Grandi mostre. 6
I MOSTRI GIAPPONESI A BOLOGNA

creature da brivido
al riflesso della luna

UN’IMMERSIONE NEL MONDO NIPPONICO POPOLATO DA ESSERI INQUIETANTI, TRA MITI E LEGGENDE, MISTERO E TRADIZIONE, È IL VIAGGIO OFFERTO DALL’ESPOSIZIONE A PALAZZO PALLAVICINI, QUI RACCONTATA DAL CURATORE.

Paolo Linetti

Fino al 23 luglio a palazzo Pallavicini (Bologna) è in corso la mostra Yōkai. Le antiche stampe dei mostri giapponesi, curata da chi scrive e prodotta da Vertigo Syndrome. L’evento, patrocinato dal Consolato generale del Giappone, si presenta come un viaggio fantastico attraverso storie che miscelano leggende, brivido e mistero attraverso duecento opere dei più “spaventosi” artisti giapponesi del XVIII e XIX secolo. Xilografie, fra cui opere di Hokusai e Hiroshige, rari libri antichi, armi, armature da samurai, abiti storici, un prezioso ventaglio da guerra di un generale, specchi e la pregiata collezione Bertocchi di “netsuke”, piccole sculture in avorio.

Stiamo assistendo negli ultimi anni a una vera e propria riscoperta dei mostri giapponesi che stanno diventando una moda per gli occidentali. Tuttavia, troppo spesso l’approccio è condizionato da lacune verso l’altra cultura o verso la propria, creando erronee linee interpretative; oppure i mostri vengono raccontati da un occhio eccessivamente tecnico che non si pone dal punto di vista del lettore generico, dando per scontate troppe cose. In Occidente, si utilizzano sovente in maniera sbagliata termini e concetti quali soprannaturale, mitologia, paranormale, demoni, che in realtà non possono essere usati nel contesto giapponese, caratterizzato da parametri critici diversi e dove si può parlare unicamente di criptonaturale, folklore e leggende, preternaturale e orchi.

In mostra, i visitatori divengono pellegrini alla scoperta, idealmente, delle differenze culturali, percorrendo la via del Tokaido con alcune delle Cinquantatre stazioni parallele del Tokaido di Hiroshige, Kuniyoshi e Kunisada. Le sezioni dell’evento si affacciano lungo l’itinerario espositivo “presentate” dalle tipiche tende delle locande giapponesi, i “noren”, sulle quali ideogrammi ed emblemi preannunciano la tematica presa in esame: “L’epoca dei valorosi samurai”; “Il rituale delle cento candele”; “La lunga via del Tokaido”; “Il notturno giapponese”, che ci introduce nella sapiente gestione della suspence nei racconti di paura nipponici; “La vendetta oltre la morte” con storie di donne ingannante e tradite che si vendicheranno come fantasmi persecutori. E ancora le sezioni che comprendono mostri acquatici, delle foreste e delle case infestate da creature inquietanti ci presentano tipologie di “yōkai” (letteralmente mostri), rendendo evidente come questi più sono lontani dai villaggi e più hanno sembianze aberranti e informi, in confronto a quelli delle foreste e dei nuclei urbani che assumono un aspetto più antropomorfo.

La sezione “Yōkai” va a delineare meglio i mostri generici, presentando nella successiva i “bakemono”, ossia i mostri trasformisti che prendono l’aspetto di cose e persone. C’è poi una sala dedicata alla stampa più iconica di Kuniyoshi: quella dov'è raffigurata la principessa strega Takiyasha che evoca lo spirito del padre nelle forme di un enorme scheletro, per vendicarne l’ingiusta esecuzione a opera del tradimento del cugino; e ancora, le armature antiche, che ci presentano nella loro bellezza il commiato dall’epoca eroica dei samurai.

Nel periodo del novilunio, i servitori facevano scorrere veloci su binari gli “shoji”, pareti divisorie in legno e carta, per modificare la struttura interna della casa e creare così un unico grande ambiente adatto ad accogliere lo svolgimento del rituale delle cento candele. Era l’occasione – come vedremo meglio più avanti – per i “bushi”, i nobili samurai, di dimostrare il proprio valore e coraggio in un periodo dove la lunga pace di Tokugawa (1600-1858), germinata dal sangue di quarantamila teste di nemici mozzate, aveva indebolito enormemente l’importanza dei samurai.

Il periodo Sengoku, teatro delle guerre più efferate e sanguinose, aveva posto in primo piano la figura del “bushi”, rivestendo ogni guerriero di ammirazione e timore reverenziali agli occhi di tutte le altri classi sociali. La lunga epoca di pace creata dallo shogun Ieyeasu (fondatore dello shogunato Tokugawa) iniziò però a rendere il ruolo dei samurai meno incisivo e via via desueto. Alcuni iniziarono un percorso di rovina e miseria, altri di decadimento morale, come predoni e briganti, altri una via edonistica da “kabukimono”, samurai senza padrone, vestiti in modo eccentrico e spesso ridicolo. In questa fase ci furono, inoltre, samurai che si acculturarono, che si dedicarono alla cerimonia del tè, alla coltivazione del crisantemo e della primula.

