L’IMPRESA DELLA SISTINA
E I NUOVI SUCCESSI

Nel 1478 Sisto IV della Rovere chiede a Perugino di affrescare la cappella della Concezione nella basilica di San Pietro.

Conosciamo l’impostazione dell’opera solo grazie a uno schizzo abbozzato dal chierico Jacopo Grimaldi, poco dopo la demolizione del sacello avvenuta nel 1609, durante il lungo processo di rifacimento della casa madre della cristianità. Da tale fonte apprendiamo che nella parete di fondo della cappella era affrescata una Madonna in maestà all’interno di un tabernacolo; nella calotta absidale campeggiava invece una Madonna col Bambino fra angeli musicanti e, nel livello inferiore, quattro Santi e il committente inginocchiato. Qui Perugino mette a punto un fortunatissimo schema compositivo poi replicato innumerevoli volte fino alla tarda maturità, nel quale la figurazione è scandita in due registri sovrapposti: in alto il piano celeste con la Vergine e le creature angeliche; in basso quello terreno, occupato dai santi disposti in teoria.

Il successo riscosso dagli affreschi della cappella della Concezione è provato dal fatto che il papa vorrà di lì a breve Perugino come regista della titanica impresa che in un arco di tempo brevissimo (all’incirca un anno) portò alla decorazione delle pareti della Cappella sistina, terminata entro l’estate del 1482. La cappella principale del Palazzo apostolico, dedicata alla Vergine assunta, era stata progettata su iniziativa dello stesso Sisto IV da Baccio Pontelli e fu costruita da Giovannino de’ Dolci a partire dal 1477. Nel 1479 il pittore umbro Piermatteo d’Amelia veniva incaricato di affrescare la grande volta con un cielo stellato. Nel frattempo Bartolomeo Sacchi detto il Platina, dotto prefetto della Biblioteca vaticana, stilava il programma iconografico, che celebrava la storia della salvazione attraverso otto Episodi della vita di Mosè e otto Episodi della vita di Cristo, convergenti verso l’affresco d’altare con l’Assunzione della Vergine, nel quale era presente anche un ritratto del pontefice inginocchiato. Nel registro superiore le effigi entro nicchie dei suoi predecessori evidenziavano il ruolo rivestito dalla Chiesa in tale processo. I maestri ai quali è affidato il compito di eseguire la decorazione sono quattro, tutti legati all’ambito verrocchiesco fiorentino: oltre a Perugino, Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli e Cosimo Rosselli. A questi si aggiunsero poi Luca Signorelli e Bartolomeo della Gatta. A lavorare sui ponteggi è però un piccolo esercito di aiuti e collaboratori, tra i quali sono stati riconosciuti Rocco Zoppo e Andrea d’Assisi detto l’Ingegno, giunti proprio al seguito di Pietro. A quest’ultimo si può attribuire per molteplici ragioni un ruolo predominante nella campagna decorativa. Tutte le composizioni sono impostate in effetti in maniera unitaria su suoi modelli, come se egli avesse fornito ai colleghi un disegno generale o delle linee guida alle quali attenersi. Perugino dipinse inoltre molti dei Ritratti dei papi e il numero più alto di scene: nella parete di fondo il Ritrovamento di Mosè e la Natività di Cristo, con le quali iniziavano rispettivamente le Storie del patriarca e quelle del Redentore, e al centro fra di esse l’Assunzione della Vergine, che era il soggetto più importante, poiché fungeva anche da pala d’altare; nelle pareti laterali il Viaggio di Mosè a sinistra, il Battesimo di Cristo e la Consegna delle chiavi a destra. A suggello dell’impresa il Battesimo recava la firma del maestro, che si legge frammentaria nell’angolo in basso a sinistra (l’iscrizione «Opus Petri Perusini Castro Plebis» al centro della trabeazione in finto marmo che incornicia in alto l’affresco è posteriore).


Madonna col Bambino e san Giovannino (1482-1485 circa); Londra, National Gallery.

