STUDI E RISCOPERTE 1
ALBERT ERNEST HARNISCH

L’ARTISTA MANAGER

Ripercorriamo l’avventurosa carriera di Albert Ernest Harnisch da Filadelfia (sua città natale) a Roma e a Firenze, dove l’artista, rinomato scultore, diventa autore di opere in stile rinascimentale per i clienti di Stefano Bardini, il famoso mercante fiorentino per il quale Harnisch lavora anche come “sales manager”.

Lynn Catterson e Stefano Orsi

Stefano Bardini iniziò la propria carriera come mercante d’arte nel 1866, aprendo le proprie gallerie nel 1883: una vera e propria impresa che in certi momenti arrivò a contare circa trecento persone impiegate in vari atelier e laboratori siti nel quartiere fiorentino di San Niccolò. Alcune posizioni manageriali erano ricoperte da uomini a un tempo esperti poliglotti e artisti talentuosi, in modo da soddisfare le richieste di una vasta clientela internazionale alla ricerca di un numero sempre più grande di opere del Rinascimento italiano. Mentre alcuni di questi oggetti erano forse copie tratte da originali, molti altri erano concepiti in stile rinascimentale dagli artisti che lavoravano per Bardini in maniera tale che risultassero attraenti per i vari acquirenti, i quali, perlopiù, li ritenevano autentici. Uno di questi “manager” fu Albert Ernest Harnisch, nato a Filadelfia da famiglia di immigrati tedeschi nel 1842. Intorno ai sedici anni Albert si iscrisse all’Accademia di belle arti producendo due sculture l’anno, fra cui, nel 1862, Mercurio e la tartaruga, gesso realizzato poi in marmo nel 1879, descritto come «notevole per l’originalità della posa e la singolare grazia e dolcezza del viso e della figura». A partire dal 1866 egli iniziò a dedicarsi a soggetti per monumenti pubblici e ritratti, raggiungendo ben presto una certa reputazione, non solo per l’alta qualità del suo lavoro ma anche per certi tratti stilistici come la figura aggraziata, la poeticità e il sublime sguardo dei soggetti verso il basso; gli stessi tratti destinati a caratterizzare le sue opere successive. Addirittura, nel 1869, la stampa paragonava Harnisch a Michelangelo e osservava come «i suoi lavori paressero interpretare alla perfezione lo spirito del Rinascimento, tanto da sembrare creati a Firenze ». Più che un complimento, una premonizione!

Le difficoltà incontrate dagli artisti americani costrinsero molti di loro ad abbandonare la propria patria per l’Europa. Così, in quello stesso 1869, Harnisch giunse a Roma. Un primo articolo su di lui fu redatto il 24 luglio 1870 sull’“Evening Bulletin” dalla scrittrice e giornalista di Filadelfia, Anne Hampton Brewster. Legata a molte tra le più importanti personalità che all’epoca soggiornavano nella capitale, Brewster contava tra i propri amici il compositore Franz Liszt e la sua compagna, la principessa Wittgenstein, i poeti Ralph Waldo Emerson e Henry Wadsworth Longfellow, e molti artisti, tra cui lo scultore William Wetmore Story che, con sua moglie e i suoi tre figli, risiedeva a palazzo Barberini, a lungo centro della vita culturale della comunità angloamericana a Roma. 

A partire dal 1872 Harnisch ebbe uno studio in via Sistina, dove Raffaello Ojetti lo descrive nel suo Roma artistica intento a lavorare a numerose opere: «Un Fauno destinato a decorare una fonte, i bellissimi ritratti o modellati in creta o eseguiti in marmo dall’artista americano, nei quali trovasi forza, verità e vita», fra cui «l’accurato ritratto di Liszt» del quale Ojetti sottolinea «la somiglianza perfetta, la movenza semplice e dignitosa, la semplicità dello stile, la spontaneità dell’esecuzione, l’accordo delle parti, la castigatezza del disegno, l’armonia delle linee» e quello del filantropo William J. Mullen di Filadelfia. Fra le opere viste nello studio di Harnisch, Ojetti ne elogia anche altre, tutte purtroppo non ancora rintracciate.


