Studi e riscoperte. 3
ARTE E DEIEZIONI UMANE

NON APRITE
QUEL BARATTOLO

SE OGGI SI POSSONO CREARE OPERE DOVE CIÒ CHE CONTA È IL CONCETTO PIÙ CHE LA SCELTA DEL SOGGETTO E LA QUALITÀ FORMALE, PERCHÉ NON PARLARE DELLE TESTIMONIANZE LEGATE, GIÀ DAL MEDIOEVO, AL TEMA DELL’EVACUAZIONE? UN TEMA CHE RIMANDA A QUALCOSA DI BRUTTO E CHE NON PUÒ NON CHIAMARE IN CAUSA MERDA D’ARTISTA DI MANZONI. LA FAMOSA SCATOLETTA CHE, A DISPETTO DEL TITOLO, NON SAPPIAMO DAVVERO COSA CONTENGA. APRIRLA PER SCOPRIRLO? MEGLIO DI NO, IMMAGINIAMOLO.

Mauro Zanchi

Vi sono molti artisti contemporanei che si sono cimentati col tema della merda, di per sé un soggetto facilmente assimilabile a qualcosa che ha poco valore e collegato alla poetica della bruttezza e dello scarto naturale. Difficilmente qualcuno potrebbe cadere preda di una sindrome di Stendhal osservando queste opere.

Ma in un periodo storico in cui ha molta importanza l’idea irriverente, l’aspetto concettuale di un’opera o di una ricerca, il soggetto, la qualità formale o l’abilità tecnica dell’artista non hanno più il peso che avevano in passato. Mi riferisco, per esempio, a Bear Sculpture (1992) di Paul McCarthy, un impertinente orso di peluche colto con un sorriso mentre sta defecando; a Complex Shit (2008) o a Complex Pile (2007), ovvero enormi stronzi gonfiabili realizzati dallo stesso artista americano e presentati, rispettivamente, nelle esposizioni East of Eden. A Garden Show allo Zentrum Paul Klee di Berna (2008) e Mobile M+: Inflation! nel distretto culturale West Kowloon di Hong Kong (2013); a Cloaca (2000) di Wim Delvoye, una grande installazione di vasi alchimistici in grado di fungere da intestino artificiale che trasforma il cibo in merda; a Excremento y Caviar (2011) di Wilfredo Prieto; alle feci monumentali realizzate nel 2018 dal collettivo austriaco Gelitin. Queste indagini visuali sul fecale hanno radici più antiche e arretrano nel tempo, passando dagli anni Sessanta del Novecento all’Ottocento, fino al Medioevo.

Merda d’artista (1961) di Piero Manzoni parrebbe una parodia delle Scatole d’amore in conserva (1927), una raccolta di racconti di Filippo Tommaso Marinetti, illustrata da Carlo Petrucci e Ivo Pannaggi. L’artista milanese trasforma la scatoletta di latta che contiene amore in qualcosa che è ritenuto di basso valore. L’idea di Marinetti anticipa un processo che verrà sdoganato e declinato in molte varianti dalla Pop Art negli anni Sessanta. Manzoni probabilmente parte da un’idea di Marinetti, ma concepisce il rapporto materia- contenuto in una maniera opposta rispetto alle intenzioni futuriste. L’atteggiamento di “rottura” che accomunava Manzoni, Fontana, Burri, Schifano e altri artisti italiani di quel periodo discende dalle “soirées” futuriste. Ma questo atteggiamento è riscontrabile anche nelle opere dei dadaisti e nei ready-made demistificatori e ironici di Duchamp, soprattutto nell’Orinatoio del 1917. Ma prima ancora, nel 1898, già Toulouse-Lautrec era stato protagonista in una serie di fotografie (scattate dall’amico di infanzia Maurice Joyant) con la sua beffarda azione intitolata Performance contro il mondo, merda d’artista sulla spiaggia, dove il noto pittore è colto in vari momenti mentre sta andando di corpo. Anche Alfred Jarry, attraverso la figura principale della sua opera teatrale Ubu roi (1896), conferisce dignità letteraria alla parola “merde”. Successivamente prendono corpo le “coprolalie” surrealiste.


IN MOLTE MINIATURE IRONICHE MEDIEVALI E RINASCIMENTALI REALIZZATE DA MONACI, SIA PERSONAGGI PROFANI SIA FIGURE RELIGIOSE SONO RAPPRESENTATI MENTRE STANNO DEFECANDO O MENTRE STANNO RACCOGLIENDO LE FECI


Piero Manzoni, Merda d'artista (1961), Milano, Museo del Novecento.


Iniziale "F" tratta da Recueil de Chants Religieux et Profanes (1542), Cambrai, Bibliothèque Municipale.


Paul McCarthy, Bear Sculpture (1992), esposta in occasione della mostra Palatino contemporaneo. Da Duchamp a Cattelan. Arte contemporanea sul Palatino (Roma, Foro palatino 28 giugno - 29 ottobre 2017).

