La pagina nera

ciò che ancora va trovato
di quanto i nazi hanno rubato

di Fabio Isman

Una storia senza fine l’enorme quantità di opere d’arte sottratte dai nazisti e solo in parte, a oggi, recuperate. Una piccola goccia in un mare ancora pieno di tesori nascosti, rivendicati in molti paesi dagli eredi dei legittimi proprietari e oggetto di cause ultradecennali.

La nipote di Otto Dix, Nana, ha spiegato che tre dei dipinti del nonno, ritrovati nell’abitazione di Cornelius Gurlitt a Monaco di Baviera(*), non li conosceva neppure lei, anche se nel 1969, quando il nonno è morto, aveva sette anni. Non aveva mai visto l’Autoritratto del 1919, la Donna nel palco e la Domatrice. E in quella casa a nemmeno un chilometro da dove Nana Ten Dix vive, in quella collezione venuta dal nulla (anzi, no: da un terribile passato), sono state identificate anche opere di Marc Chagall e Henri Matisse ignote a ogni catalogo, di cui non si era mai saputo nulla. Quanta arte i nazisti abbiano portato via, non si sa. Né forse lo sapremo mai con esattezza. I “monument men”, i soldati americani incaricati di dar loro la caccia alla fine della seconda guerra mondiale, sono tornati alla ribalta grazie a un film di George Clooney appena uscito nelle sale; uno dei pochi che ancora vive è Harry Ettlinger, ottantasette anni, figlio di una coppia di ebrei tedeschi scappati negli Stati Uniti per sfuggire ai nazisti. Dice: «Eravamo troppo pochi, circa trecentocinquanta, e siamo stati richiamati negli Stati Uniti troppo presto, nel 1951, per poter compiere fino in fondo il nostro lavoro». Si ricorda che il loro vicecomandante, James Morimer detto “Jim”, già tra i fondatori dei Cloisters, la sezione medievale del Metropolitan Museum of Art di New York, calcolava in «almeno settecentocinquantamila pezzi quelli di cui non era stato localizzato il nascondiglio, o di cui non erano stati individuati provenienza e appartenenza». Per Ettlinger, le opere d’arte di cui i nazisti si erano impadroniti potrebbero essere perfino cinque milioni. Chissà quanti altri Gurlitt, più o meno grandi, esistono ancora in giro per il mondo.

E chissà quante opere, la cui storia è ancora tutta da scoprire. Recentemente, un giornale tedesco ha ricostruito le vicende della Scena allegorica di Chagall, trovata in possesso di Gurlitt: apparteneva ai Blumstein, una famiglia ebrea tedesca di Riga. Nel 1941, la Gestapo confisca la loro casa, con le opere d’arte e vari preziosi. Ma Savery Blumstein riesce a fuggire negli Stati Uniti. Nel 1957 chiede un indennizzo per quel dipinto (che, secondo alcuni, varrebbe oltre un milione di euro), e per altri; ventitre anni dopo, nel 1981, ottiene appena 25mila marchi dal governo tedesco. Ancora oggi, non passa settimana senza qualche rivendicazione di eredi, in svariati paesi, legata a dipinti ritrovati, in collezioni pubbliche o private, ma sottratti dai nazisti. In un certo senso Hitler, o la sua ombra, sono ancora tra noi; questi quadri incarnano gli ultimi “prigionieri di guerra” del confitto da lui scatenato. Cupido si lamenta con Venere, un capolavoro di Lucas Cranach il Vecchio comprato nel 1963 dalla National Gallery di Londra, si è scoperto che era nell’appartamento del Führer a Monaco di Baviera, mai fotografato; a Washington, tra i milleduecento libri della biblioteca di Adolf Hitler, una studiosa, Birgit Schwartz, ha ritrovato un album con i dipinti che vi erano contenuti; l’opera di Cranach, però, non si sa a chi appartenesse, se a un ebreo o no: quindi ne è esclusa qualsiasi restituzione.