Così, dalla seconda metà del Seicento questi guerrieri, per mettere alla prova il loro coraggio agli occhi del popolo, si inventarono il rituale delle cento candele. Il gioco-rituale iniziava dopo l’ora del tramonto: i samurai si ritrovavano in una stanza, sistemata per l’occasione, illuminata dalla luce di cento candele. Ognuno raccontava una storia agli altri compagni, popolata da mostri appartenenti alla tradizione giapponese, con l’obiettivo di spaventarli. Al termine dell’esposizione, il narratore doveva alzarsi, spegnere la candela di una lanterna e andare nell’angolo più lontano della sala dove avrebbe trovato uno specchio nel quale riflettere la propria immagine.

Tutto il cerimoniale, con resoconti sempre più terribili e carichi di tensione, era accompagnato dall’oscurarsi progressivo dell’ambiente. Con il passare della notte poi lo spazio, via via sempre più tenebroso, faceva scorrere rapida l’adrenalina nelle vene dei partecipanti. Alla fine del centesimo racconto, si sarebbe spenta l’ultima candela e sarebbe dovuto apparire un fantasma, Lanterna blu, con corna, kimono bianco, lunghe zanne, unghie e il volto blu.

Questa usanza rapidamente si diffuse dapprima nei quartieri di piacere, dove i samurai cercavano di impressionare le “oiran” (meretrici di lusso), con i racconti spaventosi delle nottate precedenti; e furono proprio le “oiran”, esaltate da siffatte cronache, a copiare questo modello, spesso e volentieri, fermandosi per cautela al novantanovesimo racconto per evitare di evocare l’apparizione del fantasma.


Utamaro, Ragazza rapita dai “kappa” (esseri acquatici che importunano le natanti) (ristampa 1960).


Utagawa Kuniyoshi, Okabe: la storia della pietra del gatto, dalla serie delle Cinquantatre stazioni parallele del Tokaido (1843-1847).


Enjaku, L’attore Yonezo Ichikawa III nel ruolo del fantasma di Oiwa (1864).


UNA SALA È DEDICATA ALLA STAMPA PIÙ ICONICA DI KUNIYOSHI: QUELLA DOV’È RAFFIGURATA LA PRINCIPESSA STREGA TAKIYASHA CHE EVOCA LO SPIRITO DEL PADRE

Kawanabe Kyosai, Il sonno di Kintoki (prima metà del XX secolo).


Hiroshige, Yaji Futakawa e Kitahachi, dalla serie delle Cinquantatre stazioni parallele del Tokaido (1845-1846).


Successivamente, il rituale si propagò dalle case delle “oiran” a quelle della borghesia.

La difficoltà di ricordare cento storie fece sviluppare nell’editoria giapponese la pubblicazione dei cento racconti di terrore che condizionò e sviluppò il genere horror del XVIII e XIX secolo. Protagonisti di queste storie sono gli “yōkai” (ovvero i mostri, come sopra detto). Si incontrano i “kodama”, spiriti delle piante, gli “omukade” (centopiedi giganti e velenosi); gli immensi “kaiju” (bestie solitamente provenienti dal mare); gli “oogumo” (ragni delle caverne dalle dimensioni di vitelli che prosciugano i dormienti); i “bakeneko” (gatti mannari-mammoni a due code); i “gama” (rospi vampiri); o ancora i “bakemono”, mostri mutaforma per nascita come le “jorogumo” (donne ragno); i “tanuki” (simpatici tassi/procioni trasformisti); le “kitsune” (volpi traformiste) e gli “yurei” (spettri e “ritornanti”, ossia “non morti”).

Rappresentati nelle magnifiche opere visibili nell’esposizione bolognese, mostri e spiriti conducono il visitatore in un emozionante viaggio nel folklore nipponico: creature a volte grottesche, altre dispettose, spesso e volentieri spaventose, che abitano da sempre l’immaginario collettivo e il quotidiano degli uomini e delle donne del paese del Sol Levante.

Oltre alle tipologie di mostri appena citati, le xilografie in mostra sono popolate da draghi, orchi, fatali gatti mannari; “kappa”, esseri acquatici che importunano le natanti; “ningyo”, sirene la cui carne profumatissima può donare agli uomini giovinezza o morte atroce; “okiku”, il fantasma inconsolabile di una ragazza che cerca il decimo piatto a lei rubato… Un itinerario alla scoperta di creature e spettri tra brividi e leggende al riflesso della luna.


UNA SALA È DEDICATA ALLA STAMPA PIÙ ICONICA DI KUNIYOSHI: QUELLA DOV’È RAFFIGURATA LA PRINCIPESSA STREGA TAKIYASHA CHE EVOCA LO SPIRITO DEL PADRE


Utagawa Kuniyoshi, La principessa strega Takiyasha e lo scheletro [del padre] da Storia di Utö Yasutaka (1844 circa).


Hokusai, Sirena, “kappa” e mostri marini, da Hokusai manga III (1815).

ART E DOSSIER N. 409
ART E DOSSIER N. 409
MAGGIO 2023
In questo numero: STORIE A STRISCE: Il papà di Pimpa e Cipputi di Sergio Rossi; BLOW UP: Newton, l’elegante provocatore Erwitt, l’ironico osservatore di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Pistoletto a Roma - Nella bellezza tutto si rigenera di Ludovico Pratesi ; GRANDI MOSTRE. 2 - Lucio Fontana a Firenze - Contemplando l’infinito di Lauretta Colonnelli...