IDEALISMO E MISOGINIA:
IL DUALISMO FEMMINILE

Da quando la critica ha cominciato a interessarsi agli artisti simbolisti, uno dei suoi aspetti non ha smesso di infuocare i dibattiti: la rappresentazione della donna.

Espressioni quali “femme fatale” o, viceversa, “eterno femminino” hanno riempito pagine di articoli e di cataloghi di mostre, al punto che è lecito chiedersi in che modo oggi possiamo utilizzarle, coscienti che esse appartengono a un primo momento della riscoperta del simbolismo piuttosto che alla sua realtà storica. Anche nel caso di Khnopff, non si è resistito alla tentazione di commentare le sue figure come androgine, misteriose, bizzarre, a volte semplificando l’analisi critica. Più recentemente i “gender e transgender studies” invitano a rimettere in questione alcuni lavori del periodo, a volte sulla base della biografia dell’artista stesso: pensiamo a ciò che sta accadendo a Paul Gauguin. Detto ciò, affrontare lo studio di determinate opere comporta la necessità di interrogarsi sulla condizione femminile dell’epoca, un’epoca caratterizzata da una forte misoginia, conseguenza di teorie evoluzionistiche e lombrosiane, strettamente intrecciata ai timidi passi per l’emancipazione. Inoltre, va considerato il ruolo riservato alle donne: attive nel privato, come animatrici di salotti o nella letteratura, per esempio, erano escluse dalla vita pubblica, non avevano diritto di voto, né legittimità su alcunché, né accesso alla formazione superiore. Difficile, tuttavia, legare in un rapporto di causa ed effetto le scelte artistiche, sarebbe una semplificazione affermare, per esempio, che Khnopff ha rappresentato una sfinge o un ghepardo con il volto di una donna per rappresentare la sua “ferocia” e gli uomini con dei volti “effeminati’, androgini per rappresentare la loro “dolcezza” o “spiritualità”. Non esiste questa demarcazione netta nelle sue figure, ma una deliberata ambiguità, come suggerito anche nella letteratura, per esempio nel romanzo Bruges-la-morte o nei romanzi di Péladan.

Ritratto di Marguerite Khnopff (1887), particolare; Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.


Animalità (1885); New York , The Hearn Family Trust.


Il bacio (1883), frontespizio per il romanzo omonimo (Le Baiser) di Max Waller.

Nei primi lavori Khnopff sfiora il morboso, soprattutto quando illustra l’opera degli amici letterati, ne è prova Il bacio, 1883, frontespizio del romanzo omonimo di Max Waller (Le baiser), che narra l’ultimo desiderio di una giovane vergine morente sul letto d’ospedale, ossia di baciare un affascinante inserviente al quale non riesce a confessare il suo impulso, sussurrato solo al momento dell’agonia. Il Cristo crocifisso forma insieme alla morente un quadro nel quadro, mentre gli angeli musici, invece di essere situati in una dimensione astratta o metafisica, sono curiosamente rappresentati nella natura. Il corpo femminile può essere rappresentato in tutta la sua sensualità, come in un pastello del 1887 che Khnopff non esita a chiamare Animalità. Quest’opera presenta delle analogie con le descrizioni del disegno strappato dall’artista, dopo aver frantumato il vetro a colpi di bastone e che doveva fungere da frontespizio a Le vice suprême di Péladan. Il tema è lo stesso, ossia il potere seduttivo della donna, qui ridotta a semplice corpo, che induce alla morte, come segnalano le colonne rivestite dei seni della Diana efesina il cui volto è stato trasformato in teschio a riprova del potere distruttivo della tentazione. Come commentare l’opera, dopo i “gender e i transgender studies”? Sottolineando che si tratta della temperie di un’epoca, di un sentimento diffuso di insicurezza, di paura, ma anche contestualizzando l’opera, ricordando che Khnopff è un giovane artista che sta cercando la propria strada, e che, sebbene alla base ci sia una nevrosi e un desiderio frustrato, egli sta comunque utilizzando la letteratura come tramite per il riconoscimento.

