Outsiders 

GINO GALLI
UNA STORIA SENZALA PAROLA FINE

Alfredo Accatino

Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla scoperta di grandi artisti, opere e storie spesso dimenticate: Gino Galli

Nel corso degli ultimi cento anni, Gino Galli ha avuto una sola esposizione, quella organizzata e da poco terminata (6 maggio) presso il MLAC - Museo laboratorio di arte contemporanea dell’Università La Sapienza di Roma, curata da Edoardo Sassi e Giulia Tulino. Un giornalista e una ricercatrice che hanno compiuto un lavoro complesso, con un approccio deduttivo da archeologi, unendo dati lacunosi e disomogenei su un artista dimenticato, a lungo oggetto di “damnatio memoriae”. Emerge così la biografia di un personaggio contraddittorio, tormentato, capace di creare opere di assoluta rilevanza artistica, prima di una fine tragica, ancora oggi avvolta nel mistero.

Nato a Roma nel 1893, Galli abitava nel quartiere romano Parioli in via Cimarosa, non distante dalla famosa prima Casa Balla di via Paisiello: la dimora del suo maestro, del quale, diciassettenne, diventerà seguace, poi “allievo prediletto”. Una frequentazione continua (tra i due), quasi domestica, che porterà nel tempo a una ricca corrispondenza reciproca, nella quale a volte sarà Giacomo Balla a chiedere al suo discepolo conferma delle proprie intuizioni, a dimostrazione di quanto quest’ultimo fosse da lui stimato.

Naturale, quindi, che dal divisionismo Galli arrivi a vent’anni a replicare i moduli futuristi come nell’importante Tratto = slancio + caduta del 1914.

Personaggio di spicco nel panorama capitolino, supportato da Balla diventa condirettore della rivista “Roma futurista” ed espone sotto l’egida di Marinetti e Bragaglia. Partecipa ad azioni interventiste e allo scoppio della prima guerra mondiale parte per il fronte. Dopo la guerra, la sua pittura continua a evolversi, giocando su due livelli. Si inserisce in quel “ritorno all’ordine” che resterà, sino alla morte dell’artista, la sua linea espressiva e compie sconfinamenti surrealisti ed esoterici che, con l’opera Senza titolo (Le fasi della vita), trovano un ideale collegamento con la ricerca coeva di Alberto Martini, altro “dannato” dell’arte italiana.

Le tele presentate nella recente mostra romana, incentrate su atti di autoerotismo, sono espressione di quello stile novecentista, fatta eccezione per il soggetto, mai così esplicito in quegli anni. Quasi un unicum nella storia dell’arte italiana, che sorprende per la qualità e la pastosità del tessuto pittorico. E qui le cose si complicano.

Galli era omosessuale, condizione vissuta di nascosto, che lo portava a vivere di compromessi anche nel momento in cui aderisce al fascismo.

È amico di infanzia di Giuseppe Bottai, che ha due anni meno di lui e che in molti hanno identificato nei lineamenti idealizzati del ragazzo in camicia nera che si masturba: Nudo di uomo (Autoerotismo). Un amore, forse, non corrisposto, congelato su una tela rimasta nascosta per decenni in cantina, con il rischio di essere distrutta, e rispetto alla quale Elica Balla (la figlia minore del maestro futurista) aveva offerto agli eredi di Galli di ritoccarla, per nascondere le “pudenda”, «come fece Daniele da Volterra con Michelangelo », scrisse Elica nel suo diario di ricordi.

Galli ha una indole solitaria, tormentata, lamenta non ben definiti problemi di salute e dolori, che forse gli causano una dipendenza da morfina. Scrive: «Devo sottopormi a un’operazione chirurgica per un’imperfezione che mi tortura da parecchi anni […] non avrò più disturbi nervosi, non avrò più perdite di sangue».

Quando la sua migliore amica, la fiorentina Bice Pupeschi, diventa amante di Arturo Bocchini, l’onnipotente capo della polizia (strettamente legato a Benito Mussolini) e poi dell’O.v.r.a (Opera vigilanza repressione antifascismo), l’organizzazione segreta che controllava ogni aspetto della società, Galli si trova a diventare un informatore. Lei, nome in codice Diana, sarà una donna avvolta nel mistero, coinvolta come spia per carpire i segreti della Santa sede, pagata per i suoi servigi ventimila lire al mese e della quale esistono solo due immagini: un ritratto fatto da Gino e una foto a cavallo, proveniente dall’archivio dell’artista. Non si sa quanto Galli diventi effettivamente una “spia”, o sia in realtà solo una vittima, costretta a tradire i suoi stessi amici. La sua sessualità diventa un pericolo. La cosa certa è che Bottai, che era stato anche condirettore insieme a lui di “Roma futurista”, pur potendo, lo esclude da ogni esposizione e da ogni incarico pubblico. Tanto che, per sopravvivere, Gino sarà costretto a produrre paesaggi romani di routine, facili da vendere ai turisti.

Addirittura, quando chiede di partecipare alla Quadriennale di Roma, viene prima ammesso, poi cancellato, anche a livello di corrispondenza, lasciando come unica traccia la targhetta (che lo ammetteva alla Quadriennale) ritrovata nel dorso del suo bellissimo e desolato Autoritratto rosso dei primi anni Trenta durante l’allestimento della recentissima mostra romana.

La seconda guerra mondiale lo trova a Firenze, dove muore improvvisamente il 28 ottobre del 1944 a cinquantun anni, nello stesso giorno della liberazione di Predappio (Forlì-Cesena) da parte della ottava brigata Garibaldi.

Una «fine oscura», scriverà Elica Balla, non chiarita dal certificato di morte, e sulla quale occorrerà, un giorno, fare luce. Molte, infine, le opere ancora da rintracciare, disperse o andate distrutte, che sarebbe importante poter recuperare.

La Pupeschi, arrestata e poi amnistiata nel 1946, è sparita nel nulla.


Autoritratto rosso (primi anni Trenta).


Nudo di donna (Autoerotismo) (anni Venti).


Senza titolo (Le fasi della vita) (primi anni Venti).


Nudo di uomo (Autoerotismo) (1920-1921).


«Bisogna saper dare al dipinto oltre l’equilibrata potenza plastica della composizione (l’armonia lirica, interpretativa delle ombre e delle luci) lo stato d’animo della materia. Interpretando la natura fisica delle cose si completano i valori formali architettonici, dinamizzati dall’emozione, e si trasformano i freddi impasti del colore in attimi di vita!». Gino Galli, diario