Studi e riscoperte. 5
La formazione di Vermeer

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LOCI

Maurizia Tazartes

In occasione della mostra bolognese sull’artista e sul Secolo d’oro dell’arte olandese, proviamo a fare luce su un aspetto poco conosciuto della sua vita. Qual è il percorso giovanile di Vermeer, al di là delle molte improbabili ipotesi fatte in passato? Quasi certamente una formazione locale nella sua Delft, una scuola domestica, potremmo dire.

La giovinezza di Johannes Vermeer (1632-1675) è misteriosa. Dove avviene la sua formazione artistica? Nessuno lo sa. Nonostante gli studi documentari e stilistici che da un secolo e mezzo imperversano, nessuna traccia è rimasta delle sue prime esperienze. Abraham Bredius tra il 1885 e il 1916 e John Michael Montias negli anni Settanta-Novanta del Novecento hanno setacciato gli archivi olandesi alla ricerca di notizie, ma niente è emerso sui primi vent’anni di vita dell’artista. Battezzato il 31 ottobre 1632 nella Nieuwekerk di Delft, Vermeer ricompare il 5 aprile 1653 di fronte a un notaio per le pubblicazioni relative al suo matrimonio con la ventiduenne Catharina Bolnes, appartenente a una facoltosa famiglia di Gouda.

Ventun’anni di silenzio. Sappiamo invece molte cose della sua famiglia. Che il nonno materno era un falsario e la nonna paterna una truffatrice, che il padre Reynier Janszoon Vos era un abile tessitore di caffa e che con la moglie Digna Baltens, madre del pittore, aveva gestito a Delft dal 1630 al 1641 una locanda, De Vliegende Vos (La volpe volante), dove aveva anche un vivace commercio di quadri. Nel 1641 ne aveva acquistata un’altra sulla piazza del mercato, la Mechelen, lasciando poi l’attività – alla sua morte, nel 1652 – al figlio pittore. 


Conosciamo ogni dettaglio delle sue complesse vicende famigliari e sulla vita a Delft, cittadina di ventitremila abitanti già allora famosa per la birra, le ceramiche, le stoffe e i dipinti. Conosciamo i passaggi di artisti nelle due locande di Reynier e le opere della sua collezione, i pittori presenti in città e gli iscritti alla gilda cittadina di San Luca. E ancora le astiose vicende della suocera di Vermeer, Maria Thins, della cui casa – grazie ai documenti e ai dipinti di Vermeer – conosciamo ogni angolo, casa in cui abiteranno anche il pittore, la moglie e gli undici figli.

Insomma, sappiamo molto del contesto familiare e cittadino dell’artista, ma di lui niente. Pochi documenti ne segnano le tappe di esistenza e lavoro dal 1653 al 1675, quando lascia questa vita. Sporadiche presenze in atti notarili, l’iscrizione il 29 luglio 1653 come «maestro pittore» alla gilda di San Luca, di cui viene eletto decano nel 1662, una testimonianza del 10 gennaio 1654 che lo indica ancora come «maestro pittore», il saldo il 24 luglio 1656 della quota per l’iscrizione alla gilda, nascita e morte di figli, qualche firma sui dipinti, alcune visite illustri nel suo studio. Sono noti inoltre i nomi di sette od otto committenti.

Sono state fatte diverse ipotesi sull’apprendistato. Nessuna convincente. Negli anni Novanta Montias e Arthur K. Wheelock Jr. ipotizzano che il pittore abbia frequentato a Utrecht la bottega di Abraham Bloemaert (1566-1651), esponente di un manierismo in realtà distante dal linguaggio dell’artista. Questa ipotesi, ribadita da Wheelock in occasione della mostra romana su Vermeer del 2012, vedrebbe gli inizi di Jan come pittore di storia. E poggerebbe su tre dipinti la cui attribuzione, tra Otto e Novecento, alla fase giovanile di Jan appare discutibile e improbabile, come ha dimostrato Erik Larsen nella monografia del 1996.

