Grandi mostre. 3
CASORATI A MAMIANO DI TRAVERSETOLO

UN RONDÒ
DI FORME E COLORI

La musica fu il suo primo amore, che mai abbandonò. Poi, arrivò la pittura. Attraverso queste due arti, Felice Casorati ha dato corpo alle sue visioni in un intreccio magico, immerso in un’atmosfera sospesa, immobile e contemplativa.

Lauretta Colonnelli

Nel 1922 Carlo Levi, studente di medicina non ancora pittore, si recò un giorno a far visita a Felice Casorati. Voleva conoscere di persona quel maestro che, nella Torino di allora del tutto aliena dall’arte moderna, parlava un’altra lingua. Arrivò fino al palazzo umbertino dove si trovava la casa-studio dell’artista, in via Mazzini 52. Attraversò il cortile e la doppia porta, come avrebbe fatto poi per quarant’anni, insieme a Piero Gobetti, a Lionello Venturi, al pianista Alfredo Casella, al musicologo Massimo Mila, ai critici dell’arte, agli allievi e alle modelle. Fino alla scomparsa di Felice, nel 1963.

Fu in occasione della sua scomparsa che Levi ricordò la sua prima visita: «Ero stato introdotto dalla sorella nel salotto e lasciato in attesa. Il maestro stava suonando e non poteva essere interrotto. Veniva da una stanza lontana il suono del pianoforte, una meravigliosa composizione improvvisata, che si prolungava e pareva girasse su se stessa, senza fine. Sapevo che Casorati teneva chiuse le porte del suo studio. Odiava che occhi estranei sfiorassero le opere e questo fatto faceva a molti pensare alla sua pittura come a una sorta di operazione magica. Ma la porta, che dal salotto dove io ero in attesa portava allo studio, era, quel giorno, semiaperta. Mi affacciai con batticuore e senso di colpa, allo spiraglio di quella soglia vietata. Sul cavalletto stava, iniziato, il grande quadro Lo studio con le figure legate da rapporti armonici attorno alla schiena della modella nuda. Ai muri erano altri quadri famosi: L’uomo delle botti, Le uova, Il tiro a segno. Ebbi appena un momento per guardarli, come un ladro, e mi parvero meravigliosi. È difficile dire che cosa sentissi, e come intenso, in quel momento rubato. Ma certo fu attraverso quei quadri che improvvisa mi venne la rivelazione della pittura, come incanto libero di spazi, come manifestazione di quel tempo, interno alle cose e al profondo del cuore». Nel 1922 l’artista aveva già dipinto anche molte delle opere presenti nella mostra Felice Casorati. Il concerto della pittura (Mamiano di Traversetolo, Parma, Fondazione Magnani-Rocca, fino al 2 luglio), che ne raccoglie oltre settanta ed è curata da Giorgina Bertolino, Daniela Ferrari e Stefano Roffi.

Casorati si era trasferito a Torino nel 1919, dopo un lungo peregrinare tra Novara, dove era nato nel 1883, e Milano, Reggio Emilia e Sassari, Padova, Napoli e Verona, al seguito del padre Francesco, ufficiale in carriera del Regio esercito italiano. Sempre forestiero, come amava definirsi, e come appaiono le figure maschili che attraversano la sua pittura: Lo straniero (1929-1930), che viene dal mare, L’ospite (1925), inatteso e sconosciuto, che arriva in una casa di donne, il signore in abito nero – con la faccia nascosta dalla tesa del tubino – che si china su un nudo femminile, sensuale e luminoso, in Conversazione platonica (1925), uno dei suoi quadri più enigmatici. A Francesco Bernardelli (saggista e critico teatrale torinese), che lo interrogò sul significato di quest’ultima opera, rispose: «Ma non v’è alcun significato. La cosa è andata così. Io avevo una splendida modella, e la studiavo per la sua bellezza e per certi toni violacei delle carni, che erano cosa mirabile e inconsueta. Un giorno entrò un amico con quell’abito e quel tubino, e s’accostò alla donna. Io non so bene che emozione provai, ma vidi il quadro, il quadro da dipingere e non da interpretare. Fu una combinazione: quell’omino compunto e triste accanto a tutto quello smalto, a quel riverbero accecante».


Concerto (1924), Torino, collezione Rai.


Le signorine (1912), Venezia, Galleria internazionale d’arte moderna Ca’ Pesaro.


UOVA BIANCHE E GESSOSE, INSTABILI NELLA MACCHIA NERA DELL’OMBRA CREATA DAL CHIARORE CHE SI DIFFONDE DA SINISTRA E CHE SEMBRA FARLE OSCILLARE

Le uova sul cassettone (1920).


Fanciulla con linoleum (1921), Rovereto (Trento), Mart - Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.

Ma il tema dominante, nelle opere di Casorati, dalle prime fino a quelle degli ultimi giorni, è la musica. L’artista scandisce il ritmo dei bianchi e dei neri in Beethoven (1928), trasforma il Concerto (1924) in un rondò di forme e colori costruito sulla variazione in cinque diverse pose di un’idea principale che è un unico nudo, un’unica modella: Cecilia Lavelli, futura pittrice e madre di Piero e Italo Gilardi.