Restituzione invece rifiutata, proclamandosi in buona fede, da Rudolf Leopold, morto a ottantacinque anni nel 2010, il quale, dal 1950, aveva collezionato cinquemila opere e aperto il suo museo a Vienna; ma con almeno dodici di quelle opere sottratte agli ebrei; e nel 2013, proprio per problemi legati alle opere portate via dai nazisti, si è dimesso chi lo aveva sostituito, il direttore Tobias Natter. Il museo, famoso per i suoi Gustav Klimt ed Egon Schiele, per un quadro di quest’ultimo, Case sul mare del 1914, ha pagato 5 milioni di dollari nel 2011, riconoscendone agli eredi di Jenny Steiner (prima proprietaria dell’opera) la titolarità di un terzo dopo dodici anni di una lite legale. Jenny possedeva una fabbrica di seta; il quadro le era stato sottratto nel 1938, venduto nel 1941, e acquistato da Leopold negli anni Cinquanta. Dopo sessant’anni, è invece tornato alla Gemäldegalerie di Berlino il Ritratto di donna con cane di Alessandro Allori, un allievo di Agnolo di Cosimo, il Bronzino. Eterna Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I Medici, ed era sparito dai depositi durante la guerra. Una storia curiosa: per mezzo secolo, l’ha avuto un corrispondente da Berlino della Bbc, Charles Wheleer; l’aveva ricevuto come regalo di nozze da un amico di Francoforte, che spiegava di averlo comprato da un soldato russo. Ma il vertice della singolarità spetta a due album, centodieci foto di dipinti francesi di proprietà di ebrei essi pure francesi, ritrovati anni fa in una soffitta americana. Negli archivi di Washington ce ne sono altri trentanove simili, esibiti al processo di Norimberga come prove: se li faceva predisporre Hitler, per scegliere cosa prelevare; e ne esisterebbero altri quaranta. Nel 1945, un soldato americano ne aveva prelevati due dal Berghof, il “nido d’aquila” sulle Alpi bavaresi, la dimora preferita dal Führer, dove sono stati tutti recuperati dopo la sua morte.


Hitler e Göring davanti alla Falconiera (1880 circa) di Hans Makart, ora alla Neue Pinakothek di Monaco.

Qualche anno fa, a Londra, Christie’s ha ritirato un dipinto di Camille Pissarro, Il quai Malaquais, del 1903, poco prima della morte del pittore. Gisela Fischer, di famiglia ebrea, che nel 2009 aveva ottantasette anni e viveva a Zurigo, era partita da Vienna bambina, nel 1938, due giorni dopo l’Anschluss; la casa dei suoi era stata subito saccheggiata dalla Gestapo. Tra i dipinti rubati c’era appunto il capolavoro di Pissarro, acquistato nel 1907 dal padre Samuel, il fondatore della società di famiglia. Gisela si era anche rivolta all’Art Loss Register, ma invano: per la ricerca le chiedevano troppo. Ed è oggetto di un’indagine negli Stati Uniti un altro dipinto dello stesso autore, Rue Saint-Honoré, pomeriggio, effetto pioggia, ora al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, acquistato nel 1976 dal barone Hans-Heinrich. Era dell’uomo d’affari Julius Cassirer, un ebreo tedesco, poi dei suoi eredi, che se ne vanno dalla Germania nel 1939, obbligati a lasciare l’opera in cambio di 360 dollari. La causa è iniziata da vent’anni, e il dipinto è oggi valutato altrettanti milioni di dollari.

In un certo senso, Hitler, o la sua ombra, sono ancora tra noi; questi quadri incarnano gli ultimi “prigionieri di guerra” del confitto da lui scatenato

Dal Belvedere di Vienna sono partiti, non troppi anni fa, cinque Klimt prelevati dai nazisti, tra cui il famoso Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, ormai a New York; ma gli eredi di un mercante ebreo tedesco non riescono a riottenere due Cranach (i ritratti di Adamo ed Eva) dal Norton Simon Museum di Pasadena, California: giudicata prescritta la loro richiesta. Altri discendenti combattono con altri musei, per un acquerello di Paul Klee e per un Otto Dix. In Grecia è stato invece recuperato un carnet di disegni di Vincent van Gogh: un partigiano ellenico l’aveva sottratto a un treno nazista.

Ma questa non è l’unica buona notizia: un’altra, per concludere. Un Ritratto di giovane donna con cappello nero era nella collezione di Hermann Göring, che l’aveva comperato nel 1940. Alla fine della guerra, l’opera è restituita agli eredi, all’Aja; era ritenuta di scuola rembrandtiana; nel 1953, diventa di un collezionista svizzero, che ne ricava 9 milioni di dollari a un’asta nel 2007; soltanto dopo è stata riconosciuta come autentica dal Rembrandt Research Project, e per molti ritrae la sorella dell’artista; con Cranach, di cui possedeva cinquanta dipinti, il maestro olandese era tra gli autori che Göring preferiva.

Belle notizie che, però, non bastano a confortare; il presidente del Congresso mondiale ebraico, Ronald Lauder, afferma: «Oltre venti milioni di opere d’arte sono state sottratte durante la guerra, e parecchie di loro sono ancora appese in svariati musei tedeschi ». Bernd Neumann, il ministro tedesco per la Cultura, spiega che «12.200 opere confiscate dai nazisti sono state restituite dal 1998»: un po’ pochine, non è vero?

ART E DOSSIER N. 307
ART E DOSSIER N. 307
FEBBRAIO 2014
In questo numero: SOUVENIR D'ITALIE L'Italia nell'arte dell'Ottocento, dalla Milano dei Navigli all'Agro Romano, al sole del sud: il Bel Paese prima del benessere e del disastro. IN MOSTRA: Anni Settanta, Molinari Pradelli, Vermeer.Direttore: Philippe Daverio