LA PRODUZIONE
GIOVANILE

Giorgio Vasari non fu mai tenero con Pietro Perugino – la cui figura, almeno umanamente, tratteggiò sempre con molta antipatia – accusandolo di essere stato avido, miscredente, testardo sino al punto di etichettarlo con l’appellativo di «cervello di porfido».

Tuttavia, non soltanto non osò mai negare le eccelse qualità artistiche del pittore umbro, ma dovette riconoscere l’ampia diffusione della sua maniera e l’altissima stima che aveva raggiunto presso i contemporanei: «Venne, dunque, in pochi anni in tanto credito, che dell’opere sue s’empiè non solo Fiorenza ed Italia, ma la Francia, la Spagna, e molti altri paesi, dove elle furono mandate». Ben lungi dall’essere stato soprattutto un buon allievo – di Andrea del Verrocchio – e un ottimo maestro – di Raffaello – come certa letteratura artistica in passato ebbe il torto di giudicarlo, Pietro di Cristoforo Vannucci, detto Perugino, si guadagnò sul campo l’epiteto, assegnatogli dal celebre banchiere e mecenate Agostino Chigi in una lettera del 7 novembre 1500, di «meglio maestro d’Italia». E davvero, per un quarto di secolo abbondante, ovverosia dalla fine degli anni Settanta del Quattrocento al primo lustro del Cinquecento, le sue opere furono tenute «in riputazione e pregio grandissimo» e il suo magistero fu così assoluto che si può affermare non si parlasse altra lingua nel campo delle arti figurative dal Piemonte alla Campania, dalla Toscana alle Marche, dalla Romagna alla Lombardia, per non menzionare il trionfo romano della Sistina e il ruolo primario della fiorente bottega attiva a Firenze.

Alla luce della successiva documentazione e delle prime testimonianze figurative è più che plausibile collocare la nascita di Pietro Vannucci a Città della Pieve, in una famiglia abbastanza agiata e non priva di possedimenti, tra il 1448 e il 1450. Lo conferma anche la Cronaca rimata di Giovanni Santi perché il padre di Raffaello, che doveva conoscerlo bene, lo dice coetaneo di Leonardo, venuto al mondo nel 1452: «Due giovin par d’etate e par d’amori / Leonardo da Vinci e ’l Perusino / Pier della Pieve, ch’è un divin pictore». Nulla è dato sapere a proposito della sua prima formazione, sulla quale si è molto lambiccata la critica, tuttavia è naturale pensare a un apprendistato già in giovanissima età, come usava allora, presso la bottega di un maestro attivo a Perugia negli anni Sessanta del secolo. Il candidato più accreditato parrebbe Benedetto Bonfigli, piuttosto che un pittore «non molto valente in quel mestiero» come maligna il solito Vasari, ma non si può escludere neppure Bartolomeo Caporali; fu infine proprio il biografo degli artisti a ricordare il giovane Vannucci tra gli allievi di Piero della Francesca, soltanto però nella vita dedicata a quest’ultimo.

In un momento non meglio precisabile della seconda metà del settimo decennio del Quattrocento Pietro se ne partì per Firenze dove entrò nella bottega di Andrea del Verrocchio avendo per compagno, tra gli altri, Leonardo da Vinci. Si ritrovò dunque all’interno di un contesto culturale eccezionalmente aggiornato, sperimentale e innovativo grazie al quale la sua personalità d’artista ebbe modo di formarsi appieno e di svilupparsi fino all’autonomia, raggiunta senz’altro nel 1472 quando risulta iscritto alla compagnia di San Luca di Firenze, una sorta di confraternita di pittori. La produzione di questi primi anni risente decisamente dell’impronta verrocchiesca, tanto che alcune opere oggi riferite con certezza a Perugino venivano credute del maestro (e, soprattutto, viceversa).

