Grandi mostre. 5
RENOIR A ROVIGO

tutta un'altra
impressione

Una mostra sull’impressionismo? Che cosa c’è di nuovo? Una lettura inedita di uno dei suoi massimi esponenti, Renoir, che, a seguito di una profonda crisi causata, forse, anche da problemi economici, rivolse il suo sguardo verso l’arte del passato, suscitando critiche tra I suoi contemporanei ma plauso da parte di diversi artisti del primo novecento.

Maria Santacatterina

Renoir e Carpaccio, Renoir e Tiepolo e ancora Renoir e la pittura pompeiana. Tutti accostamenti che sembrano a dir poco audaci, ma che in realtà costituiscono le fondamenta su cui poggia la mostra dedicata al maestro dell’impressionismo in corso fino al 25 giugno a palazzo Roverella di Rovigo (Renoir. L’alba di un nuovo classicismo). Non è semplice proporre un progetto originale quando si parla del celebre movimento artistico francese: l’apprezzamento di lunga data da parte del pubblico ha fatto sì che negli ultimi decenni si moltiplicassero le mostre sui suoi maggiori esponenti e sui temi centrali di quel linguaggio. Tuttavia, al di là delle esposizioni “mainstream”, l’accurata ricerca del curatore della mostra rodigina, Paolo Bolpagni, dimostra che è ancora possibile offrire una lettura inedita e una prospettiva non scandagliata finora sull’impressionismo.

Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 1841 - Cagnes-sur-Mer, 1919), in particolare, si presta a nuove indagini. Dopo le scintillanti partecipazioni alle prime mostre dei pittori impressionisti del 1874, 1876 e 1877, l’artista cadde infatti in una profonda crisi, complici, forse, le difficoltà derivanti da un crollo delle vendite dei suoi dipinti: in tremenda impasse, in questo caso finanziaria, era anche la Francia della fine degli anni Settanta dell’Ottocento, e quella depressione si ripercosse inevitabilmente sul mercato dell’arte contemporanea. Carico di inquietudine e insoddisfazione, in una lettera al mercante Paul Durand- Ruel Renoir scrisse: «Sono ancora malato di ricerca. Non sono soddisfatto, cancello, continuo a cancellare».

Nell’arco di una manciata d’anni il suo stile mutò profondamente. Ciò fu letto dai contemporanei – non da tutti, e lo vedremo – come un ripiegamento verso il “vecchio” accademismo che era stato al centro delle contestazioni degli impressionisti, ma in realtà quel periodo non fu affatto di decadenza: tormentato dal problema di come catturare la luce sulla tela, il pittore tornò a guardare i maestri del passato, rendendosi conto che Raffaello riusciva a restituire nelle sue opere una piena luminosità pur non dipingendo “en plein air”, “comandamento” irrinunciabile per i suoi compagni artisti.

Renoir intuì allora che il rimedio al suo travaglio interiore era rappresentato dall’Italia: «Ho deciso improvvisamente di partire e sono stato preso dalla smania di vedere Raffaello. Sto dunque per divorare la mia Italia», confessa in un’altra missiva. Il tardivo Grand Tour iniziò così nell’ottobre del 1881 da Venezia, dove l’artista poté scoprire i colori brillanti di Carpaccio, la maestosità di Tintoretto e le rese abbaglianti di Tiepolo, mentre Tiziano e Veronese gli erano già ben noti dalla frequentazione delle sale del Louvre (alcune opere di questi maestri sono presenti in mostra, dove innescano efficaci cortocircuiti visivi).

Ulteriori tappe del viaggio furono Padova, forse, e poi Firenze, Roma, Napoli (in particolare Sorrento e Capri), la Calabria e Palermo. A Roma rimase folgorato dagli affreschi del Sanzio che poté ammirare nella villa Farnesina e nelle Stanze del Vaticano; a Napoli conobbe l’antica pittura di Ercolano e di Pompei. Rientrato in patria, Renoir cominciò a riservare una nuova attenzione alle volumetrie e alla monumentalità delle figure, e attorno al 1883 la storiografia notò il passaggio dell’artista a uno stile “aigre”, aspro, in una certa misura manierista e ispirato sia al classicismo rinascimentale sia a quello di Ingres, «che pure non aveva mai smesso di essere da lui apprezzato e amato, nemmeno nel pieno della stagione “eroica” dell’impressionismo», precisa Bolpagni nel catalogo della mostra. I primi esiti di questo nuovo dipingere si possono osservare nella Bagnante bionda, figura dall’incarnato quasi di porcellana, sensuale come una Venere al bagno e stagliata su un fondale marino che potrebbe essere il golfo di Napoli. La compostezza e il nitore del dipinto tendono inequivocabilmente all’equilibrio e alla classicità.


Nudo sulla sedia (1900), Zurigo, Kunsthaus Zürich.


La bagnante bionda (1882), Torino, Pinacoteca Agnelli.