Ultima cena (1485 circa), particolare; Firenze, Cenacolo del Fuligno.


La consegna delle chiavi a san Pietro (1482); Città del Vaticano, Musei vaticani, Cappella sistina.

La percezione della predominanza del contributo di Perugino nel cantiere della Sistina è falsata dalla scomparsa di ben tre dei sei soggetti che egli aveva dipinto. Nel 1534, dopo aver affidato a Michelangelo la realizzazione del Giudizio universale, Clemente VII ordinò infatti la distruzione dei dipinti della parete d’altare della cappella (si conserva una documentazione grafica solo per l’Assunzione, della quale resta un disegno attribuito all’ambito di Pinturicchio all’Albertina di Vienna). Da allora la scena simbolo del ciclo decorativo quattrocentesco è rappresentata dalla Consegna delle chiavi, uno dei più alti esiti di Pietro, che fonde paesaggio, architettura e figure in un’immagine di suprema armonia.

La grande impresa della Sistina consacra Perugino come uno dei maestri più richiesti d’Italia. Le commissioni pubbliche e private si susseguono in varie parti della penisola e inizia anche il problema di far fronte a tutti gli impegni presi, che accompagnerà il pittore per il resto della carriera. Il 5 ottobre 1482, per esempio, gli viene richiesto di dipingere la parete nord della Sala dei gigli di Palazzo Vecchio a Firenze. Il 31 dicembre, però, a fronte della sua inadempienza, l’incarico viene ceduto a Filippino Lippi.

La ricostruzione dell’attività del Vannucci nel decennio successivo al completamento della decorazione della cappella papale è un problema critico ancora aperto, a causa della mancanza di riscontri documentari e di opere datate. Egli continua comunque a dedicarsi ai generi e ai temi che gli avevano consentito la piena affermazione, sviluppandoli in una cifra sempre più matura e personale. Un linguaggio che si libera delle asprezze di ascendenza verrocchiesca del periodo giovanile, per appropriarsi con sicurezza crescente di caratteri nei quali si manifesta una nuova idea di classicismo.

Un’arte di assoluto equilibrio, dove la disarmonia non è contemplata e tutto è rigorosamente bilanciato. Forme monumentali, anche nelle dimensioni più ridotte, sono definite da un segno fluido e morbido e accese da colori pastosi e sfumati, giocati su una gamma vasta quanto delicata. La natura, i corpi umani, gli edifici rispondono agli stessi criteri di razionalità e sono tra loro in rapporto di paritaria accoglienza. L’assenza di turbamento nei gesti e nelle espressioni diviene proiezione di un’apollinea quiete. Tutto è teso alla perfezione.

I movimenti del pittore suggeriti dalle fonti e dalla distribuzione delle opere superstiti attestano che intorno alla metà degli anni Ottanta del Quattrocento egli frequentò con particolare assiduità il contesto romano. Risale a questa fase il Trittico Galitzin della National Gallery di Washington, realizzato per il vescovo di Cagli Bartolomeo Bartoli, che ne avrebbe fatto dono alla chiesa di San Domenico a San Gimignano (Siena). L’esecuzione dell’opera avvenne con ogni probabilità negli anni in cui Bartoli risiedeva a Roma in Santa Maria Maggiore (1480-1485), rivestendo importanti cariche presso la corte papale. In questo dipinto, che è tra i massimi raggiungimenti del maestro, la sua cifra vive un’ulteriore evoluzione, facendosi minuta e accuratissima, quasi miniatoria. Si tratta di un registro formale che sembra legato proprio a questa parentesi romana e che torna, sebbene in declinazioni lievemente più strutturate, in altre opere scalabili entro gli anni Ottanta del Quattrocento, quali la Madonna col Bambino e san Giovannino della National Gallery di Londra, il tondo del Louvre con la Madonna in trono col Bambino fra le sante Rosa e Caterina d’Alessandria e il San Sebastiano conservato dallo stesso museo.