La più antica, che si deve supporre realizzata prima dell’affrancamento del pittore dalla bottega fiorentina di Andrea, è la Madonna col Bambino oggi custodita a Parigi al Musée Jacquemart-André, databile tra 1470 e 1472. L’iconografia è quella della “Madonna del davanzale”, nella quale la Vergine sostiene il Bambino benedicente, in piedi su un affaccio marmoreo, proprio in quegli anni elaborata e condotta alla perfezione da Verrocchio nella tavola oggi alla Gemäldegalerie di Berlino (inv. n. 108), modello subito recepito dai giovani Botticelli, Ghirlandaio, Piermatteo d’Amelia, oltre che appunto dal Vannucci.

La versione peruginesca aggiunge dettagli – il filo di corallo apotropaico al collo del Bambino, il libro d’ore e il cardellino sul davanzale, la ghirlanda di rose – ma non muta né l’impostazione complessiva, né lo stile al quale ci si prova a conformare; tuttavia le atmosfere rarefatte, eteree, eleganti fino all’estenuazione di Verrocchio non si confanno al discepolo umbro, la cui predilezione per una franca fisicità e un tono decisamente meno aulico è già evidente in questo incunabolo. Al medesimo torno di anni si riferiscono i tre scomparti di predella oggi al Louvre, che rappresentano rispettivamente il Miracolo degli impiccati, l’Imago pietatis e il Miracolo del vescovo Andrea. Se ne immagina la provenienza da un perduto polittico dedicato a san Girolamo commissionato alla fiorente bottega di Andrea, la cui impronta sulla pittura del giovane Perugino è ancora una volta nettissima, pur se tradotta con un linguaggio più narrativo e popolare. Ma le pieghe geometrizzanti e angolose dei panni, le articolazioni delle dita con la caratteristica divaricazione del pollice e la flessione scattosa del mignolo, la costruzione prospettica delle architetture, la profondità dei paesaggi non lasciano dubbi sulla matrice verrocchiesca delle tavolette.


Adorazione dei magi (1475 circa), particolare; Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria.


Miracolo degli impiccati; Imago pietatis; Miracolo del vescovo Andrea (1472-1473 circa), tavolette di predella da un perduto polittico dedicato a san Girolamo; Parigi, Musée du Louvre.


Madonna col Bambino (1470-1472); Parigi, Musée Jacquemart-André.

Nascita della Vergine (1472 circa); Liverpool, Walker Art Gallery.


Domenico Ghirlandaio, Fondazione di Santa Maria Maggiore (1472 circa); Great Bookham (Surrey), Polesden Lacey, National Trust House.

Né andranno considerati temporalmente distanti i due elementi, pure appartenuti a una predella, con la Nascita della Vergine (Liverpool, Walker Art Gallery) e la Fondazione di Santa Maria Maggiore (Great Bookham, Polesden Lacey) che anzi, se appartenessero davvero come si ipotizza alla Sacra conversazione con i santi Zanobi, Giovanni Battista, Francesco e Niccolò degli Uffizi, prodotta nella bottega del Verrocchio nel 1472, godrebbero addirittura di un ancoraggio cronologico sicuro. Soltanto il primo, però, spetta alla mano di Perugino mentre il secondo – pur stilisticamente vicinissimo – deve essere ricondotto a quella del Ghirlandaio, a riprova sia dell’efficacia con la quale gli insegnamenti del Verrocchio si imprimevano nei giovani del suo entourage, sia della distribuzione del lavoro, sotto l’alta sorveglianza del maestro, all’interno della bottega.