Mercurio e la tartaruga (1862-1879), New York, Metropolitan Museum of Art.

Lo scolaro (1885).


Eros (1881).

All’epoca, Harnisch era chiaramente già ben introdotto nell’ambiente degli “expat” americani a Roma, molti dei quali gli erano stati presentati da Brewster. Il loro rapporto, pur essendo complesso, fu, oggettivamente parlando, strumentale nel procacciare a Harnisch numerosi clienti che facevano parte della rete sociale intessuta dalla stessa Brewster. Così per esempio, nel 1885, il collezionista Charles T. How commissionò all’artista una statuetta in marmo, identificata con Cupido con lira, della quale Brewster apprezzò certi aspetti stilistici geniali come «i piedini infantili, con i loro alluci rivolti all’insù», le manine «grassottelle », tratti comuni a molte opere di Harnisch, come il bronzetto Eros del 1881 o Lo scolaro, un piccolo marmo del 1885, raffigurante un Cupido intento a far cartella in compagnia di un cagnolino. Tratti che si ritrovano anche in quegli oggetti d’arte “in stile rinascimentale” creati per Bardini, come il bassorilievo marmoreo Vergine in adorazione del Bambino, a lungo attribuito allo scultore del XV secolo Francesco di Simone Ferrucci.

Harnisch affittò una stanza nell’appartamento di Anne Hampton Brewster e, a partire dal 1878, visse con lei in via delle Quattro Fontane, non lontano da palazzo Barberini, dove alloggiavano gli Story. Brewster chiese a Harnisch di affrescare gli interni del suo appartamento, ma apparentemente essi non furono mai eseguiti. Molto probabilmente, La corsa delle tartarughe, un dipinto a olio recentemente scoperto, così intitolato e firmato sul retro, è da considerarsi lo studio per uno di tali affreschi: immersi in un paesaggio marino, tre giovani efebi sono intenti a seguire la gara di corsa di tre tartarughe, mentre un quarto lì vicino, seduto su una roccia, guarda in lontananza. Il quadro è certamente ispirato alla Fontana delle tartarughe di piazza Mattei a Roma, che senza dubbio Harnisch conosceva e apprezzava.

Le figure mitologiche visibili in secondo piano – Giove in trono in cima alla collina con la sua aquila e Ganimede, Ercole che esce dalla caverna di Idra, Nettuno che salta sulla riva del mare abbandonando i suoi ippocampi, Mercurio che cammina sotto il sole lungo la spiaggia – sembrano rappresentare i quattro elementi (Aria, Terra, Acqua, Fuoco). Il volto dell’efebo inginocchiato ai piedi della roccia mostra invece una forte rassomiglianza con quello del paggio del disegno Falstaff e il suo paggio eseguito da Harnisch a Roma nel 1872. Entrambi testimoniano la versatilità di stile e di tecniche delle opere dell’artista americano: dai ritratti realistici a quelli di personaggi letterari, come la statua in bronzo del Falstaff shakespeariano, sino a opere monumentali come il Monumento a John Calhoun, eretto a Charleston, nella Carolina del Sud, da subito criticato e infine smantellato. Il rapporto, tutt’altro che semplice, tra Harnisch e Brewster, generò all’epoca una gran quantità di pettegolezzi, non solo perché lei era più matura di lui di ben ventitre anni, ma anche perché molto possessiva nei suoi confronti. Tanto da andare su tutte le furie quando scoprì che Harnisch aveva una relazione con la sua cameriera, Emma Mennucci, che egli sposò nel 1884 e da cui ebbe un figlio, Giulio Ottavio, l’anno seguente. La situazione peggiorò a tal punto che Harnisch decise di abbandonare Roma per Firenze, trovando domicilio al numero 8 di via de’ Bardi, vicino alla galleria e alla residenza di Stefano Bardini, che probabilmente l’artista già conosceva e col quale iniziò a lavorare non solo come scultore e restauratore, ma anche come “sales manager”.

