XXI SECOLO
WILLIAM EGGLESTON

The Master of Color

Cogliere l’ordinario così com’è, nel “qui e ora”. Su questo Eggleston ha fondato la sua poetica fotografica usando prima il bianco e nero, sotto l’influenza di Henri Cartier-Bresson, poi il colore per dare ancora più risalto al quotidiano nella sua straordinaria immediatezza e semplicità.

Francesca Orsi

Se si presta attenzione al modo di fotografare di William Eggleston (Memphis, 1939) – ancor prima che alla complessità del suo linguaggio fotografico tramutato in immagine –, più basicamente e tangibilmente a come il fotografo si muove davanti al soggetto, a come il suo scattare rientri nella naturalità delle cose, sono due le parole che vengono alla mente, subito e senza ombra di dubbio: eleganza e organicità. “Elegante” perché coglie il momento decisivo, di bressoniana memoria, silentemente, discretamente, ma anche lestamente come un ladro, in un flusso di realtà e movimenti che possono essere definiti unicamente “naturali” e per l’appunto “organici”.

Tutto fluisce con Eggleston: la realtà, una realtà quotidiana e banale, le immagini, il colore e in mezzo a essi anche la sua vita. A distanza di quasi cinquant’anni dalla sua prima famigerata mostra newyorchese Photographs by William Eggleston – voluta fortemente da John Szarkowski (1925-2007, fotografo e direttore per molti anni del dipartimento di fotografia del MoMA) e inaugurata appunto al MoMA nel maggio del 1976 –, il C/O Berlin omaggia il grande fotografo americano, ospitando, fino al 4 maggio, all’Amerika Haus (nuova sede dal 2014 dello spazio espositivo berlinese), l’imponente retrospettiva William Eggleston.

Mistery of the Ordinary. Partendo da lavori come Los Alamos, che hanno portato Eggleston a essere inserito nel gotha della fotografia e tra i quali è inclusa la sua prima foto a colori del 1965 che ritrae un ragazzo, a Memphis, mentre spinge una fila di carrelli della spesa, l’esposizione si volge cronologicamente indietro proponendo le sue prime immagini in bianco e nero e in avanti offrendo all’occhio dello spettatore le testimonianze inedite di The Outlands, oltre ad altri progetti come The Democratic Forest, pubblicato come libro nel 1989, e immagini scattate a Berlino tra il 1981 e il 1988.

Famoso per essere stato tra i primi, se non il primo, dalla metà degli anni Sessanta, a elevare la rappresentazione della banalità del quotidiano a opera d’arte, anche grazie all’utilizzo del colore, un colore saturo e perturbante che ha poi fatto scuola, William Eggleston iniziò la sua carriera alla fine degli anni Cinquanta, già avendo chiaro il soggetto che lo avrebbe poi portato alla notorietà: la vita di tutti i giorni, anche la sua, le persone di tutti i giorni, le cose di tutti i giorni, in particolar modo quelle della sua città natale, Memphis. Però il suo pensiero relativo al linguaggio fotografico fece i suoi primi passi non a colori, bensì in bianco e nero, influenzato da un maestro francese di cui un amico gli mostrò un libro fotografico: Henri Cartier-Bresson. La composizione delle sue immagini lo colpì sorprendentemente, in particolare il suo rimando alla pittura dei grandi maestri, la sua straordinaria struttura così fugace, portatrice del concetto bressoniano per eccellenza dell’“attimo decisivo”, e la forte geometricità delle sue forme. Eggleston seppe incanalare tutti questi insegnamenti in una propria personale composizione fotografica intuitiva e naturale, organica, assolutamente non forzata. Da tale semplicità deriva la complessità del suo linguaggio e la fascinazione che ha riscosso in tutto il mondo. Plasmò il suo pensiero facendolo calare sulla rappresentazione della quotidianità delle cose, della vita che gli scorreva attorno, e con l’uso del colore, dalla metà degli anni Sessanta, mise le basi per quel suo modo di fotografare così democraticamente sconvolgente, teorizzato per l’appunto in The Democratic Forest.


