Studi e riscoperte
LE EPIDEMIE DALL’ANTICHITÀ ALL’OTTOCENTO

PER MANO
DIVINA

ARCIERI VIOLENTI, VENDICATIVI MA ANCHE GUARITORI E PURIFICATORI, SPESSO SIMBOLEGGIATI DAL SOLE. GLI DÈI DELLA PESTE NEL MONDO ANTICO SONO UN GRANDE ESEMPIO DI SINCRETISMO RELIGIOSO, QUASI DA SEMBRARE CHE LO STESSO DIO SIA PASSATO DA UNA CIVILTÀ ALL’ALTRA PER FLAGELLARLE CON MALATTIE ED EPIDEMIE. MA CHE COSA LO INDUCEVA A SCATENARE LA PIAGA, A COLPIRE IL POPOLO CON I SUOI DARDI VELENOSI?

Damiano Fantuz

Gli eventi di questi ultimi anni continuano a mostrarci molto da vicino che cosa significhi avere a che fare con una malattia infettiva. Ma le epidemie ci sono sempre state, e la differenza principale tra oggi e il passato è che ora siamo consapevoli di come un virus si diffonda, con un approccio scientifico. Nell’antichità queste situazioni apparentemente incomprensibili, queste “forze” invisibili erano sempre scatenate da una divinità. Una divinità che nasce in Oriente.

Nergal è l’antico dio mesopotamico della guerra e della pestilenza. Nonostante la sua importanza tra i fiumi Tigri ed Eufrate, le sue origini sono rurali, nella città di Kutha, nell’odierno Iraq. Ma da subito Nergal è associato alla morte, quella inflitta, che colpisce gli uomini, che sia con le armi o con la malattia, diventando anche dio degli inferi. È lui il dio che accompagna i sovrani babilonesi in battaglia dispensando rovina tra le fila nemiche, sempre rappresentato con qualcuna delle sue armi, la mazza, la scimitarra o l’arco. Il suo simbolo è il Sole: ma non il sole primaverile che scalda, accudisce e che dà vita. Nergal è il sole estivo che brucia, che disidrata e ustiona la pelle, e non è difficile pensare alla sensazione di bruciore provocata dai bubboni in seguito a un’epidemia di peste. Tuttavia, essendo la causa dell’infezione, è proprio lo stesso Nergal che è in grado di farla svanire e di proteggere il popolo da essa, ed era a lui che si rivolgevano le preghiere per invocare la fine del male.

Poco più a ovest, l’equivalente di Nergal si chiama Reshef, l’antica divinità semitica della peste. Il suo stesso nome significa “bruciante”, ma anche “saetta”, e diffonde la malattia scagliando frecce velenose. Dal XIII secolo a.C. circa il suo culto raggiunge il Nuovo regno d’Egitto e subito viene assimilato al faraone Ramses II che scende in battaglia tendendo il suo arco. Ed è significativo che nelle raffigurazioni egizie Reshef sia rappresentato con la barba a differenza degli altri dèi, un particolare che ne ricorda l’origine siriana Ma tracce di Reshef le troviamo anche nell’Antico testamento. Sono diverse le situazioni nel testo ebraico in cui Yahweh decide di punire un popolo con la peste (le piaghe d’Egitto o la peste di Azoth, rappresentata da Poussin), e il termine semitico, utilizzato più volte per indicare le “saette” che diffondono la piaga, è “resef”. Il processo non è così strano: gli scrittori dell’Antico testamento si sono serviti di un termine ben conosciuto dalla popolazione palestinese, che potesse essere facilmente compreso da tutti perché proprio della divinità pagana che incarnava quell’aspetto. Quindi Reshef diventa un potere personificato, e come altri dèi semitici è un “decaduto” al servizio dell’unico vero dio Yahweh.

Ma l’incarnazione generalmente più conosciuta è quella greca nelle fattezze del dio Apollo. Apollo è una delle divinità più complesse del pantheon classico; forse non tutti ricordano che il più bello tra gli dèi, legato al Sole e protettore della poesia e delle arti, è lo stesso che all’inizio dell’Iliade scende sulla terra simile alla notte, e che con il suo arco d’argento colpisce innumerevoli soldati greci provocando la pestilenza.


LA PESTE È LA PUNIZIONE DIVINA CHE GLI UOMINI SUBISCONO PER AVER COMMESSO UN GRAVE ERRORE. NON UN ERRORE CHE RIGUARDA LA NATURA, MA CHE RIGUARDA LA LEGGE


Adam Bloemaert, Apollo e Diana puniscono Niobe uccidendo i suoi figli (1591), Copenaghen, SMK - Statens Museum for Kunst.


Nicolas Poussin, La peste di Azoth (1631), Parigi, Musée du Louvre.


George Frederic Watts, Il cavaliere dal cavallo bianco, (1874-1883), Liverpool, National Museums Liverpool, Walker Art Gallery.