Ci vorrà appena un anno per trovare le prime tracce di Perugino nella sua terra d’origine. E l’esordio sarà di quelli davvero memorabili, con un’opera articolata ed enigmatica come le otto tavolette con i miracoli di san Bernardino (Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria) la cui vicenda critica da sempre appassiona e divide. Probabilmente collocate in origine nella cappella del santo della cattedrale di Perugia, furono presto trasferite nell’oratorio a lui dedicato; disposte una sopra l’altra, quattro per parte, formavano una nicchia coperta da un cieletto e dovevano accogliere al centro una statua del predicatore francescano. Nonostante la diversità delle mani che si occuparono dell’esecuzione – particolarmente evidente nelle figure – l’impianto della serie è talmente organico e omogeneo da escludere che non sia stato progettato all’interno di una sola bottega e nessuna bottega parlava al tempo un linguaggio così moderno e aggiornato a eccezione di quella del giovane e ambizioso Pietro Vannucci. Appena uscito dall’atelier fiorentino di Verrocchio, Perugino dovette concepire l’impresa nel suo complesso, a partire dalle originalissime cornici dipinte con un fregio continuo di perle e pietre preziose incastonate, fino all’inquadramento architettonico prevalente in quasi tutte le ambientazioni delle scene. Le tavolette rappresentano l’improvvisa e folgorante introduzione della pittura verrocchiesca in città, con la sua superficie luminosa, le astrazioni geometriche, il gusto per il dettaglio di derivazione fiamminga, la definitiva rimozione del fondo oro, rimpiazzato dalla combinazione di quinte architettoniche e paesaggio. Perugino completò in piena autonomia gli episodi con San Bernardino risana da un’ulcera la figlia di Giovannantonio Petrazio da Rieti e San Bernardino restituisce la vista a un cieco, mentre affidò al giovanissimo Pinturicchio e ad altri due maestri (fra i quali sembrerebbe di riconoscere Sante di Apollonio) l’esecuzione delle altre sei.


San Bernardino risana da un’ulcera la figlia di Giovannantonio Petrazio da Rieti (1473 circa), dalle tavolette con i Miracoli di san Bernardino; Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria.

San Bernardino restituisce la vista a un cieco (1473 circa), dalle tavolette con i Miracoli di san Bernardino; Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria.


San Pietro (1472-1474 circa); Hannover, Landesmuseum. L’astratto disegno geometrico dei panneggi, la raffinata armonia cromatica, l’estenuata grazia delle mani e la delicatezza dei gesti, il gioello che ferma il piviale, il paesaggio minuziosamente descritto d’ascendenza fiamminga derivano evidentemente dal ricettario di Verrocchio; il giovane Perugino non si trattiene dall’introdurre qualche spezia a suo gusto – il manto rovesciato sulla spalla, il festone di frutta, un’espressione più bonaria nello sguardo del santo – che conferisce alla composizione un tocco di personalità.

Sono giustamente ritenute contemporanee la figura del San Pietro oggi al Landesmuseum di Hannover, che, tra le altre caratteristiche della pittura peruginesca degli esordi, replica pure la trovata del manto ribaltato sulla spalla come nella Madonna Jacquemart-André, e la Pietà con san Girolamo e santa Maria Maddalena, detta Pietà del Farneto dal nome del convento francescano da cui proviene e dove veniva utilizzata come stendardo processionale (ciò spiega il supporto in tela e l’usura della superficie pittorica).

Attorno alla metà degli anni Settanta dovrà collocarsi anche l’Adorazione dei magi, voluta da Braccio Baglioni per la chiesa di Santa Maria dei Servi nel quartiere di Colle Landone, poi transitata in Santa Maria Nuova in Porta Sole per entrare infine alla Galleria nazionale dell’Umbria.

La rilevanza dell’insegnamento del Verrocchio è ancora ben presente, tuttavia appare chiara la volontà del pittore umbro di tentare una strada – pur coerente con quella fin qui battuta – che conduca a risultati più autonomi e personali e consenta di cimentarsi, per la prima volta, con dimensioni ragguardevoli e una composizione articolata e complessa. Il gusto fiammingo, assaporato nella bottega di formazione, si declina nella cura del dettaglio: i conci di pietra sono scheggiati, sulle travi spuntano piantine infestanti, le colonne lignee sono fissate con giunco strettamente annodato, dal tetto spuntano ciuffi di paglia. Nel margine sinistro dell’Adorazione Pietro Perugino si ritrae, rivolgendoci uno sguardo franco e intenso.

Il volto, di tre quarti, è quello di un giovane sui venticinque anni o poco più, perfettamente rasato, con la fronte spaziosa, le sopracciglia ben disegnate. La larga chiazza rossa sotto l’occhio testimonia un’affezione cronica, il lupus, che l’artista sceglie di non nascondere. La bocca serrata rivela labbra sottili. Capelli folti, castani, lunghi quasi a sfiorare le spalle; veste con modestia, distinguendosi dagli elegantoni al seguito dei magi, coi loro tessuti preziosi e i copricapi dalle fogge ricercate. Il farsetto rosso lascia emergere un sottilissimo lembo della camicia bianca e, dove aderisce al collo, reca chiari due caratteri capitali: «IO», orgogliosa rivendicazione di sé e delle sue qualità d’artista espressa a imitazione di un bottone.


