Grandi mostre. 5
ARTEMISIA GENTILESCHI A NAPOLI

LA PARABOLA
PARTENOPEA

L’AMPIO E FONDAMENTALE PERIODO NAPOLETANO DI ARTEMISIA GENTILESCHI, RARAMENTE OGGETTO DI SPECIFICO INTERESSE DA PARTE DELLA CRITICA E DEGLI EVENTI ESPOSITIVI, È AL CENTRO DI UNA MOSTRA ALLE GALLERIE D’ITALIA. LA PRIMA NEL CAPOLUOGO CAMPANO, PRECEDUTA DA UNA MINUZIOSA ATTIVITÀ DI STUDIO E DI RICERCA D’ARCHIVIO, PRESENTATA QUI DAI CURATORI.

Antonio Ernesto Denunzio,
Giuseppe Porzio

L’importanza di Artemisia Gentileschi per le vicende della pittura del Seicento a Napoli, anche come mediatrice della lezione del padre Orazio, è una questione ben nota agli studi, ed è stata considerata di particolare valore già nella prima metà del Novecento da Roberto Longhi, al quale – assieme alla moglie Anna Banti – si deve più in generale la rivalutazione moderna della pittrice. Tuttavia, la lunga attività napoletana di Artemisia, documentata tra il 1630 e il 1654 e interrotta solo da una parentesi londinese tra la primavera del 1638 e quella del 1640, ha sempre posto complessi problemi di “connoisseurship” dovuti all’approccio “imprenditoriale” sviluppato in questa fase dalla pittrice, incline perciò a replicare frequentemente, anche con significative oscillazioni qualitative, le proprie idee compositive e soprattutto ad avvalersi dell’aiuto di collaboratori locali, spesso figure di prima grandezza, come Bernardo Cavallino o Micco Spadaro.

Le difficoltà di orientamento all’interno di questa vasta produzione, che richiede una profonda conoscenza del contesto artistico meridionale, anche nei suoi aspetti minori, ha senz’altro scoraggiato una presentazione complessiva di questo momento di Artemisia fuori da un ambito specialistico. A fronte del grande interesse suscitato dalla “pittora”, anche per ragioni extra-artistiche, tale stagione raramente ha ricevuto un’attenzione specifica da parte della critica e delle iniziative espositive dedicate all’artista.


Autoritratto come santa Caterina d’Alessandria (1615-1617 circa), Londra, National Gallery.

La mostra organizzata da Intesa Sanpaolo, la prima che si tiene a Napoli dedicata a questa fase della carriera di Artemisia, intende fare i conti anche con tali questioni. Fino al 19 marzo i nuovi spazi delle Gallerie d’Italia in via Toledo, sede museale della banca a Napoli, accolgono infatti una selezione di circa cinquanta opere, metà delle quali di mano di Artemisia e le restanti di artisti di primo livello a lei strettamente collegati, perlopiù attivi a Napoli negli stessi anni, da Massimo Stanzione a Paolo Finoglio, da Francesco Guarino ad Andrea Vaccaro per finire con la riscoperta “Annella” Di Rosa, la maggiore artista napoletana della prima metà del Seicento, anche lei – secondo una tradizione antica, rivelatasi però inattendibile – vittima della violenza di genere.

L’iniziativa è una sorta di “spin-off” della bellissima rassegna tenutasi nel 2020-2021 alla National Gallery di Londra, che offriva un’antologia dell’intera carriera dell’artista; a testimonianza della “special collaboration” tra Intesa Sanpaolo e il museo britannico, quest’ultimo ha concesso in prestito l’Autoritratto come santa Caterina d’Alessandria, capolavoro del periodo fiorentino di Artemisia, presentato per la prima volta in Italia a introduzione del percorso espositivo. La mostra, inoltre, si avvale della consulenza speciale di Gabriele Finaldi, direttore della National Gallery.

L’esposizione di Napoli, preparata da un lavoro di studio e di ricerca archivistica, ha innanzitutto contribuito a precisare la cornice biografica dell’attività meridionale dell’artista, a partire dall’individuazione della sua ultima residenza napoletana, per continuare con il ritrovamento della documentazione relativa al matrimonio della figlia, Prudenzia Palmira, con Antonio Di Napoli, nel 1649 (un’unione riparatrice, tesa a regolarizzare il lungo concubinato degli sposi e la nascita del loro figlio Biagio al di fuori del matrimonio), per finire con l’accertamento della difficile situazione economica in cui la pittrice si trovò nei suoi ultimi anni, situazione che può anche spiegare la flessione qualitativa che si registra in molte delle sue opere più tarde.

