Grandi mostre. 1 
NAN GOLDIN A STOCCOLMA E A BERLINO

A cuore aperto

Due esposizioni per conoscere da vicino Nan Goldin. Al Moderna Museet con i suoi “slideshows” e video, allestiti come una “mise-en-scène”. All’Akademie der Künste con la sua ampia produzione fotografica in bianco e nero e a colori. Occasioni preziose per toccare con mano quel senso di intimità e quel bisogno di memoria tanto cari all’artista americana.

Francesca Orsi

Il Moderna Museet di Stoccolma presenta, fino al 26 febbraio, This Will Not End Well, la prima retrospettiva di Nan Goldin (Washington, 1953) come regista. Conosciuta dal mondo intero, fin dalla metà degli anni Ottanta, come autrice di progetti fotografici quali The Ballad of Sexual Dependency, che divenne un modello di ispirazione per i fotografi futuri, l’artista americana per la prima volta torna alle origini del suo linguaggio visivo e offre al pubblico un’esposizione di soli “slideshows” e video.

Quando, infatti, alla fine degli anni Settanta, The Ballad of Sexual Dependency era solo un’idea che si stava animando e Goldin fotografava, con quel suo stile intimo e viscerale, la sua vita, i suoi amici, e tutto ciò che si trovava nel mezzo dell’esistenza umana come dolore, sesso, violenza, gioia, amore, amicizia, droga, dipendenze, genitorialità e molto altro, l’artista era solita mostrarne la produzione in progress attraverso “slideshows” che venivano improvvisati dal vivo, nelle case degli amici o nei locali di New York. Ciò che accadeva, in maniera spontanea ed estemporanea, erano delle vere e proprie performance in cui Goldin si occupava della sequenza delle immagini, che cambiavano di volta in volta, e i suoi amici, invece, della colonna sonora, che vedeva l’alternarsi dei Velvet Underground, James Brown, Nina Simone, Charles Aznavour e molti altri esponenti della No Wave newyorchese.

L’arte, la ricerca visiva, la musica si mescolavano con la complessità della vita, dei sentimenti, delle emozioni, dello stare insieme in una narrazione che contemporaneamente era testimonianza palpitante della storia privata di Nan Goldin ma anche il racconto di un’epoca.

«The Ballad of Sexual Dependency è il diario che lascio leggere alla gente», afferma Goldin. «Il diario è la forma di controllo sulla mia vita. Mi permette di registrare ossessivamente ogni dettaglio. Mi permette di ricordare». È indubbio ed evidente il carattere nostalgico del lavoro della fotografa americana, quella patina che àncora l’immagine alla memoria, ma per capire bene tale processo nella sua poetica non ci dobbiamo dimenticare l’intento privato e profondamente intimo della sua produzione, soprattutto inizialmente. I soggetti di Goldin, infatti, agli albori, coincidevano spesso con il suo pubblico affezionato, carichi di quella familiarità particolare che solo uno sguardo partecipe può avere. Poi è sopraggiunto il successo e quelle stesse immagini hanno conquistato un’ampia platea di estimatori, un mercato, sono diventate il racconto “pubblico” della sua famiglia “allargata”. Ma anche se l’occhio del fruitore è mutato, le immagini di Goldin sono rimaste comunque ancorate alla loro profonda emotività e senso dell’umano. E quella vicinanza per cui erano state prodotte risuona, conseguentemente, anche nello sguardo di chi non è più il suo soggetto, ma solo uno spettatore. E, così, anche la modalità “slideshow”, che si caricava della stessa “domesticità” delle immagini e dei suoi soggetti, diventa, al Moderna Museet di Stoccolma, un canale privilegiato e diretto per far giungere all’occhio di chiunque quella carica di intimità che è diventata artistica.


Elephant Mask, Boston 1985, “slideshow” tratto da Fire Leap (2010-2022).

Il museo svedese, però, non solo esibisce sei progetti di Nan Goldin in modalità “slideshow”, racchiudendoli nell’antologica This Will Not End Well, ma in un certo senso, con l’aiuto dell’architetto Hala Wardé, che da anni collabora con la fotografa americana, li mette anche in scena nel vero senso della parola. Per l’allestimento della mostra, infatti, è stata riprodotta una sorta di città, o meglio di villaggio, dove girovagare per le strade e immergersi nelle stanze, come poteva essere il quartiere di Bowery dove molti racconti di The Ballad of Sexual Dependency sono stati ambientati. Un contenitore affettivo, rimembrante, intriso del concetto di “ricordo” tanto caro a Nan Goldin, che abbraccia oltre al progetto che ha dato la fama all’autrice americana anche The Other Side, Sisters, Saints and Sibyls, Fire Leap, Memory Lost e Sirens. Sei lavori per sei stanze, ognuna delle quali creata specificatamente come reminiscenza strettamente connessa alle immagini che ospita: l’ambiente allestito per The Other Side, per esempio, progetto degli anni Novanta che racconta la storia di alcune amiche transgender della fotografa a Boston, evoca le dorate nottate passate nei nightclub; per Sisters, Saints and Sibyls, omaggio alle memorie nostalgiche e traumatiche della famiglia di Goldin, la stanza richiama la cappella della Salpêtrière a Parigi; o, ancora, lo “slideshow” del suo insuperabile e intramontabile The Ballad of Sexual Dependency è ospitato in quello che viene presentato come un cinema. Hala Wardé ricrea i mondi di Nan Goldin, gli scenari della sua narrativa fotografica, ma anche, in un qualche modo, della sua interiorità e della sua memoria.


