XX SECOLO
BERENICE ABBOTT

new york 1929,
la rinascita

Simbolo di una modernità in divenire: così appariva New York alla fine degli anni venti del secolo scorso, quando Berenice Abbott, facendovi ritorno, ne rimane del tutto rapita.
Da quel momento, la fotografa decide di documentare la metropoli americana, forte del lascito ricevuto da Eugène Atget.

Francesca Orsi

Con negli occhi l’eredità di Eugène Atget e gli insegnamenti di Man Ray, Berenice Abbott (Springfield 1898 - Monson 1991) ritornò a New York, da Parigi, nel 1929. Doveva essere una breve visita, ma la fotografa americana rimase talmente colpita dalla modernità nel suo farsi della metropoli, nel suo rivelarsi tra passato, presente e futuro, che decise di fermarcisi. Prese in mano una maneggevole macchina fotografica e iniziò a “prendere possesso”, fotograficamente parlando, della città, come il suo maestro, Eugène Atget, riuscì a “possedere”, tramite le sue fotografie, tutta la “Vecchia Parigi” agli inizi del XX secolo. Quel maestro, che fu tale per molti, anche per coloro che diventarono maestri a loro volta come Walker Evans, era stato iniziatore di una “fotografia in stile documentario”, realista, che lui definì «completa».

«Per più di vent’anni, guidato dal mio lavoro e dalla mia iniziativa individuale, ho realizzato negativi fotografici 18 x 24 cm di tutte le più importanti case della Vecchia Parigi, documenti artistici della bella architettura civile dal sedicesimo al diciannovesimo secolo […] Questa enorme collezione artistica e documentaria oggi è completa. Posso dire con tutta sincerità che possiedo tutta la Vecchia Parigi», scriveva Atget nel 1920 a monsieur Paul Léon, direttore della Administration des Beaux-Arts et des Monuments Historiques(1).

Una mappatura onesta e veritiera della città francese che ha fatto storia, asciutta, e per questo innovativa, rispetto al precedente, e ancora in auge, estetismo della corrente pittorialista. Una Parigi che si stava trasformando e che Atget svuotò della presenza umana per fermarla nella sua piena oggettività moderna, trasferendo alla storia e a noi un’immagine della capitale che altrimenti avremmo perso.

Quando Abbott arrivò a New York nel 1929, il trasformismo industriale della città americana, la sua modernizzazione risuonarono talmente rilevanti nella testa della fotografa da indurla a mettere in pratica l’eredità del suo maestro e a immortalare la città che stava cambiando nel suo stesso modo onesto e asciutto, con lo stesso senso di responsabilità in favore dei posteri. Ma il famoso libro Changing New York di Berenice Abbott venne pubblicato solo nel 1939 e iniziato nel 1935, con una macchina fotografica di grande formato e grazie ai finanziamenti dell’agenzia governativa Federal Art Project. Quello che, invece, produsse nel 1929 fu una sua versione prodromica, un «blocco per gli appunti», una bozza, seguendo un istinto privato, fugace, momentaneo, forse proprio quel «dovere verso la storia»(2) che accomunava chi, in quegli anni, era artefice di una “fotografia in stile documentario”.


Album Page: City Hall Park e Brooklyn Bridge Vicinity, Manhattan (1929), da New York Album, 1929.
Tutte le fotografie riprodotte in questo articolo sono conservate al Metropolitan Museum of Art di New York e sono esposte nello stesso museo americano fino al 4 settembre (Berenice Abbott’s New York Album, 1929). 


Album Page 1: Financial District, Broadway e Wall Street Vicinity, Manhattan (1929), da New York Album, 1929.


Eugène Atget, Rue Laplace e rue Valette, Parigi (1926).


Canyon, Broadway ed Exchange Place, Manhattan (1936).

