatori, le cui membra si incrociano e sovrappongono. Ci sono sconfitti e vittoriosi. Condivi aveva correttamente interpretato il racconto come «Ratto de Deianira e la zuffa de’ centauri», ma anche Vasari ci aveva visto giusto, pensando alla lotta di Ercole con i centauri. Michelangelo si esercitava su temi colti e difficili. Chi glieli suggeriva?

La corte del Magnifico era un “pozzo di San Patrizio”, in questo senso, con i sapienti umanisti che vi giravano. Lo stesso Lorenzo dialogava col giovane illustrandogli opere e rarità della sua raccolta di oggetti e libri. Ma tra i dotti poeti e letterati c’era, in particolare, Agnolo Poliziano, anche lui al desco del Magnifico come Bertoldo e altri privilegiati. Il letterato e poeta, fine filologo, legge a Michelangelo Le metamorfosi di Ovidio con le descrizioni della lotta tra centauri e lapiti, racconta Condivi. Un altro genio, Poliziano, che, col greco e il latino era di casa e giovanissimo aveva tradotto il secondo canto dell’Iliade. Era questo l’“humus” in cui Michelangelo si esercitava, creando e sperimentando ex-novo delle favole “viventi” di grande forza.

Il ruolo di Poliziano, tuttavia, andava oltre, spiega Silvia Ginzburg nel suo dotto scritto; agiva sulla letteratura, ma anche su concetti, idee, ruoli e progetti relativi alla statuaria. Nutrito di antichità, Poliziano, in stretto rapporto col Magnifico dal 1473, lo spingeva a cercare giovani scultori per il giardino di San Marco. A Firenze mancavano, ed erano fondamentali per l’arte, come nei tempi antichi. Del resto, a Poliziano venivano richiesti nominativi di nuove leve anche da altre corti. Ed era stato lui stesso, certamente con Bertoldo, a indirizzare il giovane Michelangelo verso i maestri «vecchi» anche di due generazioni precedenti, in una sorta di sano ritorno alle origini. Nella Madonna col Bambino (Madonna della scala), scrive Vasari «[Michelangelo] volendo contrafare la maniera di Donatello si portò sì bene che par di man sua, eccetto che vi si vede più grazia e più disegno». E se guardiamo opere di Donatello come la Madonna delle nuvole (1425-1435, Boston, Museum of Fine Arts) e la Madonna col Bambino (Madonna del Pugliese - Dudley), conservata al Victoria and Albert Museum di Londra, del 1440 circa, capiamo a quali alti modelli guardasse il ragazzo, come li interpretasse e come sapesse andare oltre.


Michelangelo Buonarroti, Madonna col Bambino (Madonna della scala) (1490 circa), particolare, Firenze, Casa Buonarroti.

ART E DOSSIER N. 410
ART E DOSSIER N. 410
GIUGNO 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: La generosità dello scultore collezionista di Federico D. Giannini; BLOW UP: Ugo Mulas, Uno sguardo a tutto campo di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Lee Lozano a Torino - Rivoluzione per contraddizione di Ilaria Ferraris ; GRANDI MOSTRE. 2 - Fausto Melotti a Lucca - Una ceramica imbrogliona di Sara Draghi