Il 1486 è un anno chiave per Pietro Vannucci.

Dopo aver ottenuto nel dicembre precedente la cittadinanza perugina (ed essersi iscritto alla locale matricola dei pittori) prende in affitto dal mese di giugno una bottega a Firenze. La «parte di stanza e chassa», come viene definita nei documenti, era di proprietà di Vittore Ghiberti, figlio di Lorenzo, e si trovava in via San Gilio, l’attuale via Bufalini, in una zona in cui erano concentrati molti laboratori di artisti e artigiani.

In quello stesso anno Pietro dovette ricevere il prestigioso incarico di dipingere la Crocifissione a fresco nel coro in muratura della basilica di Santa Maria degli Angeli di Assisi, che era stato eretto l’anno precedente inglobando la parete posteriore della Porziuncola. Di questa grande scena, animata da un fermento insolito nella produzione del maestro, resta purtroppo, dopo la distruzione del coro avvenuta nel 1569, solo un malconcio frammento sul retro della venerata cappellina, oltre a una serie di disegni preparatori (palazzo Bianco a Genova, British Museum di Londra, Museum Kunst Palast di Düsseldorf).

Sebbene tenga un piede anche in Umbria, nei secondi anni Ottanta Pietro dedica particolare attenzione al mercato fiorentino, che in breve arriva a signoreggiare. Gli incarichi più consistenti gli vengono affidati dai gesuati di San Giusto alle Mura, per i quali egli realizza degli affreschi nei due chiostri del complesso (fra questi un’Adorazione dei magi molto lodata da Vasari), una tavola con la Crocifissione per l’oratorio vicino al dormitorio e due pale con l’Orazione nell’orto e il Compianto sul Cristo morto, che erano poste ai lati di una Crocifissione in legno di Benedetto da Maiano sul tramezzo della chiesa.

Gli affreschi sono andati perduti nel 1529, quando il convento di San Giusto venne distrutto per permettere la realizzazione di nuove strutture difensive durante il lungo assedio che Firenze subì da parte delle truppe di Carlo V. Le tre tavole si conservano invece agli Uffizi e sono annoverate fra i capolavori del pittore.

Non è un caso che tra gli aspetti più celebrati di questi dipinti vi sia la purezza e la brillantezza del colore: gli “ingesuati”, infatti, avevano creato nel loro complesso un vero e proprio laboratorio per la fabbricazione delle vetrate e si dedicavano personalmente alla preparazione dei pigmenti, in particolare dell’azzurro oltremarino.

La specifica cronologia delle tavole è molto dibattuta. È probabile, tuttavia, che la Crocifissione sia stata realizzata per prima, in tempi coincidenti con la fase romana della prima metà degli anni Ottanta, per i ricordi ancora vivi dell’esperienza della Sistina. È invece da collocare più avanti l’esecuzione del Compianto e poi dell’Orazione nell’orto, opere di qualità pittorica sublime e di originalissima impostazione compositiva (è celebre la descrizione della Pietà fornita da Vasari: «In grembo a Nostra Donna fece un Cristo morto, intirizzato come se e’ fusse stato tanto in croce, che lo spazio et il freddo l’avessino ridotto così»). Le due pale mostrano una maturità di mezzi e di concezione che permette di ipotizzare una datazione degli anni Novanta, se non oltre, nella fase di massimo fulgore della carriera di Pietro.


Trittico Galitzin (Crocifissione con san Girolamo e santa Maria Maddalena) (1482-1485 circa); Washington, National Gallery of Art.


Madonna col Bambino e san Giovannino (1482-1485 circa); Londra, National Gallery.