«THE BALLAD OF SEXUAL DEPENDENCY È IL DIARIO CHE LASCIO LEGGERE ALLA GENTE», AFFERMA GOLDIN


Heart-Shaped Bruise, New York City 1980, “slideshow” da The Ballad of Sexual Dependency (1981–2022).

Thora at My Vanity, Brooklyn, New York 2021.


Picnic on the Esplanade, Boston 1973, “slideshow” da The Other Side (1992-2021);


Brian and Nan in Kimono (1983), “slideshow” da The Ballad of Sexual Dependency (1981-2022).

La modalità “slideshow”, inoltre, restituisce al pubblico la dimensione sequenziale delle immagini, il suo ritmo che pare scorrere parallelo al soffio della vita, al tempo dell’esistenza, dell’autrice, ma anche dei suoi numerosi amici, soggetti e testimoni del suo ricordare. A rendere visibile tale aspetto della mostra anche il catalogo, pubblicato dall’editore tedesco Steidl, che riproduce fedelmente, frame dopo frame, la sequenza dei singoli “slideshows”, dando un senso di verosimiglianza rispetto a ciò che si vede lungo tutta l’esposizione.

Le immagini, nel catalogo, sono sistemate due per pagina e sempre nella parte centrale, con una grandezza di un quarto di pagina per ciascuna, immerse, sembra, nello sfondo nero di una sala buia. Questa disposizione accentua il loro senso di sequenzialità e il loro valore temporale e narrativo.

Altra occasione per ammirare la produzione quarantennale di Nan Goldin viene offerta dalla mostra Nan Goldin (fino al 19 marzo), organizzata e promossa dall’Akademie der Künste di Berlino, dedicata all’artista come vincitrice del Käthe Kollwitz Prize 2022. L’esposizione, che si compone di fotografie in bianco e nero e a colori tornando indietro fino all’esperienza di Boston, alla fine degli anni Sessanta, e proseguendo fino alle istantanee che ritraggono la vita di Goldin a New York, Berlino e in Asia, torna ad appendere a parete la produzione diaristica della fotografa americana, un corpus vario e maestoso che trova la sua stella polare nell’uso dell’immagine come memoria privata.

«Non ricordo davvero mia sorella, nel processo di lasciare la mia famiglia, nel ricreare me stessa ho perso il vero ricordo di mia sorella. Ricordo la mia versione di lei, delle cose che ha detto, delle cose che significava per me. Ma non ricordo il senso tangibile di chi fosse. Non voglio mai più perdere il vero ricordo di nessuno ». Nella reazione di Nan Goldin al non-ricordare la sorella, morta suicida a diciotto anni, sembra intravedersi la forza della sua fotografia come soluzione all’oblio dei propri affetti.


ANCHE SE L’OCCHIO DEL FRUITORE È MUTATO, LE IMMAGINI DI GOLDIN SONO RIMASTE COMUNQUE ANCORATE ALLA LORO PROFONDA EMOTIVITÀ E SENSO DELL’UMANO


Sisters, Saints, and Sibyls (2004-2022), installazione della mostra This Will Not End Well al Moderna Museet di Stoccolma.


Bed (2019, collage di immagini dal 1992 al 2009), Parigi-New York.


Still from Three- Channel, video da Sisters, Saints, and Sibyls (2004-2022).

Nan Goldin This Will Not End Well

a cura di Fredrik Liew
Stoccolma, Moderna Museet
fino al 26 febbraio
orario 10-18, martedì e venerdì 10-20, chiuso lunedì
catalogo Steidl
www.modernamuseet.se
La mostra proseguirà poi allo Stedelijk Museum di Amsterdam
(31 agosto 2023 - 28 gennaio 2024), alla Neue Nationalgalerie di Berlino
(ottobre 2024 - marzo 2025) e al Pirelli HangarBicocca a Milano
(marzo - luglio 2025)

Nan Goldin Käthe Kollwitz Prize 2022

Berlino, Akademie der Künste
fino al 19 marzo
orario 14-19, sabato e domenica 11-19, chiuso lunedì
www.adk.de

ART E DOSSIER N. 406
ART E DOSSIER N. 406
FEBBRAIO 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: I condottieri della cattedrale di Federico D. Giannini; CORTOON: Animemoria di Luca Antoccia; GRANDI MOSTRE. 1 - Nan Goldin a Stoccolma e a Berlino - A cuore aperto di Francesca Orsi ; GRANDI MOSTRE. 2 - Wayne Thiebaud a Riehen - Un mago e i suoi incantesimi di Valeria Caldelli ...