Grandi mostre. 1
Anni ’70 a Roma

polifonia
di voci

Nei cosiddetti “anni di piombo” Roma è teatro di fermenti culturali e artistici di notevole importanza, terreno fertile per la nascita di movimenti come l’Arte povera e la Transavanguardia. è il Palazzo delle esposizioni a raccontare, in una mostra, la ricchezza di linguaggi e di sperimentazioni di quel periodo.

Matteo G. Brega

Evocare gli “anni di piombo” parlando del decennio degli anni Settanta in Italia è quasi un passaggio obbligato, a maggior ragione quando si dedica una mostra a quel periodo intendendolo nel senso più ampio delle implicazioni culturali che ha comportato.

Ed è questo il caso di Anni ’70. Arte a Roma, mostra in corso al Palazzo delle esposizioni di Roma fno al 2 marzo, a cura di Daniela Lancioni. Il compito della curatrice appare molto delicato, non tanto per la controversa stagione, culturale e politica, che si vuole testimoniare attraverso l’arte, quanto perché il “dosaggio” delle componenti prettamente artistiche da una parte e sociologicopolitiche dall’altra non è agevole come in altre situazioni. A questo proposito ci pare utile fare due considerazioni in riferimento alla concezione della mostra. La prima riguarda la presa di posizione a favore di una sorta di identifcazione tra questo preciso periodo artistico e il suo luogo d’elezione. L’arte italiana degli anni Settanta fu indubbiamente romana. Romana per nascita, romanocentrica per elezione e romana, fnanche, per reazione alle precedenti esperienze forti del dopoguerra artistico italiano, sempre milanesi. Un’arte molto “politica”, almeno nelle intenzioni e nelle premesse, non poteva non trovare terreno fertile nella città che innanzitutto capitale politica era ed è rimasta, cercando altresì una sorta di allontanamento da quella Milano “capitale morale” e “città del boom economico”, anche forse con un senso di riscatto. La seconda considerazione che emerge di fronte a una mostra così necessariamente ricca di oggetti – gli artisti furono molti e prolifci – sta nella constatazione di una, tutto sommato, “distanza” tra le premesse politiche e gli esiti dei due principali movimenti: Arte povera e Transavanguardia.


Ciò che si può leggere oggi in quegli esiti è più una sognante ricerca di una realtà “altra”, piuttosto che un’arte “di battaglia”, di rottura o di aperta contestazione

Ciò che vi si può leggere oggi è più una sognante ricerca di una realtà “altra”, piuttosto che un’arte “di battaglia”, di rottura o di aperta contestazione. Quasi che gli artisti prevedessero profeticamente i risultati di una stagione politica (il periodo 1968-1979) sotto forma di perdita di punti di riferimento certi, proprio quando, al contrario, questi dovevano apparire incrollabili “motori della storia”. Le immagini e gli oggetti che ne emergono sono tentativi di interpretazione di una stagione che non stava, finalmente, realizzando determinate premesse, ma si stava piuttosto concludendo con molti interrogativi lasciati in sospeso. Anche in questo senso le spinte figurative insite nella Transavanguardia risulteranno anticipatorie del decennio successivo e di nuove stagioni artistiche.

Nella mostra trovano spazio, giustamente, anche molti autori internazionali che hanno fatto di Roma la propria base, o che semplicemente hanno influito, con la propria opera, sulla produzione italiana. Le intenzioni curatoriali sono dichiaratamente improntate a una «posizione di bilanciamento tra indagine storica e interpretazione» e ciò non può che agevolare un lavoro comunque impegnativo vista l’ampiezza delle produzioni e del numero di artisti presi in esame. Senza dubbio il lavoro delle numerose gallerie d’arte ha rappresentato, per la Roma di quegli anni, un presupposto imprescindibile di confronto di linguaggi e di sperimentazioni, spesso trasversali, senza il quale molti esiti sarebbero stati impossibili. Ci riferiamo alle gallerie L’Attico di Fabio Sargentini, La Tartaruga di Plinio De Martiis, La Salita di Gian Tomaso Liverani, e agli Incontri internazionali d’arte fondati nel 1970 da Graziella Lonardi Buontempo e diretti da Achille Bonito Oliva, Gian Enzo Sperone e Konrad Fischer, Massimo D’Alessandro e Ugo Ferranti, tutti momenti di indispensabile confronto e di spinta propulsiva per gli esiti di quel periodo, ai quali l’esposizione dedica il giusto spazio. In quella che viene giustamente definita “polifonia di voci”, la mostra mette in scena l’imprescindibile esperienza dell’Arte povera, non dimentica l’Arte concettuale e il postminimalismo, per giungere così alla Pittura analitica, ai situazionisti, alla Anarchitecture, alla Narrative Art, sino al momento che potremmo inquadrare come confine ultimo del periodo stesso, la Transavanguardia.


Giorgio de Chirico, Il poeta e il pittore (1975), Roma, fondazione Giorgio e Isa de Chirico.

All’interno dello stesso tessuto concettuale e sperimentale si vengono dunque a porre gli oggetti di Boetti, Paolini, Patella, così come i lavori di Carla Accardi, Anselmi, Chia, De Dominicis, Kounellis o dei più giovani Ontani, Spalletti, Cucchi, Clemente, Ceccobelli. Il percorso espositivo consente l’identificazione, all’interno della produzione di figure di primo piano accostate a esponenti minori, di continui dialoghi, di sperimentazioni, di proposte che l’uno lanciava all’altro, all’interno di un clima di costante confronto e di continua innovazione e ricerca. Interessante appare, altresì, la persistenza del sostrato dell’immagine, irrinunciabile minimo denominatore comune, immagine che, per quanto disorientata, sezionata, destrutturata, non può mai cessare di esistere, pena la dissoluzione stessa della ricerca. Con Fabro e Penone saranno invece gli oggetti a farsi terreno di confronto, attraverso una costante messa alla prova del linguaggio tradizionale e un conseguente tentativo di fuoriuscita dalla convenzione.

Dal punto di vista dell’allestimento, appare interessante l’aver corredato gli oggetti esposti con fotografe che mostrano come gli stessi oggetti siano stati presentati per la prima volta, negli anni Settanta, nelle varie sedi espositive romane. Un modo per rendere ancora più complementare il rapporto storico tra ciò che gli anni Settanta hanno rappresentato nel loro compiersi e cosa rappresentano oggi, a distanza di quarant’anni, nella loro evocazione di una città viva, ricca di idee e di confronti, consapevole del proprio ruolo e della propria funzione culturale. In ciò si potrà forse scorgere un invito alla riflessione su ciò che la città di Roma, e l’Italia, rappresentano oggi per l’arte contemporanea e per la cultura in generale.


Interessante appare la persistenza del sostrato dell’immagine che, per quanto disorientata, sezionata, destrutturata, non può mai cessare di esistere

Anni ’70. Arte a Roma

a cura di Daniela Lancioni
Roma, Palazzo delle esposizioni
via Nazionale 194
telefono 06-39967500, per le scuole 848-082408
orario 10-20, venerdì e sabato 10-22.30, chiuso lunedì
fno al 2 marzo
catalogo Edizioni Azienda Speciale Palaexpo
www.palazzoesposizioni.it

ART E DOSSIER N. 307
ART E DOSSIER N. 307
FEBBRAIO 2014
