La mostra organizzata da Intesa Sanpaolo, la prima che si tiene a Napoli dedicata a questa fase della carriera di Artemisia, intende fare i conti anche con tali questioni. Fino al 19 marzo i nuovi spazi delle Gallerie d’Italia in via Toledo, sede museale della banca a Napoli, accolgono infatti una selezione di circa cinquanta opere, metà delle quali di mano di Artemisia e le restanti di artisti di primo livello a lei strettamente collegati, perlopiù attivi a Napoli negli stessi anni, da Massimo Stanzione a Paolo Finoglio, da Francesco Guarino ad Andrea Vaccaro per finire con la riscoperta “Annella” Di Rosa, la maggiore artista napoletana della prima metà del Seicento, anche lei – secondo una tradizione antica, rivelatasi però inattendibile – vittima della violenza di genere.
L’iniziativa è una sorta di “spin-off” della bellissima rassegna tenutasi nel 2020-2021 alla National Gallery di Londra, che offriva un’antologia dell’intera carriera dell’artista; a testimonianza della “special collaboration” tra Intesa Sanpaolo e il museo britannico, quest’ultimo ha concesso in prestito l’Autoritratto come santa Caterina d’Alessandria, capolavoro del periodo fiorentino di Artemisia, presentato per la prima volta in Italia a introduzione del percorso espositivo. La mostra, inoltre, si avvale della consulenza speciale di Gabriele Finaldi, direttore della National Gallery.
L’esposizione di Napoli, preparata da un lavoro di studio e di ricerca archivistica, ha innanzitutto contribuito a precisare la cornice biografica dell’attività meridionale dell’artista, a partire dall’individuazione della sua ultima residenza napoletana, per continuare con il ritrovamento della documentazione relativa al matrimonio della figlia, Prudenzia Palmira, con Antonio Di Napoli, nel 1649 (un’unione riparatrice, tesa a regolarizzare il lungo concubinato degli sposi e la nascita del loro figlio Biagio al di fuori del matrimonio), per finire con l’accertamento della difficile situazione economica in cui la pittrice si trovò nei suoi ultimi anni, situazione che può anche spiegare la flessione qualitativa che si registra in molte delle sue opere più tarde.
Quanto ai dipinti, la selezione dei pezzi esposti delinea un quadro essenziale della parabola napoletana di Artemisia, con i suoi vertici e le sue incertezze, includendo gran parte dei suoi punti fermi, dall’Annunciazione di Capodimonte, firmata e datata 1630, alla Susanna e i vecchi della Pinacoteca nazionale di Bologna, del 1652, passando per i grandi incarichi pubblici, come due delle tre tele eseguite per la cattedrale di Pozzuoli (Napoli), raffiguranti San Gennaro e i compagni gettati nell’anfiteatro ammansiscono le belve e San Procolo e santa Nicea, quest’ultima restaurata per l’occasione.
Si è cercato, cioè, di calare Artemisia nel suo contesto storico, mostrandone i caratteri di continuità con l’ambiente dell’epoca piuttosto che sottolinearne l’eccezionalità e isolarla come un oggetto di culto, un rischio che spesso si corre con le grandi personalità artistiche. In questo senso, più che modificare la visione della pittrice, Napoli ha offerto un terreno molto ricettivo al realismo dell’artista di matrice caravaggesca incoraggiandola a proseguire in tale linea figurativa, ma allo stesso tempo indirizzandola verso esiti di maggiore eleganza formale.