Grandi mostre. 2
La collezione Molinari Pradelli a Firenze

il fiuto
del maestro

Nella sua vita di viaggi e concerti, il direttore d’orchestra Francesco Molinari Pradelli riservò uno spazio importante alle arti figurative. intrecciò frequentazioni con mercanti e storici dell’arte, e mise insieme, con gusto e competenza, una straordinaria raccolta. un centinaio dei suoi pezzi più belli è ora in una mostra agli Uffizi.

Angelo Mazza

Francesco Molinari Pradelli non è solo uno dei più grandi direttori d’orchestra del Novecento, ma anche uno dei più intelligenti collezionisti di pittura barocca italiana. Si può dire che, sceso dal podio dei maggiori teatri europei e americani, il suo primo pensiero andasse alle pinacoteche, alle collezioni private, alle gallerie degli antiquari, ai laboratori di restauro e, più in generale, all’allargato mercato dell’arte che alla fine degli anni Cinquanta e negli anni Sessanta del Novecento offriva occasioni oggi impensabili per un collezionista in grado di cogliere la qualità dei dipinti con fulmineo colpo d’occhio e di ravvisare, in anticipo sui tempi, l’importanza di artisti che la critica d’arte non aveva ancora recuperato o adeguatamente apprezzato.

La presenza assidua di Francesco Molinari Pradelli nel teatro San Carlo di Napoli per la direzione di concerti e di opere liriche trova il corrispettivo nella passione, coltivata durante l’intero arco dell’esistenza, per la pittura napoletana d’età barocca, documentata dai dipinti di Luca Giordano, di Agostino Beltrano, di Micco Spadaro, di Lorenzo de Caro e di altri artisti entrati precocemente nella sua collezione, e soprattutto dai capolavori della natura morta italiana quali le tele di Luca Forte, di Giuseppe Recco e di Giuseppe Ruoppolo.

Giuseppe Ruoppolo, Agrumi e secchia di rame (1660-1670 circa);


Cristoforo Munari, Natura morta con cristalli, carte da gioco, biscotti e anguria (1700-1710 circa).

Il nucleo strepitoso delle nature morte ha reso universalmente nota la collezione


Allo stesso modo le stagioni teatrali al Metropolitan Opera di New York e i concerti a San Francisco furono costellati dall’acquisto di dipinti rintracciati con fine intuito in collezioni private e nelle gallerie degli antiquari, in primo luogo presso il noto Frederick Mont che dal 1948 riforniva di dipinti antichi europei, e in particolare italiani, tanto i musei quanto le collezioni private americane, in primo luogo la Kress Collection. Mont aveva abbandonato precipitosamente Vienna nel 1938, al tempo dell’annessione dell’Austria alla Germania nazista, e, lasciata la galleria Sanct Lucas, si era rifugiato negli Stati Uniti dove si era legato a Wilhelm Suida e alla figlia Bertina Suida-Manning la quale andava incrementando con dipinti italiani del Sei-Settecento, scelti insieme al marito Robert Manning, la collezione ereditata dal padre nel 1959.

Presso Frederick Mont e in casa Suida-Manning il maestro Molinari Pradelli incontrava Federico Zeri, da subito estimatore della sua collezione che in quegli anni prendeva forma grazie al suo felice intuito e a un’indubbia competenza nella ricerca di opere sconosciute e nella riscoperta di artisti dimenticati. In una lettera del 21 ottobre 1968 Zeri si complimentava con il maestro per l’acquisto del Ratto di Europa del veronese Alessandro Turchi effettuato proprio nella galleria di Mont ed era felice di comunicargli che la tela, un tempo appartenuta a Lucien Bonaparte, fratello di Napoleone, era tra le poche riprodotte con trascrizione incisoria nel manuale di Giovanni Rosini edito nel 1852. Affrontava allora lo studio del dipinto il giovane Erich Schleier, all’Università di Pittsburgh come “Mellon postdoctoral fellow”, che incontrava il maestro nel caffè dell’Empire Hotel, di fronte al Lincoln Center.

L’epistolario di casa Molinari Pradelli svela un intreccio sorprendente di relazioni con gli storici dell’arte, agevolato dai frequenti viaggi internazionali cui il maestro era costretto dal successo della sua professione. Roberto Longhi, Giuliano Briganti, Mina Gregori, Ferdinando Bologna, Luigi Salerno, e inoltre Marcel Roethlisberger, Robert Enggass, Dwight C. Miller e numerosi altri illustri storici dell’arte figurano tra i suoi corrispondenti; ma si ingannerebbe chi pensasse che la collezione si sia formata grazie ai suggerimenti e alle segnalazioni degli storici dell’arte. Non era consuetudine di Francesco Molinari Pradelli servirsi di consiglieri al momento di acquistare un dipinto, né avvalersi di expertise commerciali. Uomo determinato, era capace di decisioni coraggiose e di scelte drastiche, pur consapevole degli inganni che il mercato d’arte tende ai dilettanti, e non solo, tanto da ribaltare gli orientamenti della collezione.


