Carezze (1896) è, insieme a Ricordi e il Ritratto di Marguerite Khnopff, l’opera più nota di Khnopff. Presentata all’Esposizione universale di Bruxelles nel 1897 e alla prima Secessione di Vienna nel 1898, la tela valse all’artista il riconoscimento internazionale. Celebre fino ai nostri tempi, al punto da essere citata da Martin Scorsese nel film L’età dell’innocenza (1993). Khnopff la chiamò anche L’arte, fornendoci forse una chiave per la sua interpretazione; Edipo rappresenterebbe allora l’artista-iniziato, raffigurato con i tratti androgini e con il caduceo di Hermes – dio caro all’esoterismo –, posto di fronte all’inevitabilità della materia, incarnata da una sfinge ghepardata con le sembianze della sorella Marguerite. Non siamo davanti a un’aporia o una lotta tra spirito e materia come in Con Verhaeren ma a una fusione, dalla necessità di spirito e materia, veicolata dai due volti simbiotici. Il carattere iniziatico è rappresentato anche dalle due colonne blu sullo sfondo, segmento iconografico che sta per il tempio della massoneria, blu sono anche i piccoli fiordalisi sui capezzoli di Edipo e la sfera e le ali sul caduceo. È stato detto che le sfingi incarnano il lato sensuale della donna, e sono spesso accompagnate da una figura più spirituale, riconducibile a un santo, un eroe (come in Con Verhaeren. Un angelo), tuttavia Khnopff gioca spesso sul piano dell’ambiguità. Se in un primo momento questa polarità poteva trasparire più facilmente, con il passare del tempo l’impenetrabilità e l’indefinito diventano cifra stilistica dell’artista. Nonostante la presenza di simboli massonici nel suo lavoro, le informazioni riguardo all’adesione di Khnopff alla massoneria, alla quale aderiranno la gran parte dei simbolisti belgi, sono inesistenti.
L’attenzione portata a elementi quali il silenzio, la meditazione, il raccoglimento, la ricerca spirituale si ricollega indubbiamente alla massoneria, società discreta più che segreta, come è stato detto. È dunque ancora una volta un rimando indiretto che viene operato. Il silenzio assume una dimensione temporale oltre che spaziale. Khnopff era ossessionato dal trascorrere del tempo, le sue iconografie sono spesso atemporali, collocate in uno spazio e in un tempo indefinito e l’artista stesso, durante il suo isolamento, amava tirare le tende, sospendersi dal presente ed evocare tempi passati, la Bruges di una volta, un ricordo di una bellezza antica. Anche dal punto di vista tecnicocompositivo, spesso Khnopff adotta una sovrapposizione di tecniche diverse, di immagini, a volte quasi in un collage del quale non sono però riconoscibili le “suture”. Le sue opere sono intensamente lavorate: «Vogels non completa i suoi dipinti. Khnopff li finisce troppo», si legge in una satira del 1886(28). A volte l’immagine dipinta sembra, all’inverso, quasi scomparire sotto i nostri occhi, tanto l’artista ha lavorato per rendere evanescente il soggetto, altre volte è la cornice, spesso disegnata dall’artista stesso, che contribuisce a creare spaesamento. Quando si ha la fortuna di ammirare un’opera di Khnopff assieme alla sua cornice originale, solo allora si ha la possibilità di avvicinarsi al processo creativo dell’artista e alla sua capacità di coinvolgere lo spettatore in un’esperienza estetica e spirituale al tempo stesso.
Per chiudere, una notazione sull’aspetto fisico dell’artista, così fissato nelle parole di un contemporaneo: «E comunque, che fisionomia curiosa tanto da fermo quanto in movimento: due occhietti metallici, molto acuti, il mento leggermente sfinato, una bocca disprezzante e una chioma, oh! La bella chioma rossa e barbara formante numerosi boccoli sulla fronte e dando all’insieme una curiosa e selvaggia corona. Atteggiamento rigido, vestiti in ordine, molto semplice. Orrore di ogni trascuratezza. Uomo di chiesa pronto a diventare dandy»(29).