Adorazione dei magi (1475 circa); Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria.

Pietà del Farneto (Pietà con san Girolamo e santa Maria Maddalena) (1470-1473 circa); Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria.


Santi Antonio e Sebastiano (1475 circa); Nantes, Musée d'arts de Nantes.

Cronologicamente prossima è la tavola, oggi al Musée d'arts di Nantes, con I santi Antonio e Sebastiano, il cui fondo oro operato a broccato echeggia quello dipinto da Piero della Francesca nella Pala di sant’Antonio a Perugia giusto qualche anno prima. Nella posa e nel costume san Sebastiano rimanda al Melchiorre dell’Adorazione dei magi, sebbene l’atteggiamento altero e un po’ sostenuto del sapiente orientale si stemperi, nell’elegante giovinetto, in un dolce e quasi ingenuo sguardo di fanciullo. È purtroppo mutila la data che separa un’altra coppia di santi, Romano e Rocco, da un’accurata veduta di paese che allude a Deruta, (non lontano da Perugia) la cui esecuzione dovrebbe risalire al 1476, quando scoppiò una forte pestilenza, o all’anno immediatamente successivo. Di nuovo il pensiero corre alle soluzioni stilistiche e iconografiche adottate da Perugino nell’Adorazione e ancora – e con più evidenza – un magio, il barbuto Baldassarre, è chiaramente preso a modello per la figura di san Rocco. L’immagine, in origine campita a fresco su una parete della locale chiesa di San Francesco, venne poi staccata e si conserva oggi alla Pinacoteca comunale di Deruta. Sopravvive invece ancora sulla parete la bellissima figura di San Sebastiano, affiancata dai mutili santi Rocco e Pietro, parte di un ciclo di affreschi realizzati nel 1478 nella chiesa di Santa Maria Assunta di Cerqueto, nei pressi di Perugia, oggi in prevalenza perduti. L’aria languida, assorta più che sofferente, del giovane Sebastiano, la torsione del corpo avvinto alla colonna, la dolcezza dei trapassi chiaroscurali, il ritmo lento e compassato della composizione sono i raggiungimenti più evidenti della maturazione di Perugino che, dopo un lustro trascorso in provincia a esercitarsi in piena autonomia in tavola, in tela e in muro, alla fine del decennio è ormai pronto per il più importante palcoscenico dell’arte.

E la chiamata di papa Sisto IV non tarderà ad arrivare.


San Rocco e san Romano (1476 circa); Deruta (Perugia), Pinacoteca comunale.


San Sebastiano (1478); Cerqueto (Perugia), Santa Maria Assunta.

PERUGINO NEL RINASCIMENTO ITALIANO
PERUGINO NEL RINASCIMENTO ITALIANO
Marco Pierini - Veruska Picchiarelli
La nuova Galleria nazionale dell’Umbria dedica in questi mesi una mostra – in occasionedel quinto centenario della morte – a Pietro Vannucci, detto il Perugino(Città della Pieve 1448 circa - Fontignano 1523). “Art e Dossier” torna quindi ariservare un nuovo aggiornatissimo dossier al maestro umbro, che lavorò fiancoa fianco con Botticelli e Leonardo nella bottega fiorentina del Verrocchio; fua contatto con le opere di Piero della Francesca, Ghirlandaio. Lippi, Angelico,Gozzoli; lavorò in Toscana, in Umbria, in Vaticano nella Cappella sistina (una dellesue opere sarebbe poi stata cancellata per far posto al Giudizio universale diMichelangelo); tra i suoi allievi, anche Raffaello. Insomma, Perugino si colloca alcentro, e da protagonista, della vicenda intera del Rinascimento italiano, ed è inquesto ruolo che viene affrontata la sua figura in questo dossier. La sua pittura èesemplare della ricerca di armonia, equilibrio, precisione nel disegno, luminositàdel colore che rappresenta in sintesi l’ideale artistico del periodo in cui visse.