L’associazione tra analità e opera d’arte (anche tra oro e feci) è poi un tema ricorrente della letteratura psicoanalitica di Jung. Qualche traccia, sempre di tipo psicoanalitico, può essere stata presente anche nell’idea che ha portato alla realizzazione di Merda d’artista. Piena di materiale di scarto, attraverso la visione trasmutativa dell’arte alchemica, questa, come altre opere dello stesso genere, contiene anche “sostanza filosofica”. Piero Manzoni era stato disconosciuto e cacciato di casa dal padre (che lo considerava la pecora nera della famiglia), ovvero dal celebre industriale che per primo inventò in Italia la “carne in scatola”, la famosa Manzotin.

L’opera-cortocircuito dell’artista è allo stesso tempo una “vendetta” contro il padre (e contro il mercato dell’arte) e una parodia che fa il verso a un gesto e a un atteggiamento futuristi. E poi, chi sa se effettivamente nella scatoletta ci sono feci o qualcos’altro(*). Se noi pensiamo che dentro siano contenute feci è perché Manzoni è riuscito a farcelo credere: questa è una idea, un concetto, che ha catturato l’attenzione anche dell’indifferente mondo di chi non frequenta l’ambiente dell’arte. Se qualcuno ingoiasse dei diamanti o delle pepite d’oro e dovesse defecarli per poterli rivendere, allora ci sarebbe un grande interesse per quel tipo di merda da parte di chi dà molta importanza al denaro e alle cosiddette “pietre preziose”. Non a caso l’artista milanese decise di vendere ogni barattolo al prezzo corrispondente al valore di trenta grammi di oro.

Penso che non si debba ridurre l’azione polisenso, racchiusa nell’opera in questione, in mera provocazione e che sia indispensabile fare confronti con le opere dei più geniali protagonisti internazionali di quel periodo storico, in primis Yves Klein, con cui il nostro artista fu al contempo allineato e in competizione. Ritengo, inoltre, fondamentale collegare Merda d’artista anche ad altre opere di Manzoni, precedenti e successive.

I Padri della Chiesa hanno asportato dall’ano qualsiasi possibilità che non fosse solo escrementizia e hanno demonizzato l’orifizio immondo. Vi sono molte miniature ironiche medievali e rinascimentali realizzate da monaci, dove sia personaggi profani sia figure religiose sono rappresentati mentre stanno defecando. Per esempio, in una miniatura francese del Prose Lancelot (1316), il re è raffigurato di spalle mentre sta lasciando cadere le sue feci sulle teste di due amanti che si stanno baciando, entro una superficie circolare (Londra, British Library, Add MS 10294/1, fol. 1); in un “marginalia” presente in Chronicles (XV secolo) di Jean de Wavrin, una specie di scimmia si sta allargando l’ano per evacuare meglio gli escrementi grigiastri, a poca distanza da un porcospino che guarda la scena (Londra, British Library, MS Royal 15 E IV, f. 180r.). E ancora, nell’iniziale “F” tratta da Recueil de Chants Religieux et Profanes (1542), conservata nella Bibliothèque Municipale di Cambrai, un uomo nudo pone un contenitore sotto il ramo di un albero dove è appollaiato un uccello, per raccogliere contestualmente le sue feci. Nei “marginalia” dei codici miniati anche numerosi animali sono raffigurati mentre si leccano l’ano successivamente alla “defecatio”.

In un certo senso, l’opera provocatoria di Manzoni innesca un cortocircuito che prende di mira le strategie su cui è fondata la società della mercificazione, che riesce a monetizzare qualsiasi cosa, persino da tutto ciò che è repulsivo, e a generare soldi mettendo sul mercato barattoli con etichette dove si dichiara che il contenuto è la vile materia degli escrementi dall’odore sgradevole. La presenza della merda nella storia dell’arte non è un’invenzione di Manzoni. Lui l’ha solo chiusa in una scatola e messa sul mercato del capitalismo novecentesco.

In Tropico del Cancro (1934), Henry Miller suggerisce che «l’uomo può anche giungere ad amare la merda se da questo dipende il suo vivere, se ne va della sua felicità».


DIFFICILMENTE QUALCUNO POTREBBE CADERE PREDA DI UNA SINDROME DI STENDHAL OSSERVANDO QUESTE OPERE. MEMORABILE, TUTTAVIA, TOULOUSE-LAUTREC CON LA SUA BEFFARDA AZIONE SULLA SPIAGGIA


Henri de Toulouse-Lautrec in Performance contro il mondo, merda d’artista sulla spiaggia (1898), fotografato dall'amico d'infanzia Maurice Joyant.


Paul McCarthy, Complex Pile (2007), esposta in occasione della mostra Mobile M+: Inflation! (Hong Kong, distretto culturale West Kowloon, 25 aprile - 9 giugno 2013).

ART E DOSSIER N. 409
ART E DOSSIER N. 409
MAGGIO 2023
In questo numero: STORIE A STRISCE: Il papà di Pimpa e Cipputi di Sergio Rossi; BLOW UP: Newton, l’elegante provocatore Erwitt, l’ironico osservatore di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Pistoletto a Roma - Nella bellezza tutto si rigenera di Ludovico Pratesi ; GRANDI MOSTRE. 2 - Lucio Fontana a Firenze - Contemplando l’infinito di Lauretta Colonnelli...