Dentro l'opera

ALLA SOGLIA
DELL’IMMATERIALITÀ

Cristina Baldacci

Un primo piano su opere meno note dal secondo Novecento a oggi, per scoprirne il significato e l’unicità nel continuum della storia dell’arte: Chiara Dynys, Giuseppe’s Door

L’installazione ambientale Giuseppe’s Door (2020-2021) fa subito pensare alle sculture nel campo espanso dell’arte degli anni Sessanta e Settanta, alle quali indubbiamente l’autrice, Chiara Dynys (Mantova, 1958), guarda, trovando un proprio lessico per inserirsi in modo originale in quella che ormai è una tradizione cinquantennale.

La “porta”, tema ricorrente nella poetica dell’artista, collocata nel paesaggio riprende una forma e un materiale cari alla scultura minimalista e alla Land Art: da un lato, l’acciaio corten, diventato uno dei tratti distintivi di Richard Serra; dall’altro, la rivisitazione riduzionista degli archi di trionfo, operata, tra gli altri, da Donald Judd e Christo. A questi richiami unisce l’uso inedito del vetro opalescente e una personale rielaborazione delle forme dell’arco o porta, la cui superficie risulta convessa e il cui asse spostato verso sinistra. Due decisioni strutturali, prima ancora che stilistiche, che contrastano la monumentalità delle dimensioni dell’installazione stessa (310 x 260 x 70 cm), donandole, oltretutto, una certa precarietà, benché soltanto apparente.

Ma c’è di più: il vetro scelto da Dynys è fotosensibile e di giorno assorbe la luce, mentre di notte la irradia trasformando l’opera in una scultura luminosa dalla superficie evanescente, o meglio ancora diafana, a tal punto che sembra quasi di poter guardare attraverso il materiale opalino. L’artista gioca non solo con l’ambivalenza luce/ombra, ma anche con quella pieno/vuoto, creando l’illusione della smaterializzazione della scultura-architettura, che diventa, secondo le sue parole, una «fluorescenza fantasma». Questa immagine si associa all’idea di soglia: l’opera è di per sé una porta, un passaggio che conduce a uno spazio altro, al contempo reale e metaforico, mettendo in relazione arte e natura.

Non stupisce che il lavoro di Dynys, dove la luce è eletta a sostanza e materia prima, sia stato particolarmente amato da Giuseppe Panza di Biumo, che nella sua villa sopra Varese volle circondarsi di opere ambientali realizzate con luce artificiale (i neon di Dan Flavin) e naturale (le installazioni di Robert Irwin e James Turrell). Si spiega così anche il titolo della scultura, Giuseppe’s Door, che è stata concepita in omaggio al grande mecenate italiano e presentata nel parco di villa Panza durante la mostra Sudden Time (2021). Una doppia personale dedicata a Chiara Dynys e a Sean Shanahan (Dublino, 1960), altro artista prediletto da Panza per la “densità materica” dei suoi lavori (pittorici), dove, a detta dello stesso collezionista, «sembrava che la materia assorbisse il colore», così come nelle opere di Dynys è la materia che si impregna di luce.


Giuseppe’s Door, il cui modello è stato ideato dall’artista nel 1992, è in mostra in più versioni (compresa la variante intitolata Gold Shell) nella personale Chiara Dynys. L’ombra della luce, a cura di Daniela Ferrari, in corso a Rovereto (Trento), al Mart - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, fino al 27 agosto (www.mart.tn.it).


SCULTURE CHE ASSORBONO E IRRADIANO LUCE


Giuseppe’s Door (2020-2021), nel parco di villa Panza (Varese) in occasione della mostra Sudden Time (2021).


Giuseppe’s Door (2020-2021), in mostra fino al 27 agosto al Mart - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.