Fu infatti uno degli uomini di punta di Bardini, per conto del quale gestiva importanti clienti internazionali occupandosi anche di notevoli transazioni bancarie. Fra questi vi fu anche il finanziere newyorchese William Salomon, intimo amico di J. P. Morgan, che Harnisch accompagnò nel 1901 alla villa di Marignolle (Firenze sud), proprietà di Bardini, dove mediò la vendita delle porte in bronzo che ancora oggi adornano la Morgan Library di New York. Descritte come opera di Lorenzo Ghiberti, esse erano state realizzate da Thomas Waldo Story, figlio di William Wetmore, che Harnisch aveva conosciuto durante il proprio soggiorno romano. Esse erano state installate nella cappella accanto alla villa per essere “scoperte” da Salomon. Ma questa non fu l’unica volta che Harnisch mise in scena un simile “ritrovamento”, sia lavorando per conto di Bardini, sia a totale insaputa di costui. Alcune opere “casualmente rinvenute” sono da identificarsi con quelle da lui stesso mediate tra il 1901 e il 1913 per conto dei collezionisti newyorchesi Louisina e Henry Osborne Havemayer con l’aiuto della famosa pittrice impressionista americana Mary Cassatt, amica di Harnisch fin dai tempi dell’Accademia.

Pur dedicandosi a questo tipo di lavoro, l’artista non cessò comunque mai di scolpire e forse anche di dipingere. Solo un’opera è tuttavia nota nei suoi ultimi trent’anni e oltre di vita: il Busto di William Herbert Withigton, generale dell’Unione durante la Guerra civile americana, scolpito in marmo a Firenze nel 1897. Per il resto, certamente egli produsse, stando alle foto e ai documenti dell’archivio Bardini, redditizi oggetti d’arte nello stile del XV secolo di propria creazione. Almeno due di tali oggetti, entrambi venduti da Bardini al collezionista di Boston Quincy Adams Shaw e in seguito donati al Museum of Fine Arts di quella città, possono essere attribuiti a Harnisch: la Vergine in adorazione del Bambino, venduta come opera del Verrocchio, e il Busto di giovane, marmo attribuito ad Antonio Rossellino.

Entrambi, se sottoposti a un attento confronto stilistico con la statua in marmo Mercurio e la tartaruga, firmata e datata «Roma, 1879» e ora al Metropolitan Museum of Art di New York, rivelano la comune paternità di Harnisch. La rendita finanziaria che l’artista ricevette dalla collaborazione con Bardini, e non solo, spiega la sua buona situazione economica, che gli consentì di possedere anche una preziosa residenza, il villino Harnisch a Forte dei Marmi (Lucca), dove, probabilmente, si spense nel 1918, tre anni dopo la morte della moglie. Nel 1919 suo figlio, Giulio Ottavio, violista e compositore emigrato negli Stati Uniti, vendette tutte le proprietà del padre incluso il dipinto La corsa delle tartarughe, che non abbandonò mai Firenze.


Falstaff e il suo paggio (1872);


Cupido con lira (1871).


Albert Ernest Harnisch (già attribuito a Francesco di Simone Ferrucci), Vergine in adorazione del Bambino (senza data), Boston, Museum of Fine Arts.


La corsa delle tartarughe (ultimo ventennio del XIX secolo).

ART E DOSSIER N. 410
ART E DOSSIER N. 410
GIUGNO 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: La generosità dello scultore collezionista di Federico D. Giannini; BLOW UP: Ugo Mulas, Uno sguardo a tutto campo di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Lee Lozano a Torino - Rivoluzione per contraddizione di Ilaria Ferraris ; GRANDI MOSTRE. 2 - Fausto Melotti a Lucca - Una ceramica imbrogliona di Sara Draghi