La pagina nera

QUELLA NOBILE CENTRALE
È CONCIATA PROPRIO MALE

di Fabio Isman

Indigna vedere com’è ridotta la ex centrale elettrica di Papigno (frazione di Terni). Attiva fino a una cinquantina di anni fa, è diventata uno spettro. Teatro di film come Pinocchio e La vita è bella di Benigni, questo colosso di archeologia industriale merita di essere salvato. Nel 2005, un tentativo di recupero del comune umbro (il proprietario) non è mai iniziato. e il domani resta oscuro.

Ci sono ex centrali elettriche, anche assai vetuste, che risorgono a nuova vita; e magari, diventano straordinari musei archeologici, come la Montemartini, la prima pubblica a Roma, inaugurata nel 1912; oppure, sempre per citarne alcune, la Camerini di Porto Tolle (Rovigo), spenta nel 2015, che nel delta del Po promette un futuro di parco turistico, sportivo e agroalimentare, integrato con le strutture che già vi esistono. Altre, invece, continuano a produrre anche dopo oltre un secolo di attività, e, ovviamente, con i necessari aggiornamenti tecnologici: come, per esempio, le due volute sull’Adda dalla famiglia Crespi; a Trezzo, che fa parte della città metropolitana di Milano, la splendida Taccani del 1906; e a Crespi d’Adda (Bergamo), quella aperta in funzione della famosa e omonima città operaia tre anni più tardi. O, sul medesimo fiume, la bellissima Esterle di Cornate (provincia di Monza e Brianza), anche lei del 1906. Ma sono soltanto pochi esempi tra i tanti possibili.

Si calcola che, in Italia, le centrali idroelettriche funzionanti siano quasi quattromiletrecento: oltre un quinto in Piemonte, e di solito, logicamente, sulle Alpi, o gli Appennini. L’acqua, grande risorsa per produrre energia. Ma negli ultimi cinque anni una sessantina di impianti si sono fermati, e si dirigono verso destini diversi. Tra i tanti, almeno un caso, però, grida vendetta: una centrale nel centro dell’Italia, in provincia di Terni tra i fiumi Velino e Nera, all’inizio della Valnerina e a un solo chilometro dalla celebre cascata delle Marmore, la più alta artificiale d’Europa e tra le più elevate al mondo. Questo impianto, che si chiama Papigno, è stato in funzione dal 1901; nella seconda guerra mondiale i tedeschi in ritirata l’hanno pressoché distrutto; poi è stato ricostruito, e ha lavorato fino all’inizio degli anni Settanta, finché, lì vicino, è sorta una seconda centrale, tuttora in azione. E così la prima – che in origine produceva carburo di calcio per una società romana, poi anche un derivato (un fertilizzante utilizzato in agricoltura, la calciocianamide) e dal 1911 forniva pure l’energia elettrica, agli stabilimenti della Terni, divenuti proprietari dal 1922 – non serviva più.

Da allora, per mezzo secolo, la centrale del Papigno, dotata di innumerevoli pertinenze, è stata soltanto una larva: preda dell’incuria, dei vandali e dei ladri di rame, senza che nessuno riesca a capire che cosa possa diventare. I sei gruppi di turbine dell’officina ricavata nella roccia sono fatti a pezzi giorno per giorno. Un degrado assoluto; non c’è più, da tempo, nessuna sorveglianza di quello che era un vero e complesso stabilimento elettrochimico, in principio fornito di una capacità produttiva di diecimila kilowatt, poi arrivata fino a sessantunomila, con una condotta forzata di duecentocinquanta metri per alimentare le turbine.

Tra il 1973 e il 2003, il Comune di Terni l’ha acquistato, con le installazioni rimaste nei vari reparti; nel 2005, aveva anche deliberato un intervento di recupero, che, però, non è neppure iniziato. Per carità: non è certamente un’operazione semplice.

Stiamo parlando di un insieme di oltre centomila metri quadrati; quasi una piccola città, di cui circa trentacinquemila metri sono coperti. Negli ultimi anni, Roberto Benigni ci ha girato delle scene del suo Pinocchio e della Vita è bella, e se ne vedono ancora le tracce; ma unicamente per ripulire il sito, e così permettere nuove produzioni, servirebbe quasi un milione e mezzo di euro, almeno stando a un recente progetto comunale. Poco ormai resta degli impianti originari: la ciminiera, la sala macchine, dei capannoni, qualche cartello di «Divieto d’accesso» sui muri scrostati. Vetri e buona parte delle coperture, facile da intuire, non esistono più: sostituiti magari con alcuni murales di chi è riuscito a introdursi in questo clamoroso esempio di archeologia industriale. Le infiltrazioni d’acqua si sprecano, e i tunnel degli alimentatori, abbandonati a loro stessi e logorati dal tempo, rischiano addirittura di diventare una sorta di “bomba ecologica”; le turbine sono inutili fantasmi abbandonati.

Nel tempo, la centrale Papigno, dopo essere appartenuta alla Terni, è stata del Gruppo Finsider e infine dell’Eni; ha dovuto misurarsi con la crisi di utilizzazione del suo prodotto originario; durante la sua vita è stata salvata almeno un paio di volte dall’inattività. L’ultima, però, negli anni Settanta, quando è sorta la seconda e più moderna centrale, non è bastato. Se un brano della storia produttiva della provincia di Terni è ormai andato irrimediabilmente perduto, forse da questa struttura emblematica si può ancora trarre qualcosa. Soprattutto, non lasciarla andare definitivamente alla malora.


La ex centrale elettrica di Papigno, frazione di Terni, di oltre centomila metri quadrati, attiva dal 1901 fino agli inizi degli anni Settanta, oggi è un rudere, preda di vandali e ladri di rame.


Immagine della ex centrale di Papigno.


Gli interni sono tutti devastati, evidenti le infiltrazioni.


Gli accumulatori e le turbine dell’antico impianto sembrano fantasmi.


Vetri e buona parte delle coperture non esistono più. le infiltrazioni d’acqua si sprecano

I rimasugli degli stili del tempo.


Nella centrale restano tracce dell’antica nobiltà.

ART E DOSSIER N. 408
ART E DOSSIER N. 408
APRILE 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: Il potere della duchessa di Federico D. Giannini; BLOW UP: Werner Bischof:L’occhio, inedito, per il colore di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Arturo Martini a Treviso - Frammenti di realtà di Sileno Salvagnini ; GRANDI MOSTRE. 2 - Manet e Degas a Parigi - Amici e rivali di Valeria Caldelli ...