Grandi mostre. 4
MILANO. DA ROMANTICA A SCAPIGLIATA A NOVARA

Una metropoli
ante litteram

NELL’OTTOCENTO, SECOLO DI GRANDI TRASFORMAZIONI, COM’ERA MILANO? FRENETICA, POETICA, MODERNA, CON SCORCI SUGGESTIVI, ARCHITETTURE IMPONENTI E GENTE DI OGNI CLASSE SOCIALE. LO DIMOSTRANO LE OPERE DELL’EPOCA VISIBILI NELL’ESPOSIZIONE IN CORSO AL CASTELLO DI NOVARA.

Maurizia Tazartes

Un grande affresco della Milano ottocentesca attraverso settanta capolavori ben scelti. Pezzi della città e della sua umanità con gli occhi di decine di artisti che sapevano cogliere gli angoli, le piazze, i vicoli più belli e pittoreschi con la loro vita. Il panorama che ne esce è suggestivo. Milano. Da romantica a scapigliata è il titolo della mostra aperta sino al 12 marzo al castello di Novara, che ripercorre un secolo di arte, lombarda e veneta, e le trasformazioni del capoluogo meneghino, dal Congresso di Vienna del 1815, con la creazione del Regno lombardo-veneto, dipendente dall’impero austriaco e finito nel 1859, alle guerre di Indipendenza sino alla liberazione dal giogo austriaco e alla costituzione del Regno d’Italia nel 1861 e oltre, sino alla fine del secolo..

Cento anni vivaci e complicati, che hanno visto Milano trasformarsi da settecentesca a capitale moderna, cosmopolita, incrocio di culture e di tendenze artistiche, con la nascita di monumenti presenti ancora oggi, come la Stazione centrale, inaugurata nel 1864, la Galleria Vittorio Emanuele del 1865, la piazza del teatro della Scala dello stesso anno. Una città bellissima, piena di colore, con straordinari edifici, gente alacre, al lavoro nelle piazze e nelle strade, dove non mancavano miserabili e derelitti, che colpivano artisti all’avanguardia. Guardando questa Milano dipinta, ancora vagamente manzoniana, capiamo l’importanza della metropoli di oggi, la sua crescita, potenzialità, internazionalità.

Il percorso della mostra, curata da Elisabetta Chiodini con il supporto di un comitato scientifico, comprende otto tappe, che attraversano complesse vicende e i relativi movimenti artistici: “Pittura urbana nella Milano romantica”, “I protagonisti”, “Milano, da austriaca e poi liberata”, “La Storia narrata dalla parte del popolo”, “Verso il rinnovamento del linguaggio: dal disegno al colore”, “Il sistema di Filippo Carcano. La pittura scombiccherata e impiastricciata”, “Verso la Scapigliatura” e nell’ultima sezione “L’affermazione e il trionfo del linguaggio scapigliato”. Un viaggio denso, sullo sfondo di un interessante scenario, Milano. Il termine “pittura urbana” era stato creato nel 1829 da Defendente Sacchi, giornalista e scrittore che, nelle pagine del settimanale “La Minerva Ticinese” (I, XXXVI, 9 settembre 1829), analizzava la pittura di Giovanni Migliara (1785-1837), pittore alessandrino all’apice della carriera, con una serie di seguaci, i “migliaristi”. Sacchi notava che le sue vedute si differenziavano da quelle settecentesche, da cui derivavano, per l’inserimento delle figure, della vita, nelle architetture e nei monumenti, veri o immaginari.

L’interesse per la società comprendeva soggetti contemporanei o di altre epoche. Nella Piazza del Duomo a Milano, una tela del 1828, la piazza, tra luce e ombra, è battuta da un’umanità formicolante, gentiluomini a cavallo, donne incappellate con bambini, venditrici, contadini e, sotto i portici, signori a passeggio.

La tendenza a sottolineare la cronaca milanese si irrobustisce in allievi ed epigoni di Migliara, pittori geniali come il veronese Giuseppe Canella (1788-1847) che, tornato a Milano nel 1832 dopo una serie di soggiorni in Europa, dalla Spagna alla Francia all’Olanda, è autore di dipinti innovativi. A Parigi Canella si era specializzato, con successo, nelle vedute urbane molto affollate, un genere, che «riescì [sic] nuovo e piacque molto», scrive. Affascinante e piena di gente è la sua Veduta della corsia de’ Servi in Milano, del 1833, con i suoi «caseggiati», come li chiamava l’artista, e le decine di persone, a piedi, a cavallo, a passeggiare e a fare “shopping”, più o meno come oggi. Sullo sfondo il duomo. Altamente poetica è la Veduta del canale Naviglio preso sul ponte di San Marco in Milano, del 1834, in cui le figure acquistano consistenza e la vita lungo il fiume è rappresentata nella sua quotidianità, con donne che lavano, altre che stendono i panni sui balconi, barconi nell’acqua e cavalli sulla riva: sembra di sentire le voci, gli odori.

Altro colosso della veduta è il bresciano Angelo Inganni (1807- 1880), formatosi nella sua città di origine accanto al padre Giovanni, pittore ornatista, e al fratello Francesco, specializzato in pittura di animali, dal 1833 ammesso a Brera. Ricercato da importanti collezionisti come Ferdinando I d’Austria o il conte Josef Radetzky, sapeva conciliare il rigore prospettico di Migliara con il naturalismo di Canella, creando scene ricche di luce e atmosfera, dove le figure non sono solo più macchiette, ma piccoli personaggi.

