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La chiesa di San Donato di Ripacandida (Potenza)

silenzio,
PARLA il creato

Una chiesa lucana rivestita di un ricco e complesso ciclo di affreschi raffiguranti episodi del Nuovo e del Vecchio Testamento; è la “Bibbia di Ripacandida”, una gemma tardogotica in pieno Cinquecento.

Miriam Raffaella Gaudio

La chiesa di San Donato di Ripacandida, in provincia di Potenza, sorge agli inizi del Cinquecento su una struttura preesistente del XII secolo(1).

L’interno, a navata unica con coro quadrangolare, è diviso in tre campate con volte a crociera a sesto acuto. L’altare barocco in marmi policromi è sormontato da un arco ogivale affrescato.

L’edificio, di fondazione francescana, è interamente ricoperto da affreschi: nel XVI secolo Antonello Palumbo da Chiaramonte sul Sinni nella prima campata rappresenta scene dal Nuovo Testamento; la seconda e la terza campata sono invece dedicate al Vecchio Testamento e affrescate da Nicola da Novi, secondo alcuni studiosi originario di Nova Siri (sullo Ionio) e secondo altri di Novi Velia, in territorio campano(2). Gli autori del ciclo dei santi sui pilastri sono Pietro di Giampietro da Brienza, attivo nel Settecento, e lo stesso Nicola da Novi(3).


In una scena Dio, racchiuso in una mandorla guidata dagli angeli, crea il sole e la luna, dai volti umani, inseriti in un cerchio


Molti affreschi sono stati fortemente compromessi da modifiche all’impianto della chiesa, da eventi sismici e da alcune ridipinture nel corso dell’Ottocento, come quelli raffiguranti il Paradiso, l’Inferno e la Pietà. I lavori di restauro, iniziati nel 1981 con il fissaggio e con la pulitura della pellicola pittorica e terminati nel 1983, sono stati accompagnati da uno studio - promosso dalla Soprintendenza per i Beni artistici e storici della Basilicata - per il risanamento e la difesa della chiesa dall’umidità. 


Di notevole rilevanza pittorica è l’Estasi di san Francesco, affresco realizzato da Nicola da Novi nel terzo decennio del Cinquecento. Per l’iconografa si attinge alla biografa del santo, scritta da Bonaventura da Bagnoregio. Il Cristo è rappresentato con ali da serafino luminose, dalle cui ferite trasmette le stimmate al santo, come nell’opera di Gentile da Fabriano presso la Fondazione Magnani Rocca e di Pietro Lorenzetti nella basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. 


Nella seconda e terza campata, da sinistra verso destra, vi è la Genesi: Dio separa la luce dalle tenebre e Dio crea la terra. Quest’ultimo affresco si rifà alla famosa immagine del Codex Vindobonensis 2554, in cui Dio è raffigurato come un architetto, mentre traccia una linea con il compasso per creare la terra. In una scena Dio, racchiuso in una mandorla guidata dagli angeli, crea il sole e la luna, dai volti umani, inseriti in un cerchio perfetto suddiviso in dieci sfere corrispondenti ai sette pianeti, al firmamento, al Primo mobile e all’Empireo.

Creazione del Sole e della Luna (1506 circa).


Dio crea gli uccelli e i pesci e Dio rimprovera Caino (1506 circa).

Affascinano la delicatezza espressiva dei personaggi, l’armonia tra le figure di Eva e di Dio: i loro polpastrelli si sforano leggermente


Specularmente all’affresco precedente, Dio crea gli uccelli e i pesci, affresco che rivela un’estrema accuratezza nella resa naturalistica della fauna; la cicogna rappresenta la devozione filiale e il pappagallo simboleggia l’Annunciazione(4).

Particolare attenzione merita la Creazione di Eva. Si ripropone qui un’iconografa simile a quella del bassorilievo di Wiligelmo nel duomo di Modena e alla formella marmorea del 1138 realizzata dal Maestro Nicolò a Verona per la chiesa di San Zeno. Adamo dorme supino sul fianco sinistro, mentre Dio crea Eva dalla costola destra. Affascinano la delicatezza espressiva dei personaggi, l’armonia tra le figure di Eva e di Dio: i loro polpastrelli si sforano leggermente, affinché ci sia il contatto tra l’umano e il divino. Dio è inserito in una mandorla, che per l’esegesi cristiana è simbolo della santità, la sua ruvidezza racchiude infatti un’anima dolce e nutriente; la linea che definisce il contorno della mandorla continua lungo il profilo del corpo di Eva, unendo indissolubilmente umano e divino. Dietro la mandorla, in qualità di spettatori-attori, le personificazioni del bene e del male. Interessante è il panneggio che avvolge Dio, decorato con due motivi ornamentali tipici della produzione tessile del Cinquecento: la palmetta, simbolo di pace, e un segno che ricorda la Croce.