Era capace di decisioni coraggiose e di scelte drastiche, pur consapevole degli inganni che il mercato d’arte tende ai dilettanti, e non solo



Negli anni Cinquanta diede vita a una raccolta cospicua di dipinti dell’Ottocento italiano, ma alla fine di quel decennio si convertì alla pittura barocca liberandosi in breve di svariate decine di dipinti. Mina Gregori che aveva avuto modo di incontrarlo, a New York, nell’inverno del 1969-1970, aveva ricavato la netta sensazione che per la maggior parte degli acquisti il maestro avesse scelto da solo, in piena autonomia, «dovendolo fare alla prima», racconta. E sono ormai leggendari i suoi incontri con i conoscitori della pittura bolognese nel vecchio Istituto di storia dell’arte dell’Università, dove era solito recarsi portando con sé le fotografe e in qualche caso tenendo sotto braccio il dipinto di piccolo formato rintracciato in capo al mondo, per sollecitare i pareri di Stefano Bottari, di Francesco Arcangeli e dei giovani Carlo Volpe e Renato Roli, avendo in realtà per proprio conto riconosciuto la qualità, l’importanza storico-artistica e in più occasioni anche la paternità dell’opera assicurata alla collezione, come ha ricordato lo storico dell’arte Eugenio Riccomini, testimone oculare e neofita promettente di quel memorabile cenacolo bolognese, all’ombra di Roberto Longhi.

Nell’evocare il duplice aspetto della personalità di Francesco Molinari Pradelli quale direttore d’orchestra di fama internazionale e sensibile collezionista di pitture dei secoli barocchi, la mostra che si inaugura a Firenze nella Galleria degli Uffizi l’11 febbraio mette in fila cento dipinti della sua collezione, tra i duecento circa che la compongono, tuttora di proprietà degli eredi del maestro scomparso nel 1996; alterna dipinti e immagini fotografiche dei successi musicali del celebre direttore, con approfondimento dei rapporti trentennali con il Teatro comunale di Firenze e con il Maggio musicale fiorentino, nuclei di opere rappresentative delle diverse scuole artistiche del Sei-Settecento (da quella lombarda a quella veneta, da quella emiliana a quella toscana, da quella romana alla napoletana) e filmati di memorabili esecuzioni nei principali teatri, immagini della residenza del maestro nella pianura bolognese che ospita la collezione e, accanto, capolavori consacrati dalla critica quali il Ratto d’Europa di Guido Cagnacci, la Maddalena in estasi di Marcantonio Franceschini e la Sacra Famiglia di Sebastiano Ricci, dipinto di superba esecuzione pittorica cui andavano le predilezioni di Molinari Pradelli che l’aveva acquisito a caro prezzo presso l’amico Frederick Mont. Ma su tutti domina la sala con il nucleo strepitoso delle nature morte che ha reso universalmente nota la collezione già al tempo della storica mostra sulla natura morta italiana realizzata nel 1964 a Napoli e quindi a Zurigo e Rotterdam e che meritò al suo artefice il riconoscimento di antesignano dei moderni studi su quel genere di pittura.


Guido Cagnacci, Il ratto d’Europa (1650 circa).


Marcantonio Franceschini, Maddalena in estasi (1680).


Sebastiano Ricci, Sacra Famiglia con sant'Anna (1710 circa).

IN MOSTRA A FIRENZE
La mostra Le stanze delle muse. Dipinti barocchi dalla collezione di Francesco Molinari Pradelli - a cura di Angelo Mazza - è aperta agli Uffizi dall’11 febbraio all’11 maggio 2014 (orario 8,15-18,50, chiuso lunedì, 1° maggio; telefono 055-294883 www.polomuseale.frenze.it; catalogo Giunti). In contemporanea, nel capoluogo toscano, hanno appena aperto o stanno per aprire altre due esposizioni. Alla Galleria palatina di palazzo Pitti dal 28 gennaio al 27 aprile è aperta la mostra Una volta nella vita. Tesori dagli archivi e dalle biblioteche di Firenze (a cura di Marco Ferri; palazzo Pitti, orario 8,15-18,50, chiuso lunedì; telefono 055-294883 www. polomuseale.firenze.it; catalogo Sillabe). Disegni, documenti, lettere, manoscritti da Raffaello e Michelangelo a Savonarola, Galileo, Foscolo, Pratolini: un vero tesoro da trentatre archivi cittadini. Ri-conoscere Michelangelo è il titolo della mostra allestita alla Galleria dell’Accademia - in collaborazione con l’Accademia delle arti del disegno e Fratelli Alinari - per onorare i quattrocentocinquanta anni dalla morte del grande artista (a cura di Monica Maffoli e Silvestra Bietoletti; dal 18 febbraio al 18 maggio 2014; orario 8,15-18,50, chiuso lunedì, 1° maggio; telefono 055-294883 www. polomuseale.firenze.it; catalogo Giunti). L’idea di fondo è quella di ricostruire le vicende della diffusione dell’interesse per Michelangelo nel corso dell’Ottocento da parte di pittori, scultori e fotografi. Punto di partenza le immagini scattate dai principali laboratori fotografici del tempo, veicolo fondamentale nella costruzione del mito Michelangelo. È da lì che parte il lavoro di confronto tra i protagonisti delle arti del periodo e il maestro del Rinascimento da un lato, e dall’altro il lavoro di studio da parte degli storici dell’arte. Una rete di relazioni che giunge fino all’età contemporanea, con la fotografa (Pagano, Finn, Amendola, Newton, Basilico, Struth...) a suggerire nuove possibilità interpretative, e gli artisti (Rosso, Paladino, Matisse, Mollino...) a proporre opere in qualche modo “nutrite” di Michelangelo.

ART E DOSSIER N. 307
ART E DOSSIER N. 307
FEBBRAIO 2014
In questo numero: SOUVENIR D'ITALIE L'Italia nell'arte dell'Ottocento, dalla Milano dei Navigli all'Agro Romano, al sole del sud: il Bel Paese prima del benessere e del disastro. IN MOSTRA: Anni Settanta, Molinari Pradelli, Vermeer.Direttore: Philippe Daverio