Quanto ai dipinti, la selezione dei pezzi esposti delinea un quadro essenziale della parabola napoletana di Artemisia, con i suoi vertici e le sue incertezze, includendo gran parte dei suoi punti fermi, dall’Annunciazione di Capodimonte, firmata e datata 1630, alla Susanna e i vecchi della Pinacoteca nazionale di Bologna, del 1652, passando per i grandi incarichi pubblici, come due delle tre tele eseguite per la cattedrale di Pozzuoli (Napoli), raffiguranti San Gennaro e i compagni gettati nell’anfiteatro ammansiscono le belve e San Procolo e santa Nicea, quest’ultima restaurata per l’occasione.

Si è cercato, cioè, di calare Artemisia nel suo contesto storico, mostrandone i caratteri di continuità con l’ambiente dell’epoca piuttosto che sottolinearne l’eccezionalità e isolarla come un oggetto di culto, un rischio che spesso si corre con le grandi personalità artistiche. In questo senso, più che modificare la visione della pittrice, Napoli ha offerto un terreno molto ricettivo al realismo dell’artista di matrice caravaggesca incoraggiandola a proseguire in tale linea figurativa, ma allo stesso tempo indirizzandola verso esiti di maggiore eleganza formale.


NAPOLI HA OFFERTO UN TERRENO MOLTO RICETTIVO AL REALISMO DELL’ARTISTA DI MATRICE CARAVAGGESCA INCORAGGIANDOLA A PROSEGUIRE IN TALE LINEA FIGURATIVA, MA ALLO STESSO TEMPO INDIRIZZANDOLA VERSO ESITI DI MAGGIORE ELEGANZA FORMALE


Giuditta e la sua ancella con la testa di Oloferne (1640-1645 circa), Napoli, Museo e Real bosco di Capodimonte.


Susanna e i vecchi (1652), Bologna, Pinacoteca nazionale.

Sansone e Dalila (1640-1645 circa), Napoli, Gallerie d'Italia, collezione Intesa Sanpaolo.


San Gennaro e i compagni gettati nell’anfiteatro ammansiscono le belve (1636-1637 circa), Pozzuoli (Napoli), San Procolo martire.

Ora, l’impatto di Artemisia sull’ambiente partenopeo – soprattutto per la diffusione di certi temi, come quello delle “donne forti e intrepide”, connotati da una marcata dimensione sensuale, e per l’affermazione di una tendenza stilistica, caratterizzata da un naturalismo prezioso e raffinato – era riconosciuto già dalle fonti, in particolare da uno scrittore come Bernardo De Dominici, che a metà Settecento sottolineava l’importanza di Gentileschi nella formazione di artisti come Cavallino e Onofrio Palumbo, che oggi sappiamo aver effettivamente lavorato assieme a lei. In questo senso, la monumentale Susanna di collezione privata a Londra, esposta per la prima volta al pubblico, è un esempio perfetto dell’ibridazione dello stile di Artemisia con quello dei suoi colleghi napoletani. Come si diceva, la produzione napoletana di Artemisia è molto ampia e pone difficili problemi di ricostruzione, dovuti appunto anche al consistente ricorso ad aiuti (i già ricordati Cavallino, Spadaro e Palumbo sono al momento i soli di cui siamo in grado di riconoscere l’apporto, e non senza discussioni tra gli studiosi). Senza contare che pittrice fu anche la figlia di Artemisia, Prudenzia Palmira, la cui fisionomia artistica è per ora indistinguibile. Adesso, tutti questi interrogativi sono posti chiaramente dalla mostra, pur con la consapevolezza che, a oggi, molte domande non possono ancora ricevere una risposta definitiva.


Hendrick van Somer, Lot e le figlie (1650), Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza.

Artemisia Gentileschi a Napoli

a cura di Antonio Ernesto Denunzio e Giuseppe Porzio
Napoli, Gallerie d’Italia
fino al 19 marzo
orario 10-19, sabato e domenica 10-20, chiuso il lunedì
catalogo Edizioni Gallerie d’Italia - Skira
www.gallerieditalia.com

ART E DOSSIER N. 406
ART E DOSSIER N. 406
FEBBRAIO 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: I condottieri della cattedrale di Federico D. Giannini; CORTOON: Animemoria di Luca Antoccia; GRANDI MOSTRE. 1 - Nan Goldin a Stoccolma e a Berlino - A cuore aperto di Francesca Orsi ; GRANDI MOSTRE. 2 - Wayne Thiebaud a Riehen - Un mago e i suoi incantesimi di Valeria Caldelli ...