Un artista la cui personale interpretazione del fortunysmo si rivela particolarmente affine a quella di Sargent è il romano Antonio Mancini
In quest’ottica va osservato uno dei suoi primi capolavori, A Capriote. La modella ritratta, Rosina Ferrara, era stata presentata a Sargent dal pittore Frank Hyde, presso il cui studio, situato nel monastero abbandonato di Santa Teresa, l’artista lavorò durante tutto il periodo caprese. A Capriote e gli altri ritratti sargentiani di Rosina ricordano da vicino le “pastorelle” di Francesco Paolo Michetti, il quale amava ambientare i propri lavori in scenari verdi come gli uliveti, resi con effetti di sfavillante pittoricismo. Quando A Capriote fu esposto alla seconda mostra della Society of American Artists di New York nel 1879, oltre all’assonanza con la produzione coeva di Michetti, la critica aveva prontamente notato il riferimento alla scuola di Fortuny.
Un artista la cui personale interpretazione del fortunysmo si rivela particolarmente affine a quella di Sargent è il romano Antonio Mancini. I due, con ogni probabilità, si conobbero proprio a Napoli nel 1878, e da quel momento intrattennero una lunga e fertile amicizia. Mancini era appena rientrato da Parigi, dove si era fatto apprezzare per i suoi toccanti ritratti di “scugnizzi” e saltimbanchi, in cui al naturalismo reminiscente della bella pittura del passato univa una sensibilità sorprendentemente moderna.
Anche Sargent subì il fascino di quel vivace universo popolare immortalato da Mancini in pittura e, negli stessi anni, da Vincenzo Gemito in scultura: ciò è evidente in alcuni dei suoi più riusciti ritratti di fanciulli eseguiti tra Napoli e Capri, tra cui Testa di una ragazza di Capri, accostabile a capolavori della formazione manciniana come Ritorno da Piedigrotta, del quale condivide tanto la penetrazione psicologica, quanto la virtuosa resa pittorica dello scintillio dei monili; o ancora, i dipinti raffiguranti ragazzi napoletani, simili ai ritratti dei più vispi scugnizzi di Mancini.
Altre opere del 1878 rivelano una sentita vicinanza di Sargent alla poetica del Fortuny di Portici: tra queste, di particolare rilievo è Bambini napoletani al mare, vero e proprio manifesto di pittura mediterraneista in cui è ravvisabile un esplicito riferimento al Nudo sulla spiaggia di Portici del maestro catalano(2). Terminato nello studio di Parigi nel 1879, probabilmente subito dopo il soggiorno a Capri, Sargent lo inviò poi alla mostra della National Academy of Design di New York, dove registrò un favorevole riscontro di critica. Era la prima opera che esponeva in quella prestigiosa sede, nonché la terza che fino ad allora aveva presentato negli Stati Uniti.
Proseguendo in questa ricerca, Sargent realizzò a Capri un’altra piccola serie di quadri che rientrano a pieno titolo nel filone dell’«impero del bianco», come Ragazze di Capri su un tetto del Westervelt Warner Museum di Tuscaloosa (Alabama) e Ricordi di Capri, malinconico ritratto di bambine a metà tra Michetti e Mancini, o ancora l’abbacinante Scalinata a Capri, il cui originale taglio compositivo risente dello studio delle stampe giapponesi.
«Per molto tempo, sedette ipnotizzato dinanzi ai quadri [di Fortuny] come in un assorto riesame, ed analizzò ogni dettaglio con amorevole cura, ma il suo unico commento fu un sospiro di omaggio e rispetto e le parole quasi sussurrate: “che genio!”»
Anche i dipinti eseguiti tra il 1879 e il 1880 in Spagna e in Marocco riprendono direttamente l’iconografa di Fortuny; echi di fortunysmo si riscontrano poi nella produzione dei soggiorni a Venezia tra il 1880 e il 1882, periodo in cui la fase fortunysta di Sargent si esaurì.
Alle porte del XX secolo, il fenomeno Fortuny era ormai considerato una moda passata, destinata inesorabilmente a precipitare nel dimenticatoio. Sargent, però, non smise mai di ammirare l’arte del catalano, come testimonia il gallerista Martin Birnbaum. Questi, nell’annotare il momento in cui il pittore osservava alcune opere della collezione Stewart da proporre nel 1924 al Museum of Fine Arts di Boston, rivelava: «Per molto tempo, sedette ipnotizzato dinanzi ai quadri [di Fortuny] come in un assorto riesame, ed analizzò ogni dettaglio con amorevole cura, ma il suo unico commento fu un sospiro di omaggio e rispetto e le parole quasi sussurrate: “che genio!”»(3).