Si tratta di tre opere omogenee tra loro, di una stessa mano, ma diversa da quella di Vermeer, come ammette lo stesso Wheelock. Le tre tele di notevoli dimensioni con Cristo in casa di Marta e Maria (Edimburgo, National Gallery of Scotland), Diana e le ninfe (L’Aja, Mauritshuis) e Santa Prassede (Princeton, Barbara Piasecka Johnson Collection Foundation) per formato, tecnica, tema e stile appaiono difficilmente inseribili nel suo percorso, obbligando a forzature per giustificare la successiva svolta stilistica, evidente nelle opere certe.

Il maggiore formato, le tematiche religiose e mitologiche sono infatti inusuali nella pittura di Vermeer. Non risulta che l’artista abbia dipinto in gioventù quadri religiosi o di storia. L’unica eccezione, la tela con «Una visita al sepolcro di van der Meer - 20 fiorini», citata nel giugno del 1657 come appartenente al mercante d’arte Johannes de Renialme. Non si sa però a quale “van der Meer” appartenga, visto che allora di pittori con quel nome ce n’erano diversi (perlomeno sei), attivi ad Haarlem, Utrecht e in altre città.

Anche le firme e le date dei tre dipinti appaiono dubbie e possono riferirsi a uno dei vari Vermeer. Il carattere italianizzante della Santa Prassede - perfetta copia, con l’aggiunta di un crocifisso in mano alla santa, dell’omonimo soggetto del pittore italiano Felice Ficherelli, databile intorno al 1645, oggi nella collezione Fergnani di Ferrara - è una conferma dell’estrema improbabilità che si tratti di un’opera di Vermeer.

Il giovane pittore, dove potrebbe aver copiato un quadro fiorentino? Non nei Paesi Bassi, dove negli inventari delle varie collezioni studiate da Montias non sembra esserci il quadro di Ficherelli o una sua copia. Dovremmo pensare che Vermeer prima del 1652 sia andato in Italia a copiare il quadro di Ficherelli, un artista nato a San Gimignano, attivo dal 1605 al 1660 a Firenze. Ma non si ha alcuna notizia in questo senso. E se ci fosse, sarebbe veramente curiosa. Si sa invece che il noto Johan van der Meer di Utrecht (1630-1688) nel 1655 aveva fatto un viaggio in Italia. L’autore della Santa Prassede potrebbe essere lui o qualsiasi altro artista. 


A rendere più difficile l’appartenenza a Vermeer dei tre dipinti è inoltre la mancanza di citazioni antiche delle tre opere, che non compaiono nell’importante inventario dell’asta Dissius tenutasi ad Amsterdam del 16 maggio 1696 dopo la morte del pittore, nel quale sono menzionati molti dei quadri oggi superstiti. Diana e le ninfe spunta intorno al 1866 alla galleria Dirksen dell’Aja, catalogato poco dopo come «Nicolas Maes», poi come «Johan van der Meer di Utrecht» e dal 1901 come «Johannes Vermeer» per la vicinanza con il Cristo in casa di Marta e Maria; anche questa tela, insicura, fu ritrovata sul mercato a fine Ottocento. La Santa Prassede fu invece scoperta e acquistata nel 1943 in una piccola sala d’aste di New York da una coppia di profughi belgi, per giungere dopo alcuni passaggi nella sede attuale. Ma non si sa niente della sua storia precedente.

Neppure lo stile dei dipinti con la loro stesura pittorica spezzata e sbavata è in linea con quello dell’artista, costruito con velature ferme, luci soffuse e immobili. Il catalogo del pittore presenta interni borghesi limpidi, con tappeti sui tavoli e pavimenti quadrettati. Ragazze con bicchieri di vino e suonatrici, conversazioni galanti, donne che si ingioiellano allo specchio e cameriere con brocche di latte, un paio di paesaggi. Soggetti che allora andavano di moda fra la borghesia, molto richiesti sul mercato olandese.


Sono state fatte diverse ipotesi sull’apprendistato, nessuna convincente


Attribuito a Jan Vermeer, Santa Prassede (1655), Princeton (New Jersey), Barbara Piasecka Johnson Collection Foundation.


Attribuito a Jan Vermeer, Diana e le ninfe (1653-1656 circa), L’Aja, Mauritshuis.