Così nella Veduta della piazza del Duomo con il coperto dei Figini del 1839, che riprende un angolo della piazza, vediamo la vita intorno a uno spigolo dell’elegante basilica: gente che va, la venditrice di frutta con il suo foulard in testa, il venditore di pollame, un paio di spazzacamini, un sellaio, un arrotino, un uomo alle prese con un lampione , carrozze, cani, madame milanesi, e addirittura manifesti pubblicitari ai muri, insomma la Milano del tempo. Esposto a Brera nel 1838, il dipinto aveva entusiasmato Ferdinando I, che ne aveva ordinata una replica realizzata nel 1839 per la Galleria del Belvedere di Vienna (la tela in mostra).

Inganni ci presenta angoli di città sotto il sole come la Veduta di piazza dei Mercanti a Milano del 1844, con tutta la sua animazione (compresi due ragazzetti che fanno a botte), o imbiancata dalla neve come La colonna di San Martiniano al Verziere sotto la neve del 1845 o la Nevicata ai Navigli del 1852. Nei dipinti con scorci invernali il pittore raggiunge l’apice, riuscendo a creare l’umidità dell’atmosfera, a far sentire il freddo dei fiocchi cadenti di neve e il calore del braciere su cui, in una baracchina, viene scaldata la polenta.


LA VITA LUNGO IL FIUME È RAPPRESENTATA NELLA SUA QUOTIDIANITÀ, SEMBRA DI SENTIRE LE VOCI, GLI ODORI


Giovanni Migliara, Piazza del Duomo a Milano (1828), Milano, Fondazione Cariplo.


Giuseppe Canella, Veduta del canale Naviglio preso sul ponte di San Marco in Milano (1834), Milano Fondazione Cariplo.


Domenico Induno, Pane e lagrime (1854).

Angelo Inganni, Veduta di piazza del Duomo con il coperto dei Figini (1839).


Giuseppe Canella, Veduta della corsia de’ Servi in Milano (1833).

In questa favolosa Milano si muovono “I protagonisti”. Chi erano? Com’erano? A farceli conoscere nei diversi strati sociali sono pittori come Giuseppe Molteni (1800-1867), che ritrae nel 1832 una fresca e giovane Fruttajuola, che pesa le mele in uno spazio urbano, tra vecchie case e una colonna votiva. Uno dei tanti personaggi umili che interessano il pittore, come pescivendoli, spazzacamini, fioraie, pollivendole, lavandaie e accattoni. La giovane mendicante del 1849 che, col suo neonato, chiede umiliata l’elemosina dietro la grata di un carcere, dove probabilmente sono rinchiusi padre e marito, ebbe grande successo. Di proprietà di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, il dipinto, presentato a Torino nel maggio 1850, era diventato il simbolo di un’intera classe sociale. Inoltre, scriveva un critico all’esposizione dell’opera a Milano nello stesso 1850: «L’espressione di quella fisionomia di donna che vince a stento il rossore per accettare un pane, è di una verità indescrivibile».

Molteni ritrae anche la borghesia milanese, eleganti nobildonne, e lascia ai posteri nel 1835 circa un singolare Ritratto di Alessandro Manzoni (di cui è esposta in mostra una seconda versione recentemente ritrovata). A realizzare ritratti ci sono anche Francesco Hayez col Ritratto della contessa Teresa Zumali Marsili del 1833 circa, Giovanni Carnovali detto il Piccio, Carlo Arienti, Domenico Induno.

E proprio ai due fratelli milanesi Domenico (1815-1878) e Gerolamo (1825-1890) Induno si deve la più ampia rivelazione in pittura del mondo dei poveri e della piccola borghesia che affollava Milano nella metà dell’Ottocento, in piena lotta risorgimentale.

Camere disadorne con pagliericci e cuscini, dove donne piangono per fame mentre i figli rosicchiano tozzi di pane, come in Pane e lagrime di Domenico (1854). Opere che all’Exposition Universelle di Parigi del 1855 entusiasmarono il critico e scrittore Théophile Gautier, ponendosi accanto alla più aggiornata pittura francese. Su tutto incombe la guerra con le Cinque giornate milanesi, i moti del 1859 e i successivi, che ispirarono Domenico a realizzare capolavori come L’ultima moneta (La pietà) del 1855, o Il Monte di pietà del 1872 e Gerolamo a creare opere quali La fidanzata del garibaldino del 1871, in cui una giovane donna, una “madamina”, legge con nostalgia un biglietto dell’amato.

Opera di Gerolamo è anche una commovente scena d’interno con Il ferito visitato dai parenti (episodio della guerra del 1859), del 1866, un dipinto che esposto allora a Venezia, Torino e Milano, suscitò gli elogi della critica per la sua verità e umanità. Del resto, Gerolamo, volontario garibaldino e patriota, conosceva per esperienza la realtà che dipingeva.


Federico Faruffini, Toletta antica (1865 circa).


Gerolamo Induno, La fidanzata del garibaldino (1871).


Angelo Inganni, Nevicata ai Navigli (1852).

Milano. Da romantica a scapigliata

Castello di Novara
a cura di Elisabetta Chiodini
fino al 12 marzo
orario 10-19, chiuso il lunedì
catalogo METS Percorsi d’Arte
www.ilcastellodinovara.it

ART E DOSSIER N. 406
ART E DOSSIER N. 406
FEBBRAIO 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: I condottieri della cattedrale di Federico D. Giannini; CORTOON: Animemoria di Luca Antoccia; GRANDI MOSTRE. 1 - Nan Goldin a Stoccolma e a Berlino - A cuore aperto di Francesca Orsi ; GRANDI MOSTRE. 2 - Wayne Thiebaud a Riehen - Un mago e i suoi incantesimi di Valeria Caldelli ...