Raccontava Casorati che la passione per la musica gli nacque improvvisa durante l’adolescenza: «Mi misi a studiarla con perdizione, esaurendo in pochi anni le poche risorse fisiche di cui il mio gracile organismo disponeva, così che verso i sedici anni fui pressoché abbattuto da una grave malattia nervosa. I medici mi proibirono almeno per un certo tempo ogni occupazione mentale e soprattutto lo studio della musica».

Il padre, per consolarlo dell’abbandono del pianoforte, gli regalò una grande scatola di colori: «Ed eccomi per la prima volta seduto davanti a un cavalletto in pieno sole a mescolare colori sulla tavolozza e a guardare curioso e commosso il dolce paesaggio dei colli Euganei. Il demone della pittura mi prese e non mi lasciò più̀».

Ma continuò a suonare. Ogni giorno sospendeva di tanto in tanto il lavoro della pittura e sedeva al pianoforte. Aveva scelto come motto una sintesi originale dell’essenza musicale: «Numerus, mensura, pondus» (Numero o ritmo, dimensione, peso o quantità o massa). La triade discende da un versetto del Libro della sapienza di Salomone: «Sed omnia in mensura et numero et pondere disposuisti », e dichiara le modalità che hanno presieduto alla creazione divina del mondo. Misura, numero e peso sono gli elementi che trasformano il suono in linguaggio: gli stessi elementi costitutivi della musica appaiono così i princìpi che sovrintendono alla creazione artistica di Casorati, e riprendono le categorie della creazione divina. Questi princìpi il pittore li ha raffigurati in un quadro famosissimo, Le uova sul cassettone, del 1920. Vide in quell’anno i dipinti di Cézanne, nella prima personale italiana allestita in una sala del padiglione francese della Biennale veneziana.

Casorati comprese il valore di quell’arte tendenzialmente geometrica, la semplicità delle composizioni, la lezione costruttiva del maestro francese: «Tutta la sua grandezza mi si manifestò improvvisa: l’emozione che ne provai fu enorme e non fu un’emozione di sbalordimento o di stupore, ché anzi mi sentii preso da quel senso di calma, di fermezza, di equilibrio, che solo le opere dei grandi possono comunicare. Compresi l’aberrazione di certa critica che non si stancava di accusare i difetti di Cézanne: capii anzi che proprio in quei difetti era il germe della sua grandezza. Compresi che Cézanne era il pittore della rinunzia e che le rinunzie sono la forza della pittura moderna».

Dipinse allora le quindici uova bianche e gessose, raggruppate sul piano di legno grigio del cassettone, instabili nella macchia nera dell’ombra creata dal chiarore che si diffonde da sinistra e che sembra farle oscillare. Uova che rimandano, sì, alle mele di Cézanne per il loro obliquo e pericolante ammucchiarsi, ma che al tempo stesso ricordano il bianco sciame fiammeggiante degli astri nel cielo notturno che sei anni prima Casorati aveva dipinto nella Via lattea. E soprattutto rinviano alle sue scodelle, anch’essi oggetti concreti e al tempo stesso forme concettuali che compaiono intorno al 1918-1919 e si propagano negli anni a seguire in moltissime opere. Sempre uguali, sempre vuote. A sottolineare la solitudine silenziosa delle figure, sempre femminili: Ragazza con scodella, Mattino o Colazione; Fanciulla con linoleum, Una donna o L’attesa. In quest’ultimo dipinto, le scodelle vuote sono sette, sopra una tavola coperta fino al pavimento da una bianca tovaglia.

Un’altra è sopra uno sgabello in primo piano. Accanto, una donna seduta, vestita di nero e con gli occhi chiusi, la testa reclinata verso sinistra. Queste scodelle sulla tovaglia deserta ricordano quelle che il Beato Angelico tracciò nel Cenacolo di San Marco a Firenze, incidendone leggermente la sagoma con il manico del pennello nel bianco della tovaglia. Riuscì a smaterializzarle fino all’evanescenza. Il cibo, evaporato.

Casorati non era credente. Ma tutta la sua pittura è pervasa da una spiritualità quieta, silenziosa e riflessa, che tanto spesso è stata interpretata come freddezza e indifferenza. Scrisse Massimo Mila (musicologo e critico musicale): «Noi vedevamo che in quel mondo di stupiti silenzi, si annunziava una via d’uscita ai nostri stessi problemi, si manifestava un’esperienza analoga a quella con cui noi ci stavamo tirando fuori dalla triplice insidia della rettorica carducciana, dell’estetismo dannunziano, e della crepuscolare malinconia gozzaniana».


Conversazione platonica (1925).


Beethoven (1928), Rovereto (Trento), Mart - Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.

Felice Casorati. Il concerto della pittura

a cura di Giorgina Bertolino, Daniela Ferrari e Stefano Roffi
Mamiano di Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani-Rocca
fino al 2 luglio
orario 10-18; sabato, domenica e festivi 10-19; chiuso il lunedì
catalogo Dario Cimorelli Editore
www.magnanirocca.it

ART E DOSSIER N. 410
ART E DOSSIER N. 410
GIUGNO 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: La generosità dello scultore collezionista di Federico D. Giannini; BLOW UP: Ugo Mulas, Uno sguardo a tutto campo di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Lee Lozano a Torino - Rivoluzione per contraddizione di Ilaria Ferraris ; GRANDI MOSTRE. 2 - Fausto Melotti a Lucca - Una ceramica imbrogliona di Sara Draghi