XX secolo
Il design di Olivetti

questione
di stile

Michele Brescia

Dietro il marchio Olivetti si cela una straordinaria convergenza tra arte e tecnologia, un binomio che, negli anni Cinquanta, fece guadagnare a Ivrea, culla dell’azienda leader nella produzione di macchine da scrivere, l’appellativo di “piccola Atene d’Italia”: un unicum nella storia dell’industria italiana reso possibile da un “utopista positivo” come Adriano Olivetti.

Il recente ritorno in libreria delle Edizioni di Comunità, fondate nel 1946; una fiction Rai, andata in onda lo scorso autunno; l’inserimento, risalente al maggio del 2012, di Ivrea (Torino) nella lista propositiva italiana dei siti candidati a diventare patrimonio Unesco: sono soltanto alcune delle iniziative che, negli ultimi mesi, hanno indotto gli storici a riaprire il dibattito attorno alla figura e al pensiero di Adriano Olivetti, un capitano d’industria atipico, eterodosso rispetto al verbo capitalista, e, ancor prima, un intellettuale estremamente sensibile alle arti applicate e all’architettura, intese come discipline chiamate innanzitutto a favorire l’elevazione spirituale dell’uomo.

Proprio nell’incontro tra scienza e umanesimo queste discipline affondano le radici in quello che è stato definito lo “stile Olivetti”, un’espressione il cui impiego fu pienamente istituzionalizzato da un’importante mostra tenutasi presso il Museum für Gestaltung Zürich tra l’aprile e il maggio del 1961, intitolata appunto “Stile Olivetti” Geschichte und Formen einer italienischen Industrie. Un’esposizione, quella in terra elvetica, che costituiva il secondo capitolo di una celebrazione della qualità estetica, intrinseca ai prodotti realizzati negli stabilimenti di Ivrea, inaugurata, già nel 1952, con la mostra Olivetti. Design in Industry allestita al MoMA - Museum of Modern Art di New York, lo stesso museo statunitense che ancora oggi conserva quella Lettera 22, leggendaria macchina da scrivere portatile, fore all’occhiello del design targato Olivetti, progettata nel 1950 da Marcello Nizzoli, autore anche di un altro celebre modello olivettiano di macchina da scrivere, la Lexikon 80, e di una macchina da calcolo, la Divisumma 24.

Occorre precisare che lo “stile Olivetti”, contraddistinto da un rifiuto, di derivazione loosiana, dell’ornamento fine a se stesso, e dalla ricerca di una funzionale filocalia(1) di gropiusiana memoria, era ravvisabile non soltanto nella forma e nelle funzioni tecniche dei prodotti, ma anche nei codici di comunicazione e nei linguaggi pubblicitari, cifre essenziali dell’immagine pubblica dell’azienda.


Fu lo stesso Adriano, infatti, ancor prima di diventare amministratore delegato, a creare, già agli inizi degli anni Trenta, un uffcio destinato esclusivamente alla defnizione dell’immagine coordinata e della grafca pubblicitaria del marchio Olivetti. Inizialmente guidato da Renato Zveteremich, quindi da Leonardo Sinisgalli, Ignazio Weiss e Riccardo Musatti, l’Uffcio sviluppo e pubblicità con sede a Milano, capitale culturale del paese in quel periodo, si avvalse della collaborazione, non solo di alcuni protagonisti di quel movimento di riforma tecnica ed estetica dell’arte della stampa, ispirato dalla rivista “Campo Grafco”, ma anche dello studio Boggeri, all’epoca fondamentale palestra professionale per fgure di artisti progettisti come Bruno Munari, Luigi Veronesi, Remo Muratore o Erberto Carboni, grazie al quale fu possibile stabilire un rapporto professionale assiduo con un ex allievo del Bauhaus come Xanti Schawinsky, autore di celebri manifesti, di opuscoli caratterizzati da felici soluzioni tipografche e di una delle prime versioni del logo Olivetti.


Furono costruiti stabilimenti che ancora oggi costituiscono «il simbolo della rivincita della classe operaia rinchiusa per secoli in posti oscuri ed insalubri»

la facciata dello stabilimento Olivetti di Ivrea (Torino), in una fotografa del 1955-1960.


Giovanni Pintori, manifesto pubblicitario per la macchina da calcolo Elettrosumma 22 (1958).