FIGURA DALL’INCARNATO QUASI DI PORCELLANA, SENSUALE COME UNA VENERE AL BAGNO E STAGLIATA SU UN FONDALE MARINO CHE POTREBBE ESSERE IL GOLFO DI NAPOLI

Donna che si asciuga (1912-1914), Winterthur Kunst Museum Winterthur.


Dopo il bagno (1876), Vienna, Belvedere.

Un’altra rivelazione si aggiunse alla ricerca di Renoir nel 1883, quando studiò il Libro dell’arte di Cennino Cennini, il primo “manuale” di tecniche artistiche composto a cavallo tra XIV e XV secolo e la cui lettura consolidò in lui l’attenzione alle procedure. Disegni e bozzetti, disprezzati dagli impressionisti che dipingevano direttamente sulla tela, sono ulteriori prove della svolta dell’artista francese che, nella ricerca del “vero” e di una “armonia tra uomo e ambiente”, proseguì sulla strada del recupero della plasticità delle figure, unendovi un senso cromatico ricco e allo stesso tempo morbido e soffuso. Ed è nelle tante bagnanti che risulta più evidente questo suo stile intriso di grazia, perfezione, solennità. La mostra di Rovigo non si limita tuttavia a esporre i lavori “anti-impressionisti” di Renoir: questi vengono infatti introdotti da due capolavori degli anni precedenti, quali Dopo il bagno del 1876 e lo studio per il notissimo Moulin de la Galette. Al loro fianco si incontra una piccola, ma raffinatissima, selezione di opere degli italiani che, sul finire dell’Ottocento, avevano scelto di vivere a Parigi: Giovanni Boldini, Giuseppe de Nittis, Federico Zandomeneghi. Una speciale attenzione è posta sugli artisti che nel primo Novecento hanno eletto Renoir come punto di riferimento per un rinnovato rapporto con il classicismo – ecco allora spiegato il sottotitolo della rassegna, L’alba di un nuovo classicismo – e tra questi si scoprono ammiratori come Giorgio de Chirico, ma anche, più inaspettato, Pablo Picasso che nella sua collezione teneva alcune tele della maturità di Renoir. Ai suoi lavori, nelle sale di palazzo Roverella dedicate ai ritratti, alle nature morte, ai soggetti familiari, si accostano delle suggestioni firmate da Filippo de Pisis, Arturo Tosi, Armando Spadini. E non si tralascia la scultura, a cui Renoir si dedicò in tarda età, realizzando una possente Venere vittoriosa che rappresentò una lezione per i più giovani Marino Marini e Arturo Martini. Densa di emozione è infine la sezione che mette a fuoco il rapporto tra Renoir e la pittura di paesaggio: se il maestro aveva già praticato quel genere, fu soprattutto con l’avanzare degli anni che il suo interesse crebbe, anche grazie al suo trasferimento in una tenuta immersa nella natura a Cagnes-sur-Mer, in Costa Azzurra. Le piccole vedute commuovono se si pensa che furono dipinte da un uomo affetto da artrite deformante, che per dipingere doveva farsi legare i pennelli alle mani rattrappite. Renoir lavorò fino alla fine della sua vita – si spense nel 1919 – e in quegli ultimi anni, al pari di Cézanne, divenne oggetto di continuo pellegrinaggio da parte dei pittori più giovani, da Picasso a Matisse, da Derain a Maurice Denis. Proprio quelli che, nel periodo in cui si stavano consumando le vampate delle avanguardie e cominciava a far capolino il “ritorno all’ordine”, avevano compreso a pieno il suo status di “modern master”.


Vittore Carpaccio, Santa Caterina d’Alessandria e santa Dorotea (1485-1490), particolare, Verona, Museo di Castelvecchio.


IN MOSTRA ACCANTO AI LAVORI “ANTI-IMPRESSIONISTI” TROVIAMO CAPOLAVORI DEGLI ANNI PRECEDENTI DI RENOIR COME LO STUDIO PER MOULIN DE LA GALETTE

Studio per Moulin de la Galette (1875-1876), Charlottenlund, Ordrupgaard.


Paesaggio di Cagnes (1905-1908), Mamiano di Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani-Rocca;


Giovanni Boldini, Carrozza a Versailles (1873 circa), collezione Banco BPM.

Renoir. L’alba di un nuovo classicismo

a cura di Paolo Bolpagni
Rovigo, palazzo Roverella
fino al 25 giugno
orario 9.30-18, sabato 9.30-13.30
catalogo Silvana Editoriale
www.palazzoroverella.com

ART E DOSSIER N. 410
ART E DOSSIER N. 410
GIUGNO 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: La generosità dello scultore collezionista di Federico D. Giannini; BLOW UP: Ugo Mulas, Uno sguardo a tutto campo di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Lee Lozano a Torino - Rivoluzione per contraddizione di Ilaria Ferraris ; GRANDI MOSTRE. 2 - Fausto Melotti a Lucca - Una ceramica imbrogliona di Sara Draghi