Tema analogo e forse stessa modella per Pallentes radere mores (1888, Gand, Biblioteca dell’università) creato come frontespizio per Femmes honnêtes di Péladan, dove compare per la prima volta il motivo delle braccia tese che troveremo in altre opere, a volte per indicare un rifiuto, altre, all’opposto, un’aspirazione spirituale. Il titolo è ispirato a una satira di Persio nella quale si invita alla moderazione, alla condanna delle abitudini corrotte(23). Altre volte, le raffigurazioni “femminili” non sono che un pretesto, uno strumento compositivo per suggerire stati d’animo o teorie di altro tipo, che vanno oltre la rappresentazione realistica, ne sono un esempio Isolamento (trittico, 1890-1894), sul quale torneremo, e Diana, un’opera tarda, del 1913.


Chi mi libererà? (1891).

La sorella Marguerite è stata la modella preferita dell’artista, nonché l’unica per un certo lasso di tempo, fino al suo matrimonio con Charles Freson (1890) e il trasferimento a Liegi. A volte Marguerite diventa nelle mani di Khnopff un semplice ausilio, un manichino, da abbigliare e acconciare a sua volontà, tanto sono distanti le fotografie che la ritraggono dalle idealizzazioni dell’artista, tanto lontane inoltre le raffigurazioni della sua silhouette – rivestita spesso di una semplice cappa – dalla moda del tempo, tutta maniche a sbuffo, cappelli, ombrellini ecc. Marguerite diventa anche l’alternativa alla “femme fatale”, alla donna seduttrice. Sulla sua immagine Khnopff proietta le proprie inquietudini e, nel processo di idealizzazione, ella diventa alla fine un’algida icona astratta. Il suo ritratto più noto (1887), esposto per la prima volta al Salon de l’Art indépendant ad Anversa a marzo del 1887 e rimasto nello studio dell’artista fino al suo decesso, la ritrae in abito bianco-avorio, abbottonato fino al collo, con lo sguardo rivolto all’esterno, musa inquietante ante litteram. Ogni elemento nel dipinto suggerisce chiusura, la porta, i guanti, l’estraniante resezione della parte inferiore delle gambe, mentre i laccetti che costituiscono solitamente la parte posteriore dell’abito, come dimostrano anche altri dipinti dell’artista, sono qui posti anteriormente e, come cuciture, avvolgono il petto della ragazza quasi fino a soffocarla. Anche la mano sinistra che trattiene il braccio destro sembra voler bloccare un’azione, ed è forse un rimando polemico alla gestualità presente nella pittura salottiera dell’epoca. Quanto in questo dipinto è imputabile a una nevrosi dell’artista, a un suo desiderio “proibito” – come una parte della critica ritiene – e quanto è parte, invece, della ricerca artistica in sé e per sé? In effetti, tecnicamente, e non solo, Khnopff parte da Whistler – in visita in Belgio proprio nel 1887, dopo aver esposto ai XX nel 1884 e nel 1886 –, in particolare dal ritratto di Joanna Hiffernan (1843-1903), chiamato anche Sinfonia in bianco n. 1. Sulla sinistra troviamo un cerchio misterioso presente anche nel ritratto di Marie Monnom realizzato nello stesso anno (Parigi, Musée d’Orsay). Se non conosciamo il significato di questo simbolo, che appare a una cronologia alta e che potremmo discretamente interpretare come un omaggio al disco solare, forse eco di simbologie egizie, conosciamo, invece, l’identità della donna; ella è infatti la figlia del noto editore brussellese, editore anche della rivista “L’Art moderne”, nella quale l’artista era stato incensato da Verhaeren proprio nel 1887, e due anni dopo moglie dell’amico di Khnopff, il pittore Théo van Rysselberghe (1862-1926).

Ritratto di Marguerite Khnopff (1887); Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.


Giglio arum (1895 circa), foto ritoccata di Arsène Alexander di un originale non rintracciabile; Bruxelles, KBR - Bibliothèque Royale de Belgique, Cabinet des estampes.


James Abbott McNeill Whistler, Sinfonia in bianco n. 1 (1861-1863, 1872); Washington, National Gallery of Art.

