Blow up 

NEWTON, L’ELEGANTE PROVOCATORE
ERWITT, L’IRONICO OSSERVATORE

GIOVANNA FERRI

«Amo l’oscurità misteriosa della notte e detesto gli studi fotografici. Una donna non vive davanti a uno sfondo bianco, ma in un appartamento, per strada, su un’automobile». Sono alcune parole pronunciate da Helmut Newton in un’intervista a “Der Spiegel” il 25 novembre 1996, che trovano una perfetta corrispondenza nel suo famoso scatto Rue Aubriot (1975), realizzato a Parigi – città dove visse uno dei periodi più formativi della sua carriera – per Yves Saint Laurent e pubblicato nello stesso anno su “Vogue France”. La scena è ambientata nel quartiere Marais in una strada poco illuminata. La modella è sola, ha una sigaretta accesa, lo sguardo rivolto verso il basso, il volto “scolpito” dal taglio corto dei capelli tirati indietro. Indossa un tailleur pantalone gessato, “mise” rivoluzionaria per l’epoca. Ha un aspetto elegante e piuttosto deciso. Sta aspettando qualcuno? Forse. Il contesto è enigmatico. Ma chiaro è il potere seduttivo emanato dalla sofisticata figura androgina, che sembra come “congelata” in un’atmosfera statica. Soltanto apparentemente, però. Qualcosa potrebbe accadere. Ecco il punto fondamentale. La narrazione: fil rouge della poetica di Helmut Neustädter (anglicizzato in Newton), nato a Berlino nel 1920 da una famiglia altoborghese di origine ebraica, costretto a lasciare nel 1938 il suo paese per evitare di essere deportato nei campi di concentramento nazisti, sorte che toccherà alla sua mentore, Yva (Else Ernestine Neuländer-Simon), pure lei di origine ebraica. Il giovane apprendista ripara in Cina, Singapore e Australia, dove conoscerà la sua futura moglie, l’attrice June Brunell (1923), che dagli anni Settanta decide di dedicarsi alla fotografia con lo pseudonimo di Alice Springs e che avrà con il marito una forte complicità anche sul piano professionale, fino alla fine. Lui scompare nel 2004, lei diciassette anni dopo. Narrazione, dicevamo. Le immagini di Newton offrono, talvolta in modo esplicito, il più delle volte in modo velato, un racconto. Il set, pensato, immaginato, ricostruito dopo un’attenta esplorazione della realtà, trae linfa vitale dalla storia dell’arte: Rue Aubriot non fa venire in mente le “cocotte” dipinte da Ernst Kirchner, esponente di spicco dell’espressionismo tedesco, intorno al primo decennio del Novecento? Dalla letteratura: tra gli autori preferiti da Newton, ci sono Arthur Schnitzler e Stefan Zweig, Raymond Chandler e Sinclair Lewis.


Helmut Newton, Rue Aubriot, Parigi, 1975, per Yves Saint Laurent, “Vogue France”, 1975, Berlino, Helmut Newton Foundation.

Dal cinema, in primis Alfred Hitchcock, dal quale Helmut afferra la prassi di enfatizzare la tensione drammatica, di dare spazio alla pausa, all’incertezza, al rischio attraverso un gioco di ombre, frame imprevedibili, cura meticolosa del linguaggio del corpo, dettagli visibili o parti nascoste che prolungano l’intreccio visivo oltre la cornice. Citazioni in versione patinata di un mondo fatto di moda, ritratti, nudo – le tre principali tematiche care al fotografo – che si prestano anche a una sottile ma incisiva lettura della società del tempo. Che intendono provocare, sfidare, ribaltare i punti di vista mettendo sempre al centro la donna in tutta la sua forza e femminilità. 

A Palazzo reale (Milano) un’imponente retrospettiva (Helmut Newton. Legacy, fino al 25 giugno, www.palazzorealemilano.it), a cura di Matthias Harder e Denis Curti, frutto di una ricerca puntuale nell’archivio sterminato di Newton, offre l’occasione per approfondire il suo lavoro, in apparenza facile da decifrare ma solo a un primo sguardo. 


«A volte, l’aspetto umoristico è nella fotografia, non nella scena fotografata. Voglio dire che può succedere di fotografare una scena meravigliosa e di ottenere una fotografia senza vita, che non trasmette nulla. Poi scatti una foto senza importanza, di qualcuno che si gratta il naso, e viene fuori una grande fotografia», ha dichiarato Elliott Erwitt. E lui di grandi fotografie ne ha fatte parecchie. Nato a Parigi nel 1928 da genitori ebrei, fuggiti dall’Unione Sovietica, approdato poi a New York dove conosce fotografi come Edward Steichen e Robert Capa, grazie al quale viene reclutato nell’agenzia Magnum, a novantacinque anni Erwitt continua a lavorare con la sagacia e l’ironia di sempre. Ma anche con la profondità e la leggerezza di chi riesce a estrarre dal quotidiano aspetti curiosi, che sorprendono, che strappano un sorriso, che trasmettono un impatto emotivo immediato. Il suo segreto? Osservare. Sì, ma come? Con l’attesa e la pazienza: attitudine che gli permette di ottenere l’inquadratura che lo porta poi al magico click. Raramente le sue immagini derivano da una messa in scena. La sua galleria iconografica spazia dal fotogiornalismo alla pubblicità, dal cinema alla fotografia documentaria. Ma al di là dei generi, il suo occhio ama soffermarsi sulle persone, sui bambini, gli animali, i cani al primo posto. Un repertorio vasto di un instancabile fotografo, che ha preso parte attiva al progetto espositivo Elliott Erwitt. Vintage (Abano Terme, Padova, Museo Villa Bassi Rathgeb, fino all’11 giugno, www.museovillabassiabano.it), a cura di Marco Minuz, con centocinquanta fotografie vintage mostrate, a oggi, solo di rado e per la prima volta in Italia.


Elliott Erwitt, Amsterdam 1972.

ART E DOSSIER N. 409
ART E DOSSIER N. 409
MAGGIO 2023
In questo numero: STORIE A STRISCE: Il papà di Pimpa e Cipputi di Sergio Rossi; BLOW UP: Newton, l’elegante provocatore Erwitt, l’ironico osservatore di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Pistoletto a Roma - Nella bellezza tutto si rigenera di Ludovico Pratesi ; GRANDI MOSTRE. 2 - Lucio Fontana a Firenze - Contemplando l’infinito di Lauretta Colonnelli...