La bottega fiorentina, infatti, chiuderà soltanto nel 1511, dopo altri tre lustri di attività, sebbene la mentalità imprenditoriale dell’artista lo induca ormai ad accogliere con favore crescente le offerte di lavoro provenienti dall’Umbria e lo faccia risolvere infine ad aprire bottega anche a Perugia nel 1501.
Deliberate nel 1496, le pitture della Sala delle udienze del Collegio del Cambio vennero portate a termine nel 1500, suggellate da un autoritratto che a distanza di un quarto di secolo da quello dell’Adorazione dei magi rappresenta un uomo sì invecchiato e appesantito, tuttavia ormai assurto al ruolo di primo pittore d’Italia e pienamente consapevole di esserlo, come il “titulus” della cartella sottostante inequivocabilmente dichiara: «Petrus Perusinus egregius pictor». Seguendo un colto e complesso programma, il cui autore deve riconoscersi nell’umanista Francesco Maturanzio, Pietro distribuì sulle volte immagini allegoriche dei pianeti “all’antica”, cioè con la personificazione della divinità sul carro (entro le cui ruote si inscrivono i segni zodiacali corrispondenti) in un tripudio di motivi ornamentali, grottesche su fondo scuro brulicanti di puttini, animali, vegetazione, come contemporaneamente andava facendo Pinturicchio nella monumentale Pala di Santa Maria dei Fossi (oggi alla Galleria nazionale dell’Umbria).
Alle pareti laterali, sedute sulle nuvole e fornite dei loro attributi, le Virtù cardinali affiancate da tabelle sorrette da puttini, entro le quali si leggono raffinati distici latini. In piedi davanti al fondale di un paesaggio sintetico e astratto, un gruppo di tre “uomini famosi” è posto in relazione a ciascuna Virtù per averla impersonata con l’esempio: Fabio Massimo, Socrate, Numa Pompilio illustrano la Prudenza; Furio Camillo, Pittaco, Traiano la Giustizia; Lucio Sicinio, Leonida, Orazio Coclite la Fortezza – con gran sfoggio di armature eleganti e corrusche –, infine Scipione, Pericle e Cincinnato la Temperanza. Il respiro pacato e il ritmo lieve del classicismo peruginesco giungono qui a piena maturazione: gli atteggiamenti e le pose delle figure si corrispondono con variazioni che preservano dalla meccanicità così frequente negli anni a venire, le tinte attingono a ogni possibile sfumatura perché l’armonia non coincida con la prevedibilità, i caratteri umani rendono conto delle individualità senza eccessi espressivi né forzature. Il ciclo, introdotto dalla figura isolata di Catone, autorevole custode e guida morale della macchina di significato elaborata da Maturanzio, si conclude con due storie sacre, un’Adorazione dei pastori e una Trasfigurazione che diverranno modelli da replicare, con varianti talvolta minime, in occasioni e contesti diversi. La composizione della prima, in particolare, venne subito ripetuta a fresco in due contesti francescani, il convento degli osservanti di Monteripido a Perugia (oggi alla Galleria nazionale dell’Umbria) e la chiesa di San Francesco a Montefalco, vicino al capoluogo umbro.
Gli anni a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento furono di febbrile attività per Perugino e per la sua compagine di aiuti, che dobbiamo immaginare assai nutrita, sebbene se ne abbiano solo informazioni frammentarie e incomplete. Per Perugia Pietro realizzò la Madonna della Consolazione, dipinta per i membri dell’omonima confraternita, che dovevano usarla tanto come pala d’altare quanto, nonostante il peso, come stendardo processionale, e la cosiddetta Pala Tezi, una Vergine col Bambino e i santi Nicola da Tolentino, Bernardino da Siena, Girolamo e Sebastiano datata 1500 ed eseguita in larga parte da collaboratori.