Un ruolo nevralgico per gli studi promossi all’interno dell’ufficio, fortemente voluto da Adriano Olivetti, fu giocato da Giovanni Pintori, la figura che maggiormente contribuì nel dopoguerra a fissare una linea estetica della pubblicità Olivetti, entrato in azienda già nella seconda metà degli anni Trenta. Di origine sarda, in un primo tempo allievo di Marcello Nizzoli all’Istituto superiore di industrie artistiche (ISIA) di Monza, dove insegnavano anche Edoardo Persico e Giuseppe Pagano, Pintori aveva già acquisito funzioni direttive nell’ambito dell’Ufficio pubblicità, quando nel 1948, entrò a far parte della squadra di collaboratori anche Egidio Bonfante, l’artista di origine trevigiana che ridisegnò tra il 1953 e il 1954 la veste grafica della rivista “Comunità”, punta di diamante della cospicua attività editoriale finanziata da Adriano Olivetti(2), megafono del pensiero politico ed economico dell’ingegnere e luogo d’incontro tra filosofi, storici dell’arte e critici letterari vicini alle politiche culturali promosse dall’azienda.

Accanto alla grafica e al design, l’architettura è stato l’altro ambito disciplinare nel quale si è squadernata la ricerca del bello funzionale che ha contraddistinto anche la visione olivettiana di fabbrica, percepita non solo come centro di produzione di oggetti, redditi e profitti, ma anche di comportamenti, di una cultura che voleva essere etica ed estetica a un tempo, di riscatto, di emancipazione, di formazione e di aggregazione civile per gli operai che vi lavoravano(3)


Proprio ponendo al centro della progettazione architettonica le condizioni di lavoro della manovalanza, furono costruiti stabilimenti che ancora oggi costituiscono «il simbolo della rivincita della classe operaia rinchiusa per secoli in posti oscuri ed insalubri»(4). È il caso delle Officine Olivetti di Ivrea con quella facciata di vetro lunga centinaia di metri, capolavoro del razionalismo italiano, degli architetti Figini e Pollini, cooptati da Adriano dopo averne ammirato il Progetto per una Villa-Studio per un artista, presentato alla V Triennale milanese del 1933.

Stesso discorso valga anche per lo stabilimento di Pozzuoli (Napoli), inaugurato nell’aprile del 1955, progettato dall’architetto modernista napoletano Luigi Cosenza: un edificio con impianto a croce, aperto, trasparente, immerso nel territorio che, grazie anche alle vivaci tinte pastello scelte da Nizzoli per gli interni e al complesso di giardini, affidato alla cura di Pietro Porcinai, dialoga in modo sublime con il paesaggio mediterraneo circostante. In occasione dell’apertura di questo nuovo stabilimento, nelle cui vicinanze furono costruiti una serie di alloggi per i dipendenti, l’ingegnere Olivetti ingaggiò Cartier-Bresson per commissionargli un reportage, dedicato alla vita degli operai, che documentasse il passaggio da un’economia ittica, arcaica, a una moderna industriale.

Un nome di richiamo internazionale, quello del fotografo francese, che va ad aggiungersi, nella rosa delle personalità di rilievo in campo artistico contattate da Olivetti, a quello di Le Corbusier, il maestro del Movimento moderno, chiamato, alla fine degli anni Cinquanta, dall’ingegnere torinese per il progetto di un nuovo centro di ricerca Olivetti per il settore dell’elettronica(5). Un progetto che non troverà mai realizzazione, abbandonato come la stessa divisione elettronica dell’azienda, venduta nel 1964, a quattro anni dalla morte di Adriano Olivetti, alla General Electric: una sorte ingiusta toccata a due iniziative che, probabilmente, avevano come unico difetto quello di essere troppo moderne per quei tempi.


Un ruolo nevralgico per gli studi promossi all’interno dell’ufficio fu giocato da Giovanni Pintori, la figura che maggiormente contribuì a fissare una linea estetica della pubblicità Olivetti



Giovanni Pintori, manifesto pubblicitario per le macchine da calcolo Olivetti (1949).

ART E DOSSIER N. 307
ART E DOSSIER N. 307
FEBBRAIO 2014
In questo numero: SOUVENIR D'ITALIE L'Italia nell'arte dell'Ottocento, dalla Milano dei Navigli all'Agro Romano, al sole del sud: il Bel Paese prima del benessere e del disastro. IN MOSTRA: Anni Settanta, Molinari Pradelli, Vermeer.Direttore: Philippe Daverio