Se ancora una volta Khnopff guarda a Whistler (Arrangiamento in grigio e nero n. 1, 1871, che è il ritratto della madre dell’artista americano), la composizione segue il ritratto di Marguerite: sguardo di traverso al pittore, mani guantate, porta chiusa, estremità delle gambe di nuovo espunte. Si può dunque pensare che Khnopff fosse alla ricerca di un proprio segno distintivo, che coniugasse la pittura d’interni con la ritrattistica, convertendole alle sinestesie whistleriane. Se la scelta del profilo in sé rimanda alla ritrattistica quattrocentesca, entrambi gli artisti hanno a loro modo rivisitato un’iconografia sacra: l’Annunciazione. Ritrarre il proprio committente, o il proprio famigliare, seduto di profilo si presenta effettivamente come una bizzarria. Beato Angelico e il suo affresco che accoglie i visitatori nel convento di San Marco a Firenze può essere stato un modello per Whistler, così come per Khnopff.


Georges Seurat, Una domenica pomeriggio all’isola della Grande Jatte (1884-1886); Chicago, Art Institute.

Whistler ha rivisitato anche un soggetto ben diffuso a metà secolo, la lettura femminile, ispirato dall’amico Henri Fantin-Latour (La lettura, Museu Calouste Gulbenkian, Lisbona, 1870), diventandone a sua volta un modello (La lettura, Musée des Beaux-Arts di Lione, 1877). Il dipinto di Whistler rifugge ogni aneddoto, l’anziana madre è raffigurata alla stregua di un’icona, la tavolozza di colori ridotta al nero e al grigio dà il titolo al dipinto, ma è anche un richiamo all’arte del bianco e nero, ossia all’attività grafica, alla quale allude l’opera incorniciata sullo sfondo. Icona contemporanea quanto l’opera del “primitivo” Angelico. Non sappiamo se Khnopff avesse intenzioni simili, certo è che per il suo primo ritratto ufficiale sceglie di assegnare quasi lo stesso spazio alla modella e al proprio atelier. Come in Arrangiamento in grigio e nero compaiono una tenda, una sedia e, al posto della stampa, il cerchio “magico”. Anche in questo caso, il pittore vuole lasciare un’impronta, come mettendo in secondo piano l’identità della persona ritratta. Non è importante assegnare elementi distintivi alla ragazza, quanto presentarla non più icona carica di significati esoterici, ma alla stregua di un oggetto, oggetto tra i tanti nel suo studio.

Anche per Ricordi (Tennis su prato, 1889), una delle opere più note di Khnopff e anche una delle prime realizzate a pastello, tecnica d’elezione dei simbolisti, ha posato Marguerite. Realizzata per l’Esposizione universale di Parigi del 1889, l’opera, di dimensioni considerevoli (127 x 200 cm), valse a Khnopff il secondo premio. Tantissimi studi, disegni e foto ritoccate ritraenti Marguerite costituiscono la gestazione dell’opera, assente, tuttavia, uno studio della figura in bianco e sull’insieme delle sette figure. Sette, numero magico, cabalistico per eccellenza, ciò fa pensare che l’opera dovesse avere anche un significato esoterico, che ci sfugge. Interpretata dalla critica come una risposta alla Grande Jatte di Seurat, esposta due anni prima a Bruxelles, sicuramente ne condivide la stessa ieraticità, l’assenza di sentimento e di vitalità. Ma più che una risposta, l’opera può leggersi come una riflessione sul tema del tempo, un tentativo di immortalare istanti uno dietro l’altro, e rendere l’evanescenza, l’indeterminatezza del tempo con la leggerezza del pastello. Le figure sono ciascuna chiusa in sé, quasi dei manichini, e una tensione si riverbera nel paesaggio, dall’orizzonte altissimo, opposto a quello tipico degli ambienti romantici, mentre la delicata luce crepuscolare introduce l’autunno, stagione malinconica.


Una serie di opere evoca un altro soggetto caro all’artista: la donna idealizzata. In questi casi ella non appare nelle sembianze di un angelo ma come un volto a sé stante, ipnotico e distante, a volte come una maschera (Maschera con tendaggio nero, 1892). Queste opere sono state eseguite a matita, spesso a sanguigna, tecnica che avvicina Khnopff al disegno rinascimentale italiano, modello per eccellenza per la rappresentazione idealizzata della donna. Il trittico Isolamento incarna l’aporia, il dualismo tra “femme fatale” e donna ideale. L’opera è stata elaborata in momenti differenti, tra il 1890 e il 1894. Se i differenti dipinti sono stati esposti in momenti diversi, forse anche all’esposizione d’arte ideografica di KVMRIS nel 1894, il trittico fu esposto sicuramente intero a Monaco nel 1901. Acrasia, Solitudine e Britomarti sono i relativi titoli dei tre dipinti. Acrasia e Britomarti, realizzati anche in un’altra versione in grisaille, derivano da un poema epico di Edmund Spencer, The Faerie Queen (1590), celebrante la regina Elisabetta I, grazie al racconto delle imprese di sette cavalieri che incarnano altrettante virtù. È interessante che Khnopff abbia scelto Britomarti, una donna guerriera, per raffigurare la virtù della castità: la solida armatura, come l’abito abbottonato di Marguerite, non è altro che il simbolo della forza della donna e della sua impenetrabilità. Diversamente vanno le cose per Acrasia che, ispirandosi a modelli antichi – Botticelli innanzitutto –, incarna più semplicemente la donna seduttrice, dai capelli fulvi secondo l’iconografia preraffaellita. Al centro del trittico, un altro personaggio meno chiaramente definibile, più androgino, inaccessibile: Solitudine, quasi una versione “black” del ritratto di Marguerite. Una spada nella mano destra, un fazzoletto forse nell’altra, è l’unico a guardare all’esterno; altri elementi circolari, una bolla contenente l’immagine del dipinto Chiudo la porta su me stessa – tra l’altro contemporaneo a Solitudine – un’altra ad avvolgere il fiore, un’emerocallide appassita, anch’essa presente nell’altro dipinto, e altri piccoli cerchi a ricordare questa figura simbolo di perfezione e spiritualità, come indica anche un lembo di azzurro intenso, simbolo di Cristo… tutto fa pensare che siamo di fronte a un’altra allegoria, della giustizia o della temperanza. Secondo alcuni studiosi, Solitudine sarebbe la figura più spirituale tra le tre, simbolo di elevazione, quasi un personaggio iniziato a qualche mistero. Indubbiamente, siamo di fronte a un’opera piena di riferimenti sofisticati, che hanno indotto alcuni studiosi anche all’ipotesi di una teoria dei temperamenti. Non è un caso che un paio di anni dopo averlo ultimato, in The Studio, Khnopff ebbe a scrivere: «Ogni pittore ha adottato il colore e la maniera di disegnare appartenenti al suo temperamento e attraverso questi mezzi ha assegnato al proprio lavoro un fascino supremo di cui le scuole non possono dirci nulla – la poesia di forma e colore»(24). Questo trittico ci introduce direttamente a un altro tema maggiore nella produzione di Khnopff, ossia l’esoterismo.


Solitudine (1890-1891).

Isolamento, trittico composto da: Acrasia. La regina delle fate (1897); Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique; Solitudine (1890-1891); Britomarti. La regina delle fate (1892); Bruxelles, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique.


Maschera con tendaggio nero (1892).

KHNOPFF
KHNOPFF
Laura Fanti
Fernand Khnopff (Dendermonde 1858 - Bruxelles 1921) doveva diventare avvocato,per tradizione familiare. Per fortuna frequentò le compagnie che i genitoriconsideravano sbagliate e divenne pittore. Si legò soprattutto all’ambientesimbolista, anche letterario. Perseguiva le vie che portavano al mistero, all’inspiegabile,in netta opposizione al clima razionalista e positivista dominantenelle élite intellettuali europee del suo tempo. Strade percorribili solo dall’arte,chiave privilegiata della porta che conduce in un altrove venato di misticismo.Ciononostante, le sue opere si presentano modernissime nella composizionee nel taglio “fotografico”, incardinate su una assoluta padronanza del disegno.Protagoniste frequenti, nelle sue opere, donne fatali e ambigue, insidiose, incantatricisfingi moderne. Molte mostre, a pandemia accantonata, celebrano ora ilcentenario della morte dell’artista.