Un primo esempio è la Giovane donna assopita, conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, un olio su tela firmato a sinistra in alto «I V Meer», uno dei ventuno dipinti certi del pittore, venduto all’asta del 1696, con il numero 8, per il prezzo di 62 fiorini. L’elenco dei quadri di questa vendita rappresenta il corpus più antico noto del pittore, cui si sono aggiunte poche altre opere, ricordate da memorie e documenti. La documentazione sei-settecentesca è molto importante nel caso di Vermeer, considerato il gran numero di falsi circolanti tra Otto e Novecento. La prospettiva ancora un po’ incerta e alcuni pentimenti portano a suggerire per l’opera una data intorno al 1656, vicino a La mezzana della Gemäldegalerie di Dresda, firmata e datata «I V Meer. 1656».

Il genere è quello delle opere successive adottato da alcuni pittori contemporanei olandesi come Nicolaes Maes, autore di La serva pigra della National Gallery di Londra del 1655, un dipinto in cui compare una figura molto simile, ribaltata.

Nel 1653 Vermeer è «maestro pittore». Per diventarlo, secondo gli ordinamenti della gilda dei pittori e dei ceramisti del 1615 e del 1654, ci volevano sei anni, o poco meno nel caso di eccezionale bravura. Quindi Vermeer avrebbe dovuto essere apprendista verso il 1647-1649, tra i quindici e i diciassette anni. Non avrebbe avuto certo il tempo di andare a copiare una Santa Prassede in Italia. Inoltre i genitori ultraquarantenni si erano impegnati, alla nascita del figlio, a fargli frequentare una scuola che lo preparasse a un «mestiere adeguato». È logico pensare che Vermeer abbia affrontato lo studio della pittura nella stessa Delft, dove il padre, iscritto alla gilda cittadina, aveva un buon commercio di quadri.

Il primo maestro può essere stato proprio il padre, ottimo disegnatore di tessuti. Basta guardare la Giovane donna assopita o la Ragazza che legge una lettera davanti alla finestra, oggi nella Gemäldegalerie di Dresda, per capire che la consistenza e lo scintillio di stoffe e tappeti nascevano da una lunga abitudine a osservare i tessuti. Reynier era poi in contatto con vari pittori come Leonard Bramer, Willem van Aelst, che il ragazzo ha certamente conosciuto.

Un vero e proprio maestro di pittura però Vermeer deve averlo avuto. Spunta un nome interessante dalle ricerche di Montias: Gerard ter Borch (Zwolle 1617 - Deventer 1681), il pittore più noto e apprezzato di scene di genere e di interni nell’alta società. Due giorni dopo il suo matrimonio, il 22 aprile 1653, Vermeer e Ter Borch si trovano insieme a Delft a firmare un atto di fideiussione presso il notaio Willem de Langue. La presenza di Ter Borch a Delft, sino allora non nota, e in compagnia di Vermeer, potrebbe essere la spia di un rapporto precedente. Il trentaseienne Ter Borch, indicato dal notaio come «Monsieur Gerrit ter Borch», al culmine della sua carriera, dipingeva interni borghesi come quelli che a metà anni Cinquanta dipinge Vermeer: sottili rese psicologiche e stessi temi (lettere e incontri d’amore, lezioni di musica, scene di cucina, ritratti). 

Quindici anni maggiore di Jan, Ter Borch, uomo di notevole cultura artistica, dopo gli studi ad Amsterdam, Haarlem, Utrecht e viaggi in Europa, nel 1644 era tornato in patria, stabilendosi nel 1648 ad Amsterdam, nel 1652-1653 all’Aja - distante solo qualche ora di viaggio da Delft - dove è presente nell’aprile 1653 e dove forse rimane sino a quando si trasferisce nel 1654 a Deventer. È possibile dunque che il pittore abbia avuto nel suo atelier, all’Aja o a Delft, Vermeer.