San Sebastiano (1485-1490 circa); Parigi, Musée du Louvre. Avvinto alla colonna da lacci invisibili, il San Sebastiano di Perugino ha perso un po’ della carnosa fisicità così evidente nell’affresco di Cerqueto. Rivolge, ieratico, lo sguardo in alto, pronto a rimettere l’anima nelle mani del Signore. Il martirio è appena cominciato, soltanto due frecce, una per parte, fanno stillare qualche goccia di sangue. Il santo è solo, domina tanto lo spazio della natura quanto quello dell’uomo rappresentato dalla loggia aperta. Dei carnefici, non merita lasciare traccia.

Crocifissione (1486); Assisi, Santa Maria degli Angeli, Porziuncola.


Crocifissione (Cristo crocifisso fra san Girolamo, san Francesco d’Assisi, il beato Giovanni Colombini, santa Maria Maddalena e san Giovanni Battista) (1482-1485); Firenze, Uffizi.

In questo momento Perugino gode del favore di Lorenzo de’ Medici, signore di Firenze e uomo di grande cultura, amante della filosofia, delle lettere e delle arti.

Nella cerchia di intellettuali riunita presso la sua corte dominano gli ideali del neoplatonismo, una corrente di pensiero che riconosceva nell’armonia del bello una manifestazione del sacro e del divino e che tendeva a conciliare la teologia con il pensiero precristiano. La pittura adamantina di Pietro, dove tutto è equilibrio e misura, incarna questi principi e pone il maestro umbro fra i prediletti del Magnifico.

Nasce forse come commissione di quest’ultimo una tavoletta oggi al Louvre con il mito di Apollo e del pastore Dafni, nel quale Lorenzo aveva scelto di identificarsi.

Altri temi mitologici erano stati dipinti da Pietro tra il 1490 e il 1491 nella villa medicea dello Spedaletto presso Volterra, oggi purtroppo distrutta, dove egli operò insieme a Botticelli, Ghirlandaio e Filippino Lippi.

Nel 1491, di nuovo per volere del Magnifico, il pittore interviene anche nella vicenda della nuova facciata della cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore, presentando molto probabilmente un progetto, oggi perduto. L’interesse del Vannucci per l’arte del costruire, d’altronde, è ampiamente dimostrato dal ruolo fondamentale che nelle sue opere è riservato all’architettura, definita secondo canoni che tengono pienamente conto del vivace dibattito sorto all’epoca intorno al tema, caratterizzato dal dialogo con l’Antico e segnato dalla lezione di Alberti e dall’eredità di Brunelleschi.

Anche grazie alla protezione di Lorenzo il Magnifico Perugino è tra i pittori più richiesti dall’élite fiorentina. Sono prevalentemente di estrazione aristocratica, per esempio, le suore del convento di Sant’Onofrio (detto “di Foligno” perché abitato da una congregazione di terziarie francescane fondata nella città umbra) che intorno alla metà degli anni Ottanta gli commissionano un’Ultima cena a fresco per il loro refettorio.

Per la cappella di Bernardo e Filippo Nasi nella chiesa fiorentina di Santa Maria Maddalena di Cestello, poi di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, Pietro realizza invece all’incirca nel 1489 una tavola con la Visione di san Bernardo (Monaco, Alte Pinakothek). La scena è ambientata nel loggiato sorretto da pilastri che diviene in questi anni una vera e propria costante della produzione del maestro, ripetendosi con minime varianti in alcune delle sue opere capitali. Le figure sono inserite armoniosamente nell’architettura, che si apre sullo sfondo in un terso paesaggio, digradante dolcemente verso l’orizzonte. L’abilità nel rappresentare la natura è uno degli aspetti caratterizzanti dell’arte di Perugino, fin dalle prime prove. Il pittore eccelle sia nel raffigurare in dettaglio fiori di campo e piante officinali, sia nelle vedute, che includono molto spesso specchi d’acqua – spesso interpretati come reminiscenze del lago Trasimeno – dei quali egli sa rendere con mirabile sensibilità la trasparenza.

L’attenzione allo sfumare delle forme in lontananza, in tinte via via più delicate e luminose, pone Pietro quasi alla stregua di Leonardo in merito all’interesse per la cosiddetta prospettiva aerea.