Nacque così New York Album, 1929, ora in mostra al Metropolitan Museum of Art fino al 4 settembre, insieme ad alcune immagini del successivo Changing New York, ai ritratti della Parigi degli anni Venti, alle immagini di chi le è stato maestro come Atget, ma anche di chi condivideva con lei, in quegli stessi anni, lo stesso approccio fotografico alla realtà e alla sua valenza di testimonianza come Walker Evans, Paul Grotz e Margaret Bourke-White. Una mostra comparativa che mette in dialogo la prima Abbott, parigina, allieva di Man Ray, che trovò la sua fama con la ritrattistica, con l’ultima Abbott che guardava alla fotografia come documento, come registrazione di una realtà complessa e in via di cambiamento; ma anche con una Abbott al crocevia tra la prima e l’ultima, autrice di un piccolo album, in edizione unica, di trentadue pagine di cartoncino nero, su cui la fotografa allestì duecentosessantasei piccole stampe in bianco e nero di una New York ritratta seguendo un flusso apparentemente più concitato rispetto al più classico e stanziale Changing New York. Con una semplice macchina fotografica a mano, senza quindi avere il peso fisico della macchina di grande formato, e alleggerendosi anche del peso che la macchina di grande formato produceva nella testa del fotografo mentre ritraeva il suo soggetto, Abbott, in questo primigenio album di appunti visivi, crea delle analogie tra la rapidità con cui il processo di modernizzazione stava inglobando la città americana e la rapidità del suo sguardo. La fotografa si concentra su un’oggettività che guarda al futuro, sulla proiezione di quello che sarà. Entrambe, la città e anche il suo stesso processo fotografico, sono immortalati nel loro stato embrionale, come potrebbe fare un’immagine ecografica di due gemelle ancora nel liquido amniotico della sacca materna.

Mentre New York Album, 1929 sembra concentrarsi sullo slancio in avanti della metropoli americana, testimoniandone il presente, Changing New York è portatore di una progettualità sicuramente più complessa e “pensata”, probabilmente più matura, che mette in mostra le potenzialità moderniste di un paesaggio urbano partendo dalla sua storia, mappando non solo il suo futuro, tramite immagini del presente, ma scovandone le tracce del suo passato tramite i dettagli che la città “nasconde ma non ruba”. E un po’ pare di rivedere i vecchi portali della Vecchia Parigi di Eugène Atget, intrisi di storia, che sembrano raccontare, solo tramite la loro fissa “monumentalità” visiva, ciò che è stato, facendosi garanti, però, anche del futuro che verrà. Ad aiutare Abbott in questo intento anche l’apparato testuale di accompagnamento di Elizabeth McCausland, che verbalizza ciò che la fotografa di Springfield mostra: la storia architettonica e industriale della città di New York. Abbott, già da New York, 1929, accompagna una presa del reale newyorchese con una prospettiva sicuramente più sfuggente alla tradizione documentaria, prediligendo inquadrature libere da quella formalità e frontalità alla Walker Evans, testimonianti la crescita frenetica della città anche nella sua verticalità. New York, con i suoi megalitici grattacieli, sfidando le leggi della gravità, si stava espandendo anche in altezza, cambiando radicalmente nel rapporto visivo e anche psicologico con i suoi abitanti. Abbott riuscì a trasmettere tale cambiamento con delle inquadrature prese dai tetti di queste mastodontiche creature di calcestruzzo e mattoni o riprendendone la completa verticalità dal marciapiede, in una visione che manifestava il nuovo dialogo tra l’uomo e la città, moderna, industrializzata, in perenne espansione. Famosa è, per esempio, la fotografia che ritrae la sua contemporanea collega Margaret Bourke-White in cima al grattacielo Chrysler mentre, sfidando il pericolo, si appresta a inquadrare una New York non semplicemente vista dall’alto, ma con una prospettiva che sembra valicare i limiti del cielo. In un qualche modo, il fotografo era stato inglobato nella città, come i suoi abitanti, e la mostrava da ogni suo organo, dal ventre, dagli occhi, abbarbicato sul suo capo più alto. Era cambiato il soggetto, in evoluzione con il periodo storico, era cambiato il modo di documentarlo ed era cambiata anche la figura del fotografo, forse più impavido, forse semplicemente più forte del proprio impegno verso la storia.


Soprelevata a Columbus e Broadway, New York (1929).


Album Page 9: Fulton Street Fish Market e Lower East Side, Manhattan (1929), da New York Album, 1929.


West Street (1936).


IN NEW YORK ALBUM 1929 ABBOTT CREA DELLE ANALOGIE TRA LA RAPIDITÀ CON CUI IL PROCESSO DI MODERNIZZAZIONE STAVA INGLOBANDO LA CITTÀ AMERICANA E LA RAPIDITÀ DEL SUO SGUARDO

Berenice Abbott’s New York Album, 1929

a cura di Mia Fineman
New York, Metropolitan Museum of Art, Gallery 852
fino al 4 settembre 2023
orario 10-17, venerdì e sabato 10-19
www.metmuseum.org

ART E DOSSIER N. 410
ART E DOSSIER N. 410
GIUGNO 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: La generosità dello scultore collezionista di Federico D. Giannini; BLOW UP: Ugo Mulas, Uno sguardo a tutto campo di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Lee Lozano a Torino - Rivoluzione per contraddizione di Ilaria Ferraris ; GRANDI MOSTRE. 2 - Fausto Melotti a Lucca - Una ceramica imbrogliona di Sara Draghi