DI FRONTE ALLA SHOAH.
ARTE FRA TESTIMONIANZA ED EMPATIA
Nel parlare del bellissimo saggio di Salvatore Trapani è difficile non soggiacere alla retorica di espressioni e aggettivi come suggestivo, struggente, commovente, straziante, atroce, fra quelli che ci paiono rispecchiare l’intensità dei sentimenti che si provano quando si affronti il tema della Shoah. Cerchiamo di evitarli, ma certo non stonerebbero in questi tempi in cui l’antisemitismo è solo sopito, e qua e là pare sempre risorgere, mai annientato del tutto, in un modo che indigna la coscienza civile e la memoria storica. Di “damnatio memoriae” parla non a caso, l’autore di questo libro, che a Berlino dove vive dal 1998 si occupa di memoria storica, arti visive e Gender Equality, collabora col Memoriale berlinese per gli ebrei assassinati d’Europa e con altre istituzioni tedesche, oltre che con l’Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea di Reggio Emilia. Qui, con Margherita Fontanesi, ha fondato il progetto A.R.S. (Art Resistance Shoah). Trapani è storico dell’arte e da par suo ha raccolto qui un’approfondita documentazione, per quanto possibile, di alcuni noti artisti di formazione espressionista che furono deportati nei lager nazisti: primo fra tutti Felix Nussbaum, morto ad Auschwitz nel 1944 con la famiglia, e poi il franco-russo Boris Taslitzky, sopravvissuto agli stermini di Buchenwald e morto a Parigi nel 2005, la cui opera è una cruda testimonianza della sua, chiamiamola “vita”, nel campo di concentramento. Ci sono poi «i testimoni dei testimoni», come Trapani definisce, per esempio, la Marguerite Duras autobiografica del romanzo Il dolore (Milano 1995), o il Primo Levi di Se questo è un uomo, celeberrimo memoriale del suo internamento ad Auschwitz. Trapani rievoca anche atrocità del passato, come, fra le tante, la decapitazione del doge Marin Faliero nel 1355, e le vicende di artisti come Caravaggio, Van Gogh, Böcklin e molti altri che in qualche modo e in maniere diverse si sono dimostrati sensibili ai temi della morte, degli orrori e delle ingiustizie sociali. E ancora, gli artisti “empatici” delle più recenti generazioni che si sono dedicati alla Shoah con stili, tecniche e impressioni molteplici. Il saggio, per molti versi filosofico, è talmente denso di spunti e pertinenti evocazioni, che è impossibile da sintetizzare. Tutti, però, non solo gli storici dell’arte, dovrebbero leggerlo, e consigliarne la lettura nelle scuole. Per non dimenticare, ovvio, ed è una frase, almeno questa, che oggi non ci pare suoni retorica.