Riguardo al primo di questi precedenti rimangono fondamentali le indicazioni offerte da Roberto Longhi allorché concepì la mostra sui Pittori della realtà in Lombardia(31): un’esposizione che ha fatto storia, nella quale Ceruti chiudeva idealmente il discorso avviato a metà Cinquecento dalla ritrattistica di Moroni.
E per dimostrare come quella traiettoria appaia ancora oggi del tutto coerente è sufficiente porre accanto ai dipinti più sobri e meditativi del maestro bergamasco l’Ecclesiastico seduto realizzato centocinquant’anni più tardi da Ceruti, nel cuore della sua stagione bresciana. Quanto invece agli antefatti milanesi, è opportuno ricordare come, almeno fino al 1721, la vicenda biografica dell’artista sembri gravitare prevalentemente sul capoluogo lombardo, da considerare dunque come il luogo più probabile della sua formazione. Con tutto ciò che ne consegue anche in merito alla specializzazione del pittore nel campo del ritratto, alla quale molto poterono contribuire le sollecitazioni che venivano dal cantiere della Ca’ Granda (l’Ospedale maggiore della città) e dalla sua notevolissima quadreria con le effigi dei donatori. Un contesto nel quale primeggia, a inizio secolo, la figura ancora non sufficientemente valorizzata di Antonio Lucini, le cui intense immagini dei benefattori dell’ospedale presentano un’asciuttezza realistica che non sembra aver lasciato indifferente il giovane Ceruti: ne è prova il Ritratto di Giacomo Antonio Parravicini, eseguito da Lucini proprio nel 1721.
Il soggiorno a Venezia e a Padova nella seconda metà degli anni Trenta del Seicento diede avvio a una svolta radicale anche nella parabola di Ceruti ritrattista. Per rendersene conto è sufficiente accostare alle immagini austere realizzate a Brescia e in Val Camonica la coppia di Ritratti dei coniugi Lavelli, certamente ancorabile al 1739. Una ricchezza decorativa del tutto nuova si insinua in quei due dipinti, dei quali sorprendono le vesti schiarite e fruscianti dei personaggi e ancor di più l’ambientazione aulica, scandita dalle colonne avvolte dai tendaggi svolazzanti. Il mutamento di registro non potrebbe essere più vistoso ed è chiaro che a sollecitare questa trasformazione contribuì non solo il contatto con l’ambiente veneziano e la sua tradizione coloristica, ma anche la volontà del pittore di adeguarsi alle tendenze della ritrattistica internazionale tra Barocco e Rococò, in voga presso le corti italiane ed europee.
Che quello del pendant del 1739 non sia un episodio isolato lo suggerisce il notevole Gentiluomo con corazza, forse identificabile con Ludwig Ferdinand von Schulenburg- Oeynhausen, nipote di Matthias von der Schulenburg, il grande collezionista per il quale Ceruti aveva lavorato a Venezia(32).
Una scritta leggibile un tempo sul retro della tela ci assicura che essa venne eseguita nel 1743 a Piacenza, città allora contesa tra gli Asburgo, i Savoia e la Corona di Spagna, nella quale effettivamente l’artista soggiornò tra il 1743 e il 1746. Colto di tre quarti, in una posa di grande efficacia teatrale, l’uomo d’armi ci invita a osservare col plateale gesto del braccio la scena di battaglia che si sta consumando nel paesaggio sul fondo, evidente allusione alle tante avventure belliche da lui vissute.
Nella sua studiata regia, la tela riflette le rappresentazioni degli uomini d’arme divulgate qualche tempo prima dal più autorevole protagonista della ritrattistica di corte europea tardobarocca, il francese Hyacinthe Rigaud, del quale può essere utile rievocare il Ritratto di Luigi di Borbone della reggia di Versailles, eseguito all’aprirsi del Settecento e ugualmente scandito dal gesto con cui il protagonista ci indica il campo di battaglia alle sue spalle.