Caratteri simili a quelli della Visione di san Bernardo sono presenti nell’Annunciazione della chiesa di Santa Maria Nuova a Fano, nelle Marche, databile anch’essa intorno al 1489. L’esecuzione dell’opera si ricollega a circostanze che aprono un vivace spaccato sulla vita e sulla personalità del pittore, il quale, nella stagione estiva, trascorreva lunghi soggiorni nella città affacciata sull’Adriatico, perché amante dei bagni di mare. Lo ospitavano proprio i frati del convento osservante annesso alla chiesa fanese, per i quali egli realizza anche la pala di tema mariano voluta da Durante di Giovanni Vianuzzi, commissionata nel 1488, ma ultimata solo nel 1497.

Durante la permanenza a Fano del 1489 Perugino viene raggiunto da messi dell’Opera del duomo di Orvieto per prendere accordi in merito alla decorazione della cappella di San Brizio, della quale Beato Angelico e Benozzo Gozzoli avevano affrescato, ormai più di cinquant’anni prima, due vele nella volta sopra l’altare.

Si tratta di un altro incarico mai portato a termine dal maestro, a vantaggio stavolta di Luca Signorelli, che vi lavorò fra il 1499 e il 1502.


Compianto sul Cristo morto (Pietà e i santi Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo, Giovanni evangelista e Maria Maddalena) (1486-1490 circa); Firenze, Uffizi.


Orazione nell’orto (1490-1495 circa); Firenze, Uffizi. Con i frati di san Giusto alle Mura di Firenze Perugino intratteneva rapporti costanti, che riguardavano anche la gestione dei suoi affari, e che lo portarono, in tempi diversi, ad affrescare i due chiostri della chiesa – assai lodati da Vasari – e a dipingere ben tre tavole, oggi tutte agli Uffizi.

Apollo e Dafni (1485-1490 circa); Parigi, Musée du Louvre.


Ultima cena (1485 circa); Firenze, cenacolo del Fuligno.


Visione di san Bernardo (1489-1490 circa); Monaco, Alte Pinakothek. Il loggiato in pietra, più presente che in altre opere similmente impaginate, accoglie al centro un paesaggio più di cielo che di terra, mentre i protagonisti, la Vergine e Bernardo, si dispongono rispettivamente a sinistra e a destra, separati dal libro sul leggio, vero e proprio motore della tensione interna all’immagine. Dalla sua lettura, infatti, scaturisce la visione e mentre Maria lo indica con la mano, il santo alle spalle del cistercense vi pone attento lo sguardo.

PERUGINO NEL RINASCIMENTO ITALIANO
PERUGINO NEL RINASCIMENTO ITALIANO
Marco Pierini - Veruska Picchiarelli
La nuova Galleria nazionale dell’Umbria dedica in questi mesi una mostra – in occasionedel quinto centenario della morte – a Pietro Vannucci, detto il Perugino(Città della Pieve 1448 circa - Fontignano 1523). “Art e Dossier” torna quindi ariservare un nuovo aggiornatissimo dossier al maestro umbro, che lavorò fiancoa fianco con Botticelli e Leonardo nella bottega fiorentina del Verrocchio; fua contatto con le opere di Piero della Francesca, Ghirlandaio. Lippi, Angelico,Gozzoli; lavorò in Toscana, in Umbria, in Vaticano nella Cappella sistina (una dellesue opere sarebbe poi stata cancellata per far posto al Giudizio universale diMichelangelo); tra i suoi allievi, anche Raffaello. Insomma, Perugino si colloca alcentro, e da protagonista, della vicenda intera del Rinascimento italiano, ed è inquesto ruolo che viene affrontata la sua figura in questo dossier. La sua pittura èesemplare della ricerca di armonia, equilibrio, precisione nel disegno, luminositàdel colore che rappresenta in sintesi l’ideale artistico del periodo in cui visse.