Il recente ritorno in libreria delle Edizioni di Comunità, fondate nel 1946; una fiction Rai, andata in onda lo scorso autunno; l’inserimento, risalente al maggio del 2012, di Ivrea (Torino) nella lista propositiva italiana dei siti candidati a diventare patrimonio Unesco: sono soltanto alcune delle iniziative che, negli ultimi mesi, hanno indotto gli storici a riaprire il dibattito attorno alla figura e al pensiero di Adriano Olivetti, un capitano d’industria atipico, eterodosso rispetto al verbo capitalista, e, ancor prima, un intellettuale estremamente sensibile alle arti applicate e all’architettura, intese come discipline chiamate innanzitutto a favorire l’elevazione spirituale dell’uomo.
Proprio nell’incontro tra scienza e umanesimo queste discipline affondano le radici in quello che è stato definito lo “stile Olivetti”, un’espressione il cui impiego fu pienamente istituzionalizzato da un’importante mostra tenutasi presso il Museum für Gestaltung Zürich tra l’aprile e il maggio del 1961, intitolata appunto “Stile Olivetti” Geschichte und Formen einer italienischen Industrie. Un’esposizione, quella in terra elvetica, che costituiva il secondo capitolo di una celebrazione della qualità estetica, intrinseca ai prodotti realizzati negli stabilimenti di Ivrea, inaugurata, già nel 1952, con la mostra Olivetti. Design in Industry allestita al MoMA - Museum of Modern Art di New York, lo stesso museo statunitense che ancora oggi conserva quella Lettera 22, leggendaria macchina da scrivere portatile, fore all’occhiello del design targato Olivetti, progettata nel 1950 da Marcello Nizzoli, autore anche di un altro celebre modello olivettiano di macchina da scrivere, la Lexikon 80, e di una macchina da calcolo, la Divisumma 24.
Occorre precisare che lo “stile Olivetti”, contraddistinto da un rifiuto, di derivazione loosiana, dell’ornamento fine a se stesso, e dalla ricerca di una funzionale filocalia(1) di gropiusiana memoria, era ravvisabile non soltanto nella forma e nelle funzioni tecniche dei prodotti, ma anche nei codici di comunicazione e nei linguaggi pubblicitari, cifre essenziali dell’immagine pubblica dell’azienda.
Fu lo stesso Adriano, infatti, ancor prima di diventare amministratore delegato, a creare, già agli inizi degli anni Trenta, un uffcio destinato esclusivamente alla defnizione dell’immagine coordinata e della grafca pubblicitaria del marchio Olivetti. Inizialmente guidato da Renato Zveteremich, quindi da Leonardo Sinisgalli, Ignazio Weiss e Riccardo Musatti, l’Uffcio sviluppo e pubblicità con sede a Milano, capitale culturale del paese in quel periodo, si avvalse della collaborazione, non solo di alcuni protagonisti di quel movimento di riforma tecnica ed estetica dell’arte della stampa, ispirato dalla rivista “Campo Grafco”, ma anche dello studio Boggeri, all’epoca fondamentale palestra professionale per fgure di artisti progettisti come Bruno Munari, Luigi Veronesi, Remo Muratore o Erberto Carboni, grazie al quale fu possibile stabilire un rapporto professionale assiduo con un ex allievo del Bauhaus come Xanti Schawinsky, autore di celebri manifesti, di opuscoli caratterizzati da felici soluzioni tipografche e di una delle prime versioni del logo Olivetti.
Furono costruiti stabilimenti che ancora oggi costituiscono «il simbolo della rivincita della classe operaia rinchiusa per secoli in posti oscuri ed insalubri»