Insieme a Ter Borch altri artisti hanno avuto una notevole influenza sugli inizi di Vermeer, come Carel Fabritius, brillante discepolo di Rembrandt, documentato a Delft nel 1650, ma presente forse prima. O come gli specialisti di architetture dipinte Gerard Houckgeest e Emanuel de Witte, attivi in città. Certamente molti scambi sono avvenuti con Pieter de Hooch, a Delft nel 1652 e iscritto nella gilda dei pittori nel 1655. E con altri pittori dello stesso genere come Jan Steen, autore di episodi di vita quotidiana ambientati in esterni cittadini limpidi e luminosi. O come il ricordato Nicolaes Maes, in quegli anni Cinquanta del Seicento in contatto con Vermeer nella stessa Delft.

Ma Jan guarda anche fuori città, in altre parti del paese, a Leida e ad Amsterdam dove si distinguevano per raffinatezza e alta committenza Gabriel Metsu, autore di scene dai preziosi giochi di luce, a volte ispirati a opere dello stesso Vermeer, e Gerrit Dou, allievo di Rembrandt, bravissimo anche lui nel realizzare interni borghesi.

Insomma Delft e dintorni tra il 1650 e il 1660 avevano tutto ciò che a un artista olandese del genere di Vermeer poteva interessare. Per spiegare la sua grande arte e i suoi inizi non è dunque necessario ricorrere né alla pittura di storia né all’Italia, ma basta guardare in quel piccolo pezzo di Olanda e agli specialisti della pittura di interni.


Delft e dintorni tra il 1650 e il 1660 avevano tutto ciò che a un artista olandese del genere di Vermeer poteva interessare

IN MOSTRA 

Arriva a Bologna, dopo un lungo tour mondiale (Giappone e Stati Uniti), una della mostre più visitate del 2012-2013: La ragazza con l’orecchino di perla. Il mito della Golden Age da Vermeer a Rembrandt. Capolavori dal Mauritshuis. Il lungo titolo contiene le informazioni principali: che l’esposizione ruota intorno a un feticcio assoluto degli ultimi decenni, un capolavoro di Vermeer come la Ragazza con l’orecchino di perla; che si tratta di una rassegna di opere del Seicento olandese - una quarantina -, da Frans Hals a Ter Borch, da Jan Steen a Hobbema, Van Ruysdael, Van Goyen, Van Honthorst e Rembrandt, presente con quattro dipinti; che i quadri vengono dalle collezioni del Mauritshuis dell’Aja. Di Vermeer è in mostra anche Diana e le ninfe, opera che al maestro di Delft è solo attribuita.

Un doveroso cenno per quella Ragazza che, grazie a un romanzo e a un film, ha ormai affiancato in notorietà la Gioconda e l’Urlo di Munch. Nella finzione filmico-romanzesca si immagina che a posare sia stata una domestica del pittore; si doveva trattare, piuttosto, di un “tronie”: i “tronies” non sono veri e propri ritratti ma generiche raffigurazioni di figure maschili o femminili per un mercato vasto e abbastanza a buon prezzo. Questo fu dipinto nel 1665-1667; fu comprato a un’asta all’Aja nel 1881 per la cifra incredibilmente bassa di due fiorini, e da quell’anno è esposto nel museo che lo possiede tuttora. Carisbo e Genus Bononiae ospitano la mostra - e un’appendice di omaggi a Vermeer da parte di artisti contemporanei - nella sede di palazzo Fava, dall’8 febbraio al 25 maggio; la curatela è di Marco Goldin, Emilie E. S. Gordenker, Quentin Buvelot, Ariane van Suchtelen e Lea van der Vinde. Orario: da lunedì a giovedì 9-20, venerdì e domenica 9-21, sabato 9-22; prenotazioni 0422 429999; biglietto@lineadombra.it.


Jan Vermeer, La ragazza dall’orecchino di perla (1665 circa), L’Aja, Mauritshuis.

ART E DOSSIER N. 307
ART E DOSSIER N. 307
FEBBRAIO 2014
In questo numero: SOUVENIR D'ITALIE L'Italia nell'arte dell'Ottocento, dalla Milano dei Navigli all'Agro Romano, al sole del sud: il Bel Paese prima del benessere e del disastro. IN MOSTRA: Anni Settanta, Molinari Pradelli, Vermeer.Direttore: Philippe Daverio