ROSSETTI
E IL RITRATTO FEMMINILE

Nella fase successiva scompaiono i toni matti e semipreziosi degli acquerelli degli anni Cinquanta; stesure fluide nutrono una linea sinuosa che risulta, sempre di più, pretesto per variazioni sul monodico tema del ritratto femminile.

Cosa evidente in Musica del mattino (1864), che sostituisce l’impaginazione rigida degli acquerelli cavallereschi con una linea a spirale, tutta concentrata su elementi decorativi in superficie, ad accompagnare la forma aperta e morbida di una giovane donna, apparentemente smagata di fronte al canto dell’amante.

Il tema sacro, cui l’artista si riaccosta dopo lungo abbandono, probabilmente sollecitato da Ruskin, appare in disegni e acquerelli che ricalcano temi veteropreraffaelliti. Esempio singolare è Maria Maddalena alla porta di Simone Fariseo (1858) dove la storia della redenzione della donna perduta è raccontata in un clima di arazzo raffinato e sovraccarico, nel quale emerge, prepotentemente, la testa della bella donna adorna, anticipazione della tipologia femminile che diverrà familiare negli anni venturi.

Siamo giunti così a esaminare l’aspetto più vistoso dell’arte rossettiana, ricco in egual misura di valori e squilibri, cui è consegnata gran parte della sua importanza storica. I ritratti di Elizabeth Siddal negli anni Cinquanta – uno dei momenti più ispirati della grafica dell’artista – preludono all’insediarsi sempre più esclusivo di un’iconografia tipica negli ultimi vent’anni della vita di Dante Gabriel (vedi ad esempio la figura di Elisabeth ispirata alla festa campestre attribuita a Giorgione del Louvre), con una presenza sempre più incombente, quasi a seguirne la drammatica parabola. Citiamo per esempio lo studio per Il ritorno di Tibullo da Delia (1853), disegno che raffigura la giovane donna dagli occhi chiusi mentre attende in uno stato di abbandono il ritorno dell’amato stringendo fra le labbra una ciocca di capelli.

L’immagine sembra anticipare quella del dipinto Beata Beatrix, eseguito a partire dal 1862 in occasione della scomparsa di lei e, dopo elaborazioni e abbandoni, terminato nel 1870. «Bisogna ricordare guardando il quadro», dirà l’artista in una lettera a Mrs. Cowper-Temple del 27 marzo 1871 ora alla Pierpont Morgan Library di New York, che non intende assolutamente rappresentare la morte […] ma renderla attraverso una sorta di trance, in cui Beatrice, seduta al balcone che guarda verso la città, è improvvisamente rapita dalla terra al cielo. […] Ella vede attraverso le palpebre chiuse, è cosciente del profilarsi di un nuovo mondo, cosa che è anche espressa nelle ultime parole della Vita Nuova: “quella beata Beatrice che gloriosamente mira nella faccia di colui qui est per omnia saecula benedictus”». Elizabeth, moglie di Rossetti, morta suicida, è assimilata a lei in un rapporto di Amore- Morte. L’oggetto di desiderio, trasfigurato, incarna un’aspirazione all’infinito, il volto della donna istituisce un legame fra eros e trascendenza, fra orgasmo e rivelazione. I volti delle modelle cambiano con gli anni: da Fanny Cornforth a Jane Morris, ma spesso finiscono per somigliarsi tutti, in una tipologia sempre più alienata da ogni rapporto con la realtà. Whistler parlava di un «odor di femmina» che Rossetti avrebbe sempre portato con sé, nella continua ricerca di “stunners” (stupende modelle), di ispiratrici, di amanti; ma egli è uomo dalla sensualità complessa e turbata.

I suoi amori, fortemente trasfigurati, si fondono con i suoi miti letterari, creando uno sconcertante groviglio di arte-vita, nel quale l’arte tiene il posto della vita e la vita è determinata dall’arte. Un periodo variamente valutato della sua attività, nel quale scompare quella interessante ricchezza e singolarità di temi, fino allora elemento primo del suo fascino. Anche le tensioni che avevano alimentato il suo mondo – quel mondo di incontri d’amore, di piccole coppie che si amano o si abbandonano – lascia sempre più il campo a un’atonia, che diviene passività dolorosa e infine incubo cupo.


Il sogno a occhi aperti (1880), particolare; Londra, Victoria and Albert Museum.


Musica del mattino (1864); Cambridge, Fitzwilliam Museum.

Maria Maddalena alla porta di Simone fariseo (1858); Cambridge, Fitzwilliam Museum.


studio per Il ritorno di Tibullio da Delia (1853); Cambridge, Fitzwilliam Museum.


Beata Beatrix (1864); Londra, Tate.

Ritratto di Jane Morris (1868-1874 circa); Roma, Palazzo delle Belle Arti.


Ritratto di Maria Zambaco (1870); Neuss (Germania), Clemens-Sels-Museum.

Vediamo impallidire nell’opera rossettiana il rapporto con il Medioevo; prevale l’interesse per il colore, funzionale al tema della bella donna adorna. Si afferma una tipologia d’influsso veneziano, che diviene dominante negli anni immediatamente successivi. Durante una visita a Parigi nel 1860, il pittore è colpito da Le nozze di Cana di Veronese, da lui definito «il più grande quadro del mondo»; ne ammira le dimensioni, sogna di cimentarsi su olî di vasto formato, anche se i suoi tentativi sono ancora affidati a formati minori. «Ho dipinto un piccolo olio a mezza figura, ho cercato di evitare quello che so essere un mio difetto assillante e abbastanza comune alla pittura preraffaellita: cincischiare sugli incarnati», scrive all’amico William Bell Scott, riferendosi a Bocca baciata (1859). In una successiva lettera a George Price Boyce, attribuisce all’opera caratteristiche veneziane, alludendo a ritratti di Tiziano o di Palma il Vecchio, dai ricchi colori, nei quali belle immagini femminili dalle spalle nude sono circondate da serici drappeggi. Il modo di dipingere, l’uso del colore, l’evidenza con la quale la figura emerge da uno spazio poco profondo, ne accentuano l’appeal erotico.

Il titolo, tratto da una novella di Boccaccio, inaugura una serie di fantasiosi titoli italianeggianti, scelti dall’artista per accrescere l’alone di fascino e di misteriosa sensualità che emana dalle immagini. L’opera costituisce un primo tentativo di misurarsi con il tema della bellezza femminile. Tema in qualche modo collegabile a una particolare lettura delle liriche dei poeti italiani primitivi, da lui pubblicate nel 1861. Il titolo di un altro dipinto, Aurelia (L’amante di Fazio) (1863-1873), è tratto infatti da una lirica di Fazio degli Uberti, che descrive i capelli, i gioielli, i fiori, gli occhi, la bocca, il collo di lei. Modella nel periodo è Fanny Cornforth, giovane amante dalla femminilità pastosa, che gestisce la vita sociale di Rossetti nella bella casa di Cheyne Walk, fra lacche orientali, specchi veneziani, animali esotici. L’artista si ispira a lei nel dipingere figure opulente, immerse in elementi decorativi, affacciate a nicchie circondate di fiori dal pesante profumo, dalla complicata simbologia erotica, lo sguardo lontano, le mani appoggiate sui parapetti. Immagini che immettono un soffio di sensualità nel cliché dell’amata ideale: bellezze imponenti, indolenti, distanti. Opere che possono essere avvicinate ad alcuni dipinti veneziani del Louvre. Donna che si pettina i capelli (1864) analogamente a Lady Lilith (1866-1868) richiama Donna allo specchio di Tiziano. Attraverso Rossetti, l’interesse per l’arte veneta si diffonde nell’ambiente: George Meredith e William Michael Rossetti dopo aver visitato Venezia, nel 1861 e nel 1862, tessono nei loro scritti gli elogi di quella pittura. Swinburne, oltre ad ammirare negli stessi anni i dipinti veneziani del Louvre, è colpito, agli Uffizi, dalla Venere di Urbino di Tiziano, e Burne-Jones, per incarico di Ruskin, esegue nel 1862 copie da Veronese e da Tintoretto. In Notes on Designs of the Old Masters in Florence (1868), Swinburne afferma: «A partire dagli scultori greci, non è mai esistita una generazione di artisti intenta così umilmente e interamente all’esaltazione della bellezza». Alla figura eterea di Elizabeth Siddal, che ha incarnato nell’opera rossettiana un mondo nutrito dalla lirica di Dante, nella quale l’amore è dominante, anche se oscurato dall’inevitabilità della morte imminente, si sostituisce una iconografia che simboleggia la pienezza sensuale degli anni Sessanta. Concorrono a determinare tali immagini una serie di elementi.

Primo fra tutti lo stretto rapporto di Rossetti con Whistler, che ha importato da Parigi quell’ideale dell’arte per l’arte, che attraverso il culto baudelairiano della bellezza, propone la concezione della “femme fatale”. Inoltre l’amicizia con Swinburne, aedo della nuova religione cui si deve, nel saggio su Blake (1868), un virtuale manifesto dell’estetismo. Infine, la rottura con Ruskin, sempre più avviato verso rigide intransigenze moralistiche. Teorico negli anni Cinquanta del “truth to nature” (verità secondo natura), lo studioso ha difeso l’imperfezione come essenziale a tutto ciò che conosciamo.


Bocca baciata (1859); Boston, Museum of Fine Arts.


Aurelia (L’amante di Fazio) (1863-1873); Londra, Tate.


Lady Lilith (1866-1868 poi ripreso 1872-1873); Wilmington, Delaware Art Museum.

Ritratto di Elizabeth Siddal (1854); Cambridge, Fitzwilliam Museum.


Tiziano, Donna allo specchio (1512-1515); Parigi, Musée du Louvre. I dipinti degli anni Sessanta, specie della prima metà, riflettono l’interesse di Rossetti per la pittura veneziana. Ne è un esempio Lady Lilith, che rimanda in modo puntuale a Donna allo specchio di Tiziano. Elizabeth Siddal era morta nel 1862 e con lei era tramontato anche un certo tipo spirituale di donna che aveva dominato la ritrattistica femminile di Rossetti fino a quel momento, per lasciare il posto a una bellezza muliebre opulenta e sensuale. Modella di Lady Lilith è la nuova giovane amante del pittore, Fanny Cornforth, cui verrà però sovrapposto il volto di Alexa Wilding nella ripresa del dipinto risalente agli anni 1872-1873. Lilith è, nella mitologia giudaica, la prima moglie di Adamo, cui erano associati aspetti quali l’adulterio, la stregoneria e la lussuria.

Il saluto di Beatrice (II) (1859), particolare; Ottawa, National Gallery of Canada.


Il sogno di Dante (1871); Liverpool, Walker Art Gallery.


Il pergolato blu (1865); Birmingham, Birmingham University, Barber Institute of Fine Arts.

«Irregolarità e manchevolezze non sono soltanto segno di vita, ma anche di bellezza [...] bandire l’imperfezione significa distruggere l’espressività, reprimere lo sforzo, paralizzare la vita», afferma infatti nel volume Le pietre di Venezia (1851-1853). Ma alla generazione che giunge a maturità negli anni Sessanta si addice l’estetica da serra, che Rossetti fissa nelle sue «figure femminili circondate da fiori», giusta la definizione del fratello William Michael. L’influsso della pittura veneziana sulla sua arte è soprattutto rilevante nella prima metà di quegli anni, anche se il suo interesse è più antico, se si pensa che il sonetto Per una pastorale veneziana, dedicato alla Festa campestre di Giorgione, è datato 1849. Il poeta vi traccia una sorta di diagramma del flusso di coscienza riferito a un ipotetico spettatore, e lascia intravedere una terra di oblio dove la bellezza dei sensi, la pace, il languore, la tristezza, il piacere, si mescolano a formare una rapinosa armonia. Canto di un mondo dell’immaginazione, condiviso con Swiburne, che elogia il sonetto dopo aver visto il dipinto di Giorgione al Louvre nel 1861. Un clima adatto a influenzare anche Pater, che in La scuola di Giorgione (1877) sottolinea anch’egli l’istante ideale. Rossetti si muove in un clima swinburniano, con il poeta divide per alcuni anni la casa, in un’intesa fervida ed entusiastica: mentre l’uno scrive Atalanta in Calydon e la maggior parte di Poems and Ballads, l’altro dipinge quei volti femminili cui l’amico dedica infuocate parole. Tudor House è il santuario degli esteti, si leggono I fiori del male di Baudelaire, Justine di De Sade, Mademoiselle de Maupin di Théophile Gautier, Rubaiyat of Omar Khayyam nella traduzione di Edward FitzGerald. La fiducia nel momento estetico diviene vitale in antitesi alle inibizioni del clima vittoriano e l’interprete più sottile e tenace ne diviene Pater, quando nella sua Conclusion to the Renaissance (1873) giunge a individuare il senso della vita nel «cercare di afferrare qualunque passione squisita, qualunque contributo alla conoscenza [...] o qualunque eccitazione dei sensi, strane tinte, strani colori, e odori curiosi o opera di mano d’artista o il volto di un amico».

Nel distacco dal mondo, in quella che egli definisce come espressione dell’individualità nel suo isolamento, cui non giunge più alcuna voce dalla realtà, poiché ogni spirito custodisce, come un prigioniero, il sogno di un mondo, è ulteriormente ribadito il concetto dell’“art for art’s sake”. Il concentrarsi sulla compiutezza dell’esperienza estetica diventa motivo chiave di tutta una cultura.

Si è sostenuto che le figure rossettiane di ascendenza veneta, ricche di armonie cromatiche, oltre che di assonanze letterarie, siano dotate di un fascino misterioso, capace di generare forti tensioni. Un effetto connesso, secondo Elizabeth Prettejohn, alle prospettive tipiche di dipinti che collocano la figura prepotentemente in primo piano, per evitare che venga assorbita dallo sfondo. Quasi la si volesse indurre a superare i limiti della superficie pittorica, delimitata da una sorta di cornice, ispirata anch’essa ai quadri veneziani. Cornice costituita ora da una densa massa di caprifogli, come in Venus verticordia (1864-1868), ora sottolineata da un fanciullo nero con un mazzo di rose, come in L’amata (1865-1866). Il tutto accresciuto dagli effetti del colore, distribuito allo stesso modo sia nello sfondo sia in primo piano. Da Tiziano Rossetti trae l’opulenza della tavolozza, la ricchezza di superfici che tendono ad assumere una loro autonomia anche nei confronti della figura. A tale proposito si può anche risalire a un’osservazione di Ruskin, che nel primo volume di Modern Painters (1843) ha analizzato il Bacco e Arianna di Tiziano (1523), ora nella collezione della National Gallery, e ha sottolineato come l’artista abbia sacrificato la verità della prospettiva atmosferica nell’interesse di uno “splendore” cromatico ottenuto dipingendo allo stesso modo il blu delle montagne lontane e quello della veste di Arianna in primo piano. «È difficile immaginare qualcosa di più magnificamente impossibile», afferma ammirato. Rossetti tende a esaltare le proprietà dell’olio allo scopo di ottenere colori profondi; realizza un’integrazione delle armonie cromatiche su tutta la superficie del dipinto, ispirandosi a opere tizianesche come ad esempio Donna allo specchio, della quale possiede una fotografia. Ma, per analogia, altre opere di Tiziano possono essere citate, quali la Flora degli Uffizi, ricordata da Ruskin a proposito di Venus verticordia, la più swinburniana di tutte le opere di Rossetti. Il pittore accompagna generalmente i suoi dipinti con un sonetto, legato al titolo dell’opera, per accentuarne la risonanza, rovesciando, rispetto alle esperienze degli anni precedenti, il rapporto fra immagine e fonte. Titoli e sonetti celebrano l’amore e la bellezza: L’amata rappresenta la sposa del Cantico dei cantici, il biblico inno alla passione fisica e spirituale; Lady Lilith è la prima moglie di Adamo, descritta nel Faust di Goethe come la seduttrice che imprigiona gli uomini nei suoi capelli; Venus verticordia è l’antica dea dell’amore, associata da Rossetti a Eva e a Elena di Troia. La patetica Sancta Lilias (1874) raffigura, secondo una definizione di Borges, «la sventura di un’anima, che in paradiso rimpiange la felicità conosciuta in terra». Il mescolare cielo e terra, aspirazioni spirituali e stimoli terreni si manifesta in Rossetti, come si è già osservato, fin dagli anni giovanili e si riflette in tutta la sua opera. Ritmo e suono prodotti dalle parole generano associazioni allusive, in qualche modo analoghe al particolare uso della prospettiva adottata dall’artista, creando inediti legami con l’immagine. Il colore della pittura veneziana è tradizionalmente associato al piacere dei sensi e la sensualità è connotazione propria della personalità rossettiana.


Monna Vanna (Belcolore) (1866); Londra, Tate.


Rêverie (II) (1869); Oxford, Ashmolean Museum.


Regina cordium (1866); Glasgow, Art Gallery and Museum. La modella di “Regina di cuori” è Alexa Wilding, che contrariamente ad altre muse del pittore intrattenne con Rossetti solo rapporti di tipo professionale. Il titolo latino, Regina cordium, ricorda l’appellativo “Regina coeli” dato alla Vergine Maria, ma qui l’oggetto di culto, la protagonista del dipinto, non è una figura sacrale, bensì una donna dalla prorompente bellezza profana.


Venus verticordia (1864-1868); Bournemouth, Russell-Cotes Art Gallery and Museum.

L’amata (La sposa) (1865-1866); Londra, Tate.


Sibylla palmifera (1866-1870); Port Sunlight (Liverpool), Lady Lever Art Gallery. Anche per la Sibylla palmifera a posare fu Alexa Wilding, ritratta in un’ampia veste rossa e circondata da una serie di simboli che alludono soprattutto all’amore e alla morte. Al primo rimanda, per esempio, la corona di rose e l’amorino scolpito, con la benda sugli occhi, sulla sinistra del dipinto, mentre la seconda è richiamata, sul lato destro, dai papaveri, dai rilievi del teschio e della sfinge alata e dalle farfalle, simbolo dell’anima.


Presto Ruskin si indigna, accusando l’artista di imbrattare i dipinti; in una sua lettera rivolge un’aspra e minuziosa attenzione critica ai fiori di Venus verticordia.

Intende stigmatizzare il nuovo modo di dipingere di Rossetti, il contenuto erotico dei suoi quadri. Finisce così un legame iniziato al tempo della Confraternita del 1848; i due si sono incontrati davanti a Dante, il grande esponente profetico del cuore del Medioevo; la generosità del critico ha radicalmente cambiato la vita dell’artista, ma alla lunga le chiusure moralistiche dell’uno, le radicali impazienze dell’altro, creano una frattura incolmabile.

In quegli anni, nonostante la reticenza del pittore a esporre in pubblico, la critica inizia a interessarsi attivamente alla sua arte; ne esalta l’assenza di aspetti narrativi, la paragona al lirismo di climi tizianeschi e giorgioneschi. Egli assume così un ruolo guida nelle tendenze contemporanee. La formula ha molta fortuna, ma presto il tema della bellezza, seppure trattato con variazioni splendide e virtuosistiche, diviene soffocante. Una vasta serie di volti, sia che rappresentino la bellezza del corpo o quella dell’anima (Sibylla palmifera del 1866-1870), contrasta con il tono sempre più drammatico assunto dalla sua vita.

L’artista trasmette instancabilmente all’immagine femminile gli allarmi, le estasi, le vacuità, le disperazioni della sua anima.

Poiché per lui dipingere la sua anima è dipingerne il simbolo, cioè la donna, creatura non dotata di vita propria, fantasma delle sue notti. A Dante risale il culto cavalleresco della “donna angelicata, simbolo dell’anima” e al Simposio di Platone il coincidere di lei con l’altra metà, cui ci si ricongiunge solo dopo la morte. Un tema dominante nelle liriche rossettiane de La Casa della Vita, ribadito da Pater, che attraverso un’originale interpretazione del pensiero platonico esprime anch’egli il rimpianto per un’unità armoniosa dell’essere umano, ormai perduta.

Il periodo più acutamente sensuale dell’attività rossettiana è finito; l’immagine di Jane Morris diviene dominante, l’interesse per l’arte italiana si sposta dai pittori veneziani verso i fiorentini, in particolare verso Botticelli e Michelangelo. Vediamo nascere nella sua opera, e permanere fino alla fine, la propensione per un linearismo e una raffinatezza estetizzante di matrice botticelliana. Sono opere dotate di morbida sinuosità decorativa, indizio di una rielaborazione di elementi proto-rinascimentali, mescolati a suggestioni classiche, sollecitate dalla riapertura della Elgin Collection al British Museum (1869).

Rossetti aderisce, come ancor più intensamente accadrà a Burne-Jones, all’interpretazione estetizzante di Botticelli proposta da Swinburne e Pater. Né va dimenticato l’influsso di opere botticelliane presenti nella collezione della National Gallery. Inoltre, nello studio già citato sui disegni dei maestri fiorentini, Swinburne esalta alcune teste divine di Michelangelo, facendo coincidere l’immagine del tormentato artista con una serie di figure «più belle del cielo e più terribili dell’inferno». Vi individua una strana bellezza, oscillante fra gli estremi emotivi di piacere e di orrore. Elementi che attraggono Rossetti, e che ritroviamo nei suoi dipinti.

«Quando l’immagine diventa carne e sangue, si trasforma in un’apparizione di terribile e magnifica intensità», afferma Henry James nel 1869, dopo avere incontrato Jane Morris durante una visita allo studio rossettiano. Dall’immagine di Proserpina (1873-1877), la dea dell’Ade con il melograno in mano, triste simbolo di sposa prigioniera, la fisionomia di Jane, la donna disperatamente amata dall’artista, diviene veicolo dei suoi nuovi interessi formali oltre che icona dominante un’ispirazione sempre più drammatica, iterata insistentemente in figurazioni di spose infelici come Pia de’ Tolomei (1868-1880), e in creature mitiche come Pandora (1878) o Astarte syriaca (1877). La singolare figura di lei dà nuovo alimento all’immaginazione del pittore attraverso un’infatuazione erotico-idealizzante, nella quale è avvertibile anche un rifiuto del semplice erotismo. A Jane, donna dalla bellezza imponente, dalla personalità elusiva, Rossetti si lega sempre più strettamente in una devozione dolorosa, che coagula tutte le sue angosce. Complessa tortura spirituale, in cui ritorna spesso il sogno narcisistico dell’alter ego. Michelangelo diviene punto di riferimento per le forme possenti di molti dipinti tardi che la ritraggono.


Studio per Mariana (1870); New York, Metropolitan Museum of Art.


Il salotto sul prato (1872); Manchester, Manchester Art Gallery.


La ghirlandata (1873); Londra, Guildhall Art Gallery. La figura femminile, interpretata come un’incarnazione dell’amore e della bellezza, suona un’arpa – strumento, per definizione, celestiale – immersa in un tripudio di foglie e fiori, tra cui rose e caprifoglio, sotto lo sguardo di due angeli assorti. La modella, ancora una volta, è Alexa Wilding. Per i due angeli posarono invece May e Jane Morris, rispettivamente la figlia decenne e la moglie di William Morris.

Proserpina (1873-1877); Manchester, Manchester Art Gallery.


Pia de’ Tolomei (1868-1880); Lawrence, University of Kansas, Spencer Museum of Art.


Pandora (1878); Port Sunlight (Liverpool), Lady Lever Art Gallery.

Dal 1873 l’artista si è interessato ai sonetti di Michelangelo, attratto dall’aspetto romanzesco dei suoi rapporti con Vittoria Colonna, nei quali vede un’analogia con il carattere della sua relazione con Jane. Concepisce l’idea di tradurli, dopo averli letti in compagnia di lei, e s’ispira, nel ritrarla, ad alcuni disegni michelangioleschi che allora si ritenevano riferibili alla fisionomia di Vittoria. Michelangelo è pittore e poeta, come lui, e come l’amato William Blake, anch’egli profondamente influenzato da Michelangelo e interessato al rapporto fra corpo e anima, cielo e terra. Dante Gabriel, leggendo la biografia cinquecentesca dell’artista italiano scritta da Ascanio Condivi nell’edizione del 1746, è colpito dall’alone romanzesco, ricco di pathos adombrato nella descrizione del legame con la nobile dama. Dedica infatti un sonetto al rimpianto del vecchio Michelangelo per aver baciato, al letto di morte di lei, soltanto la sua mano e non il volto. Negli ultimi anni, creature gigantesche, dal collo a colonna, dalle labbra fortemente accentuate, dalla capigliatura enfatica, dallo sguardo scuro, intendono rappresentare, come nell’opera michelangiolesca, il tormento nel voler conciliare carne e spirito. Idealizzando un’immagine femminile lontana da ogni naturalismo, capace di unire specifiche caratteristiche fisiche a idee visionarie, Rossetti interpreta in modo del tutto personale alcuni elementi michelangioleschi. Alle figure di grandi taciturne, che incarnano i miti tardi dell’artista, talora nutrite anche di echi leonardeschi, ispirati alla lettura della Gioconda operata da Pater, si alternano immagini diversamente imponenti, che sembrano recuperare atmosfere liriche, alimentate da un’attenzione per particolari botanici di antica ascendenza preraffaellita.

È il caso in particolare di Una visione di Fiammetta (1878), il cui titolo è tratto da un sonetto di Boccaccio, che celebra la bellezza e insieme la morte dell’amata. È vicina a un gruppo di opere che mirano a risultati di morbida sensualità decorativa, assumono il “pathos formale” della linea di ascendenza botticelliana e preludono alle morbide articolazioni della cultura di fine secolo. Attraverso la grazia di un bel volto e di una magnifica figura, resi con contrasti cromatici finemente orchestrati, Rossetti costruisce una visione di ineffabile bellezza, «cinta di mestizia nella ricca fiorita primaverile del melo», affidandole il compito di contrastare l’approssimarsi della morte, come sempre strettamente legata all’amore.

«Ed ecco la sua anima intende / la vita in tumulto, sconvolta, fuggente, e la morte vicina. / Tutto s’agita e muta. Le sue vesti agitano l’aria: / L’angelo volando intorno all’aureola / brilla sul tronco grigio dell’albero / mentre ella bellissima, con occhi rassicuranti / sta come presagio e promessa, / quasi arcobaleno dell’Anima sull’oscura tempesta della morte». Come in Beata Beatrix, compare un uccello messaggero di morte, ma il dramma appare attutito da un estremo desiderio di celebrare la bellezza, seppure resa vagamente inquieta da sottolineature manieristiche nei gesti, nel rapporto fra la piccola testa e un corpo grandioso. Un’eco ancora del pathos michelangiolesco. Il ruolo dell’immagine rossettiana nella genesi del simbolismo europeo è ormai noto, l’originalità nell’uso del simbolo non è tanto costruita da corrispondenze codificate con elementi visibili, o dal ricorso all’allegoria per adombrare in immagini una realtà morale, ma dalla sua adozione come dato rivelatore di significati segreti, al limite dell’inconoscibile.

Nel ritratto dedicato all’artista, Arthur Symons sostiene come Rossetti abbia un suo modo di appropriarsi di forme e visioni, le più sensuose, le più nervosamente appassionate. Egli tocca un punto che dà voce alla nevrosi e una forma all’angoscia, esalta la ricerca della bellezza come fede precisa e individua una linea fantasticovisionaria, nutrita di energia profetica, la cui importanza va ben al di là della sua stessa opera.


Astarte syriaca (Venus Astarte) (1877); Manchester, Manchester Art Gallery.

Una visione di Fiammetta (1878).



Incantesimo marino (1877); Cambridge (Massachusetts), Fogg Art Museum.

ROSSETTI
ROSSETTI
Maria Teresa Benedetti
Dante Gabriel Rossetti (Londra 1828 - Birchington-on-Sea 1882): poeta romantico,cultore di Dante Alighieri, appassionato di Medioevo e di misteri, simbolistaestetizzante, è il più perfetto rappresentante dei preraffaelliti. Il gruppo,che comprendeva anche Millais, Hunt, Brown, caratterizzò la pittura inglese diepoca vittoriana con le sue composizioni antiaccademiche ispirate al Quattrocentoitaliano, da loro considerato il momento di massima purezza e genuinitàespressiva dell’arte europea. Rossetti, figlio di un esule italiano, a vent’annitradusse in inglese la Vita nuova di Dante e fu tra i fondatori della citata confraternita.Aveva iniziato a dipingere da adolescente e prestissimo si innamorò esposò una sua modella, Elizabeth Siddal, che rimase per sempre il suo puntodi riferimento. La moglie fu a lungo soggetta a una dipendenza dal laudano, emorì per overdose nel 1862. Per l’artista seguì una china di dipendenze, depressione,malattie e squilibri mentali. La sua produzione è caratterizzata dauna potente capacità evocativa di mondi simbolici idealizzati, densi di sensualitàe mistero, popolati di modelle identiche alla sua Elizabeth. A Rossetti e aSiddal è dedicata una grande mostra ora a Londra.