Untitled (1971).

Untitled (1963 circa).


Untitled (1970-1973 circa).

William Eggleston pone come punto di partenza del suo cogliere la realtà tutta, indistintamente, un costante e minuzioso esercizio di osservazione, con cui il fotografo americano ha sempre partorito una e una sola immagine di ogni soggetto.

Quella, in quel dato momento, in quel dato luogo. La figlia, nel documentario a puntate The Colourful Mr Eggleston di Reiner Holzemer, racconta, per esempio, di come il fotografo americano si fosse fermato per ore a fissare un semplice servizio di porcellana: «non un servizio particolarmente prezioso, ma per lui era straordinario», racconta divertita.

Nel 1967 John Szarkowski scrisse nell’introduzione dell’esposizione New Documents, al MoMA, trampolino di lancio per il trio Arbus-Winogrand-Friedlander, «questa nuova generazione di fotografi ha reindirizzato la tecnica e l’estetica della fotografia documentaria verso fini più personali. Il loro scopo non è stato quello di riformare la vita, ma di conoscerla» e mostrarla. Anche William Eggleston è partito da tale innovazione, da questa svolta epocale per la fotografia che aveva assunto l’ordinario e il banale come soggetto prediletto, dando più libertà di campo all’interpretazione dello spettatore, invitato, secondo il proprio background culturale, a leggere l’immagine. Cambiò il soggetto quindi, ma prima di tutto l’approccio del fotografo rispetto al concetto di realtà, alla sua rappresentazione e al suo pubblico.

Eggleston, come pure Winogrand, Arbus e Friedlander, non spiega ciò che fotografa, ma semplicemente lo mostra, senza giudizi, attirando nell’immagine parte della propria storia e parte, potenzialmente, della storia di chi guarderà quella immagine. Non a caso John Szarkowski fu il curatore anche della primissima mostra nel 1976 di William Eggleston, Photographs by William Eggleston (di cui abbiamo fatto cenno all’inizio), prima esposizione di fotografia a colori anche del MoMA, corredata dal libro-catalogo William Eggleston’s Guide, presto diventato pietra miliare nella produzione editoriale del fotografo americano. Szarkowski riconobbe nella poetica del quotidiano di Eggleston la nuova direzione che il linguaggio fotografico stava intraprendendo e che il mondo stava imparando a elaborare.

Tricicli, automobili, phon, cibo, pistole, interni di case, persone anche, tutti soggetti che raccontano di un periodo storico, dell’affermarsi dell’economia di massa e del consumismo anni Settanta, di un luogo specifico come il Tennessee con la propria storia e i propri usi, ma anche di un uomo che all’interno delle fotografie che produce, si manifesta con sparuti dettagli del proprio corpo, per lasciare un’impronta forse, o forse più per rendere anche se stesso elemento perturbante con cui sbaragliare il tavolo da gioco della tradizione fotografica alla Ansel Adams. L’esposizione Photographs by William Eggleston, inizialmente, non trovò il favore della critica, che la giudicò noiosa, ma il genio, infatti, lo si riconosce solo con il tempo, giusto?


ECONOMIA DI MASSA E CONSUMISMO ANNI SETTANTA


Untitled (1971 circa).


UN COLORE SATURO E PERTURBANTE CHE HA POI FATTO SCUOLA


Untitled (1970-1973 circa).


Untitled (1965 circa).

William Eggleston. Mistery of the Ordinary

Berlino, C/O Berlin - Amerika Haus
fino al 4 maggio 2023
orario 11-20
catalogo Steidl
www.co-berlin.org

ART E DOSSIER N. 408
ART E DOSSIER N. 408
APRILE 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: Il potere della duchessa di Federico D. Giannini; BLOW UP: Werner Bischof:L’occhio, inedito, per il colore di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Arturo Martini a Treviso - Frammenti di realtà di Sileno Salvagnini ; GRANDI MOSTRE. 2 - Manet e Degas a Parigi - Amici e rivali di Valeria Caldelli ...