L’Apollo “antico”, quello dell’Iliade, è diverso da quello dell’età classica, dove sembrano prendere il sopravvento le sue caratteristiche oracolari e di predizione. L’Apollo arcaico arriva in Grecia proprio dall’Oriente, il suo culto è di origine microasiatica, e dai miti lo conosciamo più come un dio oscuro, vendicativo e con il gusto per la morte brutale.

È il dio che assieme alla sorella Artemide fa strage dei quattordici figli di Niobe, perché lei si era vantata di essere più fertile di Leto, la madre dei due dèi. È Apollo che scortica vivo il satiro Marsia, che si era vantato di essere un musicista migliore di lui. Ma con Apollo capiamo profondamente anche le ragioni delle pestilenze che scatenava il dio della peste.

La peste è la punizione divina che gli uomini subiscono per aver commesso un grave errore. Non un errore che riguarda la natura, ma che riguarda la legge. La conseguenza di un crimine, della violazione dell’ospitalità o di una qualche usanza. Nel XIV secolo a.C., l’epidemia che colpì l’Egitto e parte del Mediterraneo orientale fu provocata dalle disposizioni del faraone Akhenaton, che negò il culto agli antichi dèi. Yahweh punì gli abitanti di Azoth perché non l’avevano riconosciuto come vero e unico Dio, preferendogli un idolo. Nell’Iliade, Crise, il sacerdote di Apollo, invoca il dio perché il generale supremo dei greci, Agamennone, si rifiuta di rendergli la figlia, parte del suo bottino di guerra. Possiamo immaginare quel dio come l’Apollo del Belvedere, nell’atto di vibrare un colpo con il suo arco (che in origine doveva impugnare con la mano sinistra) e con lo sguardo sereno e allo stesso tempo senza pietà. Ma tuttavia, come con Nergal, era sempre ad Apollo che ci si rivolgeva per scacciare la peste, perché era anche dio guaritore, medico e purificatore.

L’Apocalisse di Giovanni è uno dei libri più controversi del Nuovo testamento, e i famosi quattro cavalieri non sono semplicemente Guerra, Morte, Fame e Pestilenza, come la cultura popolare ormai ci ha indotto a pensare.

Le figure dei quattro recano interpretazioni assai varie, in particolare il primo cavaliere, quello sul cavallo bianco, che indossa una corona e impugna un arco. A differenza degli altri tre, non sembra spiccatamente negativo e sembra associato con la Vittoria. Tra le tante interpretazioni, una delle più suggestive è quella che lo vede identificato con Apollo. Gli elementi chiave in questo senso sono l’arco e la corona (rispettivamente “toxon” e “stephanos” secondo la traslitterazione dal greco antico). È la corona di alloro, legata al dio e indossata nel I secolo d.C., quando visse l’evangelista Giovanni, dagli imperatori romani durante i loro trionfi, le straordinarie cerimonie che celebravano le loro gesta. E non dimentichiamoci che abbiamo già visto Reshef nell’Antico testamento, intento a saettare frecce velenose su ordine di Dio e che in alcune rappresentazioni, come quella dell’artista di epoca vittoriana George Frederic Watts, il primo cavaliere davvero ricorda Apollo.

Quello del dio della pestilenza appare quasi come un viaggio attraverso le epoche e le civiltà, ma in realtà le corrispondenze tra divinità diverse sono cosa comune nel mondo antico(*). L’idea, sicuramente artificiosa ma fino a un certo punto, che fosse lo stesso dio a viaggiare da una civiltà all’altra ma con nomi diversi, nella fantasia riesce a rendere la potenza evocativa dei suoi miti ancora più seducente.


L’EQUIVALENTE DI NERGAL È RESHEF: IL SUO NOME SIGNIFICA “BRUCIANTE”, MA ANCHE “SAETTA”. TRACCE DI RESHEF LE RITROVIAMO ANCHE NELL’ANTICO TESTAMENTO


Stele di Qeh (XIII secolo a.C.), Londra, British Museum. A destra Reshef, antica divinità semitica della peste, .


Rilievo di Nergal (I-II secolo a.C.), antico dio mesopotamico della guerra e della pestilenza, rinvenuto a Hatra in Iraq.


Apollo del Belvedere (entro la metà del II secolo d.C.), copia romana di un originale greco in bronzo di Leocare, del 350 a.C. circa, particolare, Città del Vaticano, Musei vaticani.

ART E DOSSIER N. 407
ART E DOSSIER N. 407
MARZO 2023
In questo numero: STORIE A STRISCE: Avventure gastronomiche di Sergio Rossi; BLOW UP: Inge Morath: la rivelazione di un istante di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Sayed Haider Raza a Parigi - Nero, the Mother Colour di Valeria Caldelli ; GRANDI MOSTRE. 2 - Warhol a Milano -  Gli stereotipi di massa come nuova classicità di Achille Bonito Oliva ...