Poco dopo accadde un fatto clamoroso che ci viene raccontato da Giorgio Vasari: nel 1507 il maestro, presentando ai fiorentini la pala per l’altare maggiore della basilica della Santissima Annunziata, raccolse feroci critiche soprattutto a causa del ricorso ai medesimi cartoni e alla ripetizione di stilemi ormai seriali. Per l’anziano pittore fu l’inizio della fine.
Ecco allora che l’esposizione alla GNU intende restituire la corretta centralità alla migliore produzione del suo alfiere grazie a circa trenta opere prestate da musei italiani e stranieri che dimostrano chiaramente i motivi per cui Perugino, fino all’inizio del Cinquecento, fosse ammiratissimo e conteso non solo a Firenze, ma anche a Roma – basti pensare all’impresa decorativa della Cappella sistina, dove lavorò con Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli, Luca Signorelli e altri grandi pittori – e poi a Fano (Pesaro e Urbino), a Senigallia (Ancona), a Bologna, a Cremona, a Pavia e fino a Napoli. Una “geografia artistica” che viene ricostruita grazie a decine di dipinti di altri esponenti dell’epoca con cui il maestro collaborò o per i quali fu fonte di ispirazione imprescindibile: Andrea del Verrocchio, il bolognese Francesco Francia, il ferrarese Lorenzo Costa, il veneto Francesco Verla, il napoletano Stefano Sparano, solo per citarne alcuni.
Gli studi condotti in occasione della mostra rivelano non poche sorprese. Per esempio, Gaudenzio Ferrari, un artista lombardo dallo stile oggi considerato decisamente “nordico” e che lavorò molto in Piemonte, era identificato dai trattatisti dell’epoca come allievo di Perugino e gli veniva riconosciuto un debito nei suoi confronti. Picchiarelli spiega: «Raccontiamo questo caso emblematico attraverso una copia dell’Eterno di Perugino realizzata da Gaudenzio Ferrari; dello stesso Ferrari, sempre alla Galleria sabauda di Torino, si conserva un Compianto che prende le mosse dall’analogo soggetto del maestro umbro. Si tratta di dipinti trasfigurati da un occhio che guarda l’arte del Nord, ma le radici affondano nelle innovazioni del Vannucci».
Altra sorpresa è la proposta avanzata dalla studiosa Cecilia Martelli che attribuisce al giovane Domenico Ghirlandaio una Madonna col Bambino ora in collezione privata. Inoltre, si svela al pubblico un piccolo dettaglio scovato grazie a delle scansioni in gigapixel effettuate sui dipinti della collezione permanente del museo perugino. «Nell’Adorazione dei magi, l’opera più importante che conserviamo alla Galleria nazionale, fin dall’Ottocento si è riconosciuto l’autoritratto di Perugino nel giovane con la veste nera e la berretta rossa posto sul margine sinistro», racconta la curatrice. «Nel colletto si è di recente osservata la scritta “Io”, e si tratta di una scoperta veramente affascinante: il pittore, nella prima impresa importante realizzata per una commissione pubblica nella sua città, non appone una vera e propria firma perché forse non si sentiva ancora abbastanza affermato, ma usa un espediente per identificarsi. E ci guarda negli occhi, perfettamente consapevole di ciò che sta facendo e del suo talento».
Peraltro, non si deve dimenticare che il museo è stato completamente riallestito negli ultimi anni e le opere di Perugino risultano ora decisamente valorizzate. «Una delle ragioni per cui il Vannucci non veniva del tutto capito era il fatto che i suoi dipinti erano distribuiti in sette diversi locali, accostati ad altri lavori. Nel nuovo allestimento abbiamo accorpato tutto il suo meglio in una grande sala, mentre le opere della maturità, selezionate esclusivamente tra le più belle, sono riunite in un altro ambiente».
Ma per quale motivo bisognerebbe visitare la mostra su Perugino? «Grazie a questa esposizione si può comprendere a fondo uno dei più grandi talenti della storia dell’arte, che ha avuto un ruolo fondamentale per la maniera moderna e per il filone classicista. Per circostanze legate alla ricezione del suo lavoro nel corso del tempo, Perugino è stato decisamente sottostimato. Mettendo per la prima volta in fila i suoi capolavori, si può recuperare finalmente lo sguardo dei contemporanei e percepire l’artista per quello che effettivamente è stato». Basterebbero solo tre dei quadri esposti per consentirci di cogliere la portata straordinaria del suo stile: «Lo Sposalizio della Vergine di Caen è un’opera clamorosa. Poi va senza dubbio citato il Trittico Galitzin, un dipinto importantissimo degli anni Ottanta del XV secolo, proveniente da Washington e che in Italia non è mai stato mostrato. Infine, il Polittico della certosa di Pavia che abbiamo ricostruito mettendo insieme i tre elementi del registro centrale, conservati alla National Gallery di Londra, e la cimasa con l’Eterno benedicente che è ancora nella sua sede originaria», conclude Veruska Picchiarelli, invitandoci così a riscoprire Perugino, protagonista assoluto del Rinascimento.