Dentro l'opera 

GAUGUIN “IN DRAG”
LA STORIA DELL’ARTE DECOLONIZZATAIN PROSPETTIVA “ECOQUEER”

Cristina Baldacci

Un primo piano su opere meno note dal secondo Novecento a oggi, per scoprirne il significato e l’unicità nel continuum della storia dell’arte: Yuki Kihara, Two Fa‘afafine (After Gauguin)

A un primo sguardo, la fotografia dell’artista samoana Yuki Kihara che rappresenta due membri della comunità “Fa‘afafine” (termine con cui sull’isola di Samoa si indicano le persone non binarie, in particolare coloro che alla nascita sono di sesso maschile e che socialmente assumono un’identità femminile) potrebbe sembrare un omaggio a Gauguin e al suo celebre dipinto del 1891 con le due tahitiane, aggiornato in versione “queer”. È invece tutt’altro, ovvero uno smascheramento e insieme una critica del pittore come maschio occidentale che, oltre ad approfittarsi delle giovani native durante il suo soggiorno in Polinesia, ha colonizzato e distorto l’immaginario oceanico.

Prima artista indigena e “queer” ad aver rappresentato la Nuova Zelanda (Aotearoa in lingua māori) alla Biennale Arte 2022, con Two Fa‘afafine (After Gauguin) Kihara compie un’attenta rilettura della storia dell’arte da una prospettiva postcoloniale, gender e anche ambientalista. Come parte della serie di fotografie e video presentati nella mostra Paradise Camp(1) (dove “camp” si riferisce, secondo la definizione introdotta da Susan Sontag nel 1964, all’estetica esuberante e fluida), l’opera rimette in scena il dipinto di Gauguin abbattendo stereotipi e producendo quello che per Kihara è “upcycling”, vale a dire un miglioramento rispetto all’originale.

Osservando i quadri oceanici di Gauguin, Kihara si è resa conto che c’era qualcosa che non andava. Un’accurata ricerca in archivio le ha permesso di trovare le fotografie prese a modello da Gauguin e di scoprire molte inesattezze sui luoghi e sui personaggi da lui ritratti. Come gesto di riappropriazione dell’identità culturale e geografica locale, soprattutto samoana, ha quindi deciso di far reinterpretare i dipinti dalla comunità “queer” “Fa‘afafine” e di trasformare i “tableaux vivants” in immagini fotografiche.

Fotografie che nel padiglione neozelandese Kihara ha allestito su una grande carta da parati raffigurante una spiaggia oceanica, con palme, sabbia bianca e cielo azzurro. Un’immagine paradisiaca, così diffusa e venduta dai media per invogliare il turismo e il consumismo occidentali, che però è un altro falso mito, dal momento che le isole dell’Oceania, tra cui Samoa, sono tra le più colpite dal cambiamento climatico, con inondazioni causate dagli tsunami che stanno mettendo a dura prova popolazione, flora e fauna native.

Il lavoro di Kihara ha una forte valenza etica. Attraverso l’estetica “camp” cerca di rovesciare lo status quo e di correggere la visione “eteronormativa” del paradiso oceanico grazie all’inclusione degli indigeni “in drag” (o “en travesti”), per immaginare un mondo più armonioso e accogliente. Come lei stessa afferma, la mostra Paradise Camp «è una provocazione contro gli stereotipi di luogo, genere e sessualità e la loro intersezionalità: rende visibile l’essere queer che si scontra con le rappresentazioni eteronormative delle popolazioni del Pacifico come conseguenza del colonialismo, sollevando contemporaneamente domande su come riuscire a “decolonizzare” il vivere quotidiano e le relazioni umane»(2).


Yuki Kihara, Two Fa‘afafine (After Gauguin) (2020), dalla serie Paradise Camp.


ART E DOSSIER N. 406
ART E DOSSIER N. 406
FEBBRAIO 2023
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: I condottieri della cattedrale di Federico D. Giannini; CORTOON: Animemoria di Luca Antoccia; GRANDI MOSTRE. 1 - Nan Goldin a Stoccolma e a Berlino - A cuore aperto di Francesca Orsi ; GRANDI MOSTRE. 2 - Wayne Thiebaud a Riehen - Un mago e i suoi incantesimi di Valeria Caldelli ...