Tra gli affreschi più interessanti dal punto di vista iconologico vi è la narrazione del Peccato originale. I due protagonisti si trovano in una torre, luogo simbolo della comunicazione tra l’uomo e la divinità(5). Alla base del prospetto merlato, sgorgano i quattro fumi benedetti del Paradiso(6), che simboleggiano gli evangelisti e le quattro virtù cardinali.

Gli alberi della vita, del bene e del male, tripartiscono la scena, isolando ogni personaggio nell’atto di compiere le proprie azioni. Eva offre il frutto del peccato ad Adamo, il quale rivolge i palmi delle mani in avanti per indicare il suo consenso(7). Dall’albero del male si affaccia il serpente con una testa femminile, così come appare in dipinti di Bosch o Van der Goes, raffigurazione che si incrocia con la tradizione giudaico-cristiana che equipara la mesopotamica Lilith-prima Eva al serpente simbolo del Male e con la misoginia della cristianità medievale(8).

Cinque affreschi nella seconda campata rappresentano la storia del Diluvio universale come messaggio salvifico: dalla costruzione dell’Arca alla distruzione per opera delle acque e alla salvezza di Noè.

La simbologia medievale è ovunque: l’arca è uno scrigno di legno dal tetto spiovente, come descritto nella Genesi; i cani rappresentano le guide spirituali dei fedeli; il leone dal volto umano osserva il visitatore, e la sua coda ricorda il bastone pastorale, a indicare la fede e la resurrezione; i cervi rappresentano l’albero della vita e l’unicorno il Cristo; gli uccelli sul tetto dell’arca sono il simbolo paleocristiano dell’anima e della libertà dai vincoli terreni; tra essi la civetta, simbolo di saggezza.

Nella seconda campata l’angelo appare ad Abramo per chiedergli il sacrificio del figlio Isacco, in una scena notevole per rilevanza figurativa, gamma cromatica e impianto scenografico. Isacco genufesso china la testa dinanzi al padre, tenendo le braccia incrociate al petto, in segno di sottomissione alla volontà di Dio. L’angelo interrompe il sacrificio. Due ignari spettatori assistono alla scena, uno di essi è un musico che suona uno strumento a fato, raffigurato seduto con le gambe incrociate come nei salteri medievali. L’asino rappresenta l’umile accettazione di Abramo del volere divino.

La narrazione del Vecchio Testamento termina con le storie di Giacobbe.

Nella prima campata, per il ciclo del Nuovo Testamento, sei affreschi sintetizzano i momenti più importanti della vita di Cristo, dalla Natività alla Strage degli innocenti, dalla presentazione al tempio alle nozze di Cana, concludendosi con la raffigurazione delle sibille e delle virtù sui pilastri.

Nel ciclo si riscontrano similitudini con gli affreschi della chiesa di Santa Maria di Anglona a Tursi (Matera). La trattazione del tema veterotestamentario, con una particolare predilezione per la Genesi, fa ipotizzare che gli artisti di Ripacandida conoscessero questa chiesa e ne fosserno particolarmente influenzati. Entrambi i cicli pittorici mostrano evidenti analogie sia iconografiche che compositive con quello del duomo di Monreale. La rigidità dei gesti e la fissità degli sguardi non possono che avere radici siculo-greche. Il naturalismo figurativo, dai contorni tracciati con molta evidenza, si arricchisce con un ventaglio cromatico e decorativo simile a un ricamo cosmatesco. Particolari analogie si riscontrano tra la creazione dell’universo di Ripacandida e quello di Monreale. Entrambe le opere sono una “lectio” continua del Vecchio e Nuovo Testamento, un libro aperto per i fedeli. Non a caso tutte le fonti sulla chiesa di San Donato citano gli affreschi come la “Bibbia di Ripacandida”. Il mondo sacro tardogotico si carica qui di un’atmosfera fabiesca e fortemente simbolica.



Creazione di Eva (1506 circa).


Peccato originale (1506 circa).


Ingresso degli animali nell’Arca (1506 circa).

Giacobbe si riconcilia con Esaù (1506 circa).

Chiesa di San Donato

Ripacandida (Potenza), viale Margherita 268
orario 7.30-12, 15-17
www.sandonatoripacandida.net

ART E DOSSIER N. 307
ART E DOSSIER N. 307
FEBBRAIO 2014
In questo numero: SOUVENIR D'ITALIE L'Italia nell'arte dell'Ottocento, dalla Milano dei Navigli all'Agro Romano, al sole del sud: il Bel Paese prima del benessere e del disastro. IN MOSTRA: Anni Settanta, Molinari Pradelli, Vermeer.Direttore: Philippe Daverio