Il senso nascosto

manifesto politico o inno
alla fertilità?

di Marco Bussagli

È tempo di carnevale. La festa è caratterizzata dal mascheramento, dal cambio d’identità, ma anche dall’eccesso e dall’inversione dei ruoli e delle convenzioni sociali per cui il padrone si sottomette al servo, il re si fa garzone, il folle s’impalca a maestro e il saggio si abbandona alle intemperanze. Questo periodo dell’anno è dedicato a esorcizzare la morte per la ricerca della felicità e dell’abbondanza prima di affrontare la quaresima che segue subito dopo. Come si sa, il termine “carnevale” deriva dalla fusione delle parole latine “carnem” e “vale” che, alla lettera, potrebbe tradursi come “carne, addio!”, proprio in vista del periodo di digiuno quaresimale. Alla base di queste tradizioni – com’è noto – ci sono i Saturnalia, un ciclo di festività dell’antica Roma svolte in quella fase dell’anno nella quale si sperava di ritornare alla mitica Età dell’oro quando regnava Saturno(1). Per celebrare degnamente questa festa, ci si abbandonava a pratiche orgiastiche che apparentavano quei riti a quelli delle pratiche dionisiache della Grecia antica(2). Lo scopo era rendere evidente la ricerca della fertilità e dell’abbondanza. L’uomo, infatti, non di rado ha cercato di esorcizzare lo spettro della fame e della povertà ricorrendo a comportamenti ritualizzati, ma pure a immagini particolari che prendevano a riferimento simboli molto precisi. Non è un caso che, in questo senso, fossero centrali figure come quella di Priapo che intreccia il simbolismo dell’abbondanza con il carattere comico che pure ritorna nel periodo carnevalesco(3). A questo doppio aspetto pare riferirsi un affresco scoperto nel corso dei restauri che, per il Giubileo del 2000, furono compiuti per conservare e valorizzare le mura monumentali della città di Massa Marittima (Grosseto)(4). Non lontano dal Palazzo dell’arcivescovado – in un invaso protetto da un edificio con crociere a sesto acuto – si trova l’antica fonte dell’Abbondanza. Sulla parete di fondo della prima campata, sotto una scialbatura, i restauri hanno recuperato un singolare affresco collocato proprio in prossimità della vasca. La gran parte della scena è occupata da un gigantesco albero sotto la cui chioma aquile svolazzanti riempiono il cielo, mentre diverse figurette femminili si muovono e una pare scuotere, con un bastone, le fronde dell’albero per farne cadere i frutti. Sono proprio questi la particolarità di questa immensa pianta visto che, a ben guardare, si tratta di falli, di genitali maschili, posti fra le foglie. Recentemente, Vinicio Serino, in un bel libro dedicato ai misteri della Siena medievale e non solo, riassume le posizioni degli studiosi in merito al significato ricoperto dal singolare affresco di Massa Marittima(5). Varrà però la pena di ricordare che la presenza di un albero che ha per frutti genitali maschili ricorre anche nel Roman de la Rose e in particolare nelle miniature dei codici francesi databili al 1370, dove addirittura delle suore si preoccupano di cogliere questi particolari frutti. Uno di questi codici, che contiene anche citazioni al limite del pornografico, sembra risentire del pensiero di Tommaso d’Aquino che giustifica il piacere della coppia con la volontà di Dio che invita così gli uomini a moltiplicarsi(6). Nelle fonti cittadine la presenza di genitali maschili non è una novità, visto che li troviamo già nella fonte Bufalona, sempre a Massa Marittima, oppure in quella di Pescaia a Siena. Il significato è quello dell’abbondanza, come testimoniano i capitelli con tanto di organi sessuali maschili e femminili scolpiti e stilizzati. Per Alessandro Bagnoli, della Soprintendenza, che ha scoperto l’affresco sotto uno spesso strato di calce, l’opera è contemporanea della fonte, realizzata nel 1265. Al contrario, George Ferzoco, dell’Università di Leichester, pensa che il grande dipinto sia databile fra il 1267 ed il 1274 quando presero il potere i guelfi e che l’opera vada letta più come un manifesto politico che come un inno alla fertilità. Lo studioso inglese, infatti, nota una serie di particolari, a cominciare dal fatto che l’aquila posta sulla testa della donna vestita di rosso ha la stilizzazione tipica di quella imperiale e ghibellina. Non solo, egli nota che dalla gonna della dama spunta un fallo che pare sodomizzarla. Accanto, un’altra figura femminile, vestita di giallo, secondo Ferzoco, sta appendendo i falli ai rami dell’albero, come fanno le streghe del Malleus malefcarum, un manuale di stregoneria del XV secolo. Più in là due donne si litigano un fallo riposto in una gerla. Dall’altra parte, un gruppo di fanciulle che paiono accarezzarsi lascivamente. Così, l’affresco sarebbe un monito – lanciato dai guelfi al potere – contro un eventuale governo ghibellino, responsabile di sterilità (i falli appesi all’albero) e disordine (le donne che litigano)(7). Serino non prende posizione in questa complessa faccenda(8). Tuttavia, se si tiene conto che il Malleus malefcarum è del 1487 e, quindi, non può essere la fonte del nostro affresco, si affaccia un’altra possibilità(9). Non mi pare che sia stato notato che la donna con l’aquila sulla testa è più grossa delle altre, come quella che le sta accanto con la veste gialla. Le altre, incluse quelle che litigano, hanno invece la vita sottile e una linea invidiabile. È evidente, perciò, che le prime sono in stato interessante. A ridurle così è stata l’aquila imperiale, assimilata, anche per affinità linguistiche di tipo ornitologico, ai falli dell’albero, cui peraltro si rivolge la donna in giallo. Diversamente, quando l’aquila non si posa sulle donne, come accade nel resto della scena, la fertilità può essere solo un’utopia. Quando vinse la fazione dei guelfi, non si pensò di scialbare il muro, ma si preferì usare l’arma dell’ironia e aggiungere il fallo che sporge dalla veste della donna abbigliata di rosso, stravolgendo il senso della scena. Quando poi i ghibellini riconquistarono il potere, visto lo scempio, coprirono l’affresco. Questa lettura, sebbene ipotetica (come le altre), è coerente con la data proposta da Bagnoli, quando Massa Marittima era ghibellina e fu costruita la fonte(10).

ART E DOSSIER N. 307
ART E DOSSIER N. 307
FEBBRAIO 2014
In questo numero: SOUVENIR D'ITALIE L'Italia nell'arte dell'Ottocento, dalla Milano dei Navigli all'Agro Romano, al sole del sud: il Bel Paese prima del benessere e del disastro. IN MOSTRA: Anni Settanta, Molinari Pradelli, Vermeer.Direttore: Philippe Daverio