Camera con vista

CALVINO
NEL GRANDE SCHERMO

Luca Antoccia

Nel centenario dalla nascita di Italo Calvino (1923-1985) non può mancare un omaggio al rapporto tra il cinema e lo scrittore, uno degli autori più complessi, proficui e rivelatori del Novecento, rapporto peraltro oggetto di numerosi studi (a partire da quello di Vito Santoro, Calvino e il cinema, 2011). Intanto perché Calvino inizia come recensore di film per “L’Unità” e “Cinema Nuovo” e continua a farlo per tutti gli anni Cinquanta. Poi perché nella sua formazione giovanile a Sanremo (Imperia), come rivela il suo testo chiave Autobiografia di uno spettatore (1974, prefazione al volume Fellini: quattro film), nutre il suo immaginario di cinema americano degli anni Trenta-Quaranta (e nella più tarda parentesi parigina frequenta assiduamente la Cinémathèque française). Comincia così Calvino ad abitare mondi immaginari, che gli saranno sempre preziosi quanto e più di quelli reali, e a pensare che la distanza che separa il cinema dalla realtà sia in definitiva la sua forza. Paragona Chaplin a Picasso, apprezza molto Capra e Borzage, e soprattutto Orson Welles, il cui film, L’infernale Quinlan (1958), è oggetto da parte dello scrittore di una lettura metastorica molto interessante. Non ama il neorealismo ma ammira Antonioni e in parte Fellini il quale, a sua volta, pensa di portare sullo schermo le Fiabe italiane di Calvino, progetto purtroppo arenatosi presto. L’idea della maturità è che una sorta di “cinema mentale” preesista al cinema vero e proprio e sia presente già in ogni scrittore a cominciare da Dante come densità visiva e immaginativa. Concetto che è alla base di Palomar ed è sviluppato in una delle Lezioni americane, quella sulla Visibilità. Molti, infine, sono i film tratti o ispirati da opere di Calvino. Tra questi, Boccaccio ’70 (1962) di Monicelli, De Sica, Fellini e Visconti dagli Amori difficili e dall’Avventura di due sposi, mentre uno dei quattro episodi dell’Amore difficile (1963) di Bonucci, Sollima, Manfredi e Lucignani dall’Avventura di un soldato. E ancora, il racconto Furto in una pasticceria è spunto sia per I soliti ignoti (Monicelli, 1958, sia per la pellicola che è forse la più leggera e calviniana, il film americano Palookaville (Alan Taylor, 1995) abilmente intrecciato con altre due storie, Un letto di passaggio e Desiderio in novembre (quest’ultima contenuta nella raccolta Ultimo viene il corvo). Ma forse il contributo più suggestivo e consonante viene da Manfredo Manfredi nel mirabile tentativo di animare con la sua matita visionaria le atmosfere delle Città invisibili nell’omonimo film del 1998. Infine, c’è come la sensazione che l’influenza di Calvino, la sua combinatoria narrativa, in particolare, sia più pervasiva e sotterranea di quanto le filmografie non dicano. Tanto cinema moderno, da Greenaway a Lynch, da Altman a Terry Gilliam gli deve qualcosa.


Un frame da Palookaville (1995), di Alan Taylor.

ART E DOSSIER N. 409
ART E DOSSIER N. 409
MAGGIO 2023
In questo numero: STORIE A STRISCE: Il papà di Pimpa e Cipputi di Sergio Rossi; BLOW UP: Newton, l’elegante provocatore Erwitt, l’ironico osservatore di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Pistoletto a Roma - Nella bellezza tutto si rigenera di Ludovico Pratesi ; GRANDI MOSTRE. 2 - Lucio Fontana a Firenze - Contemplando l’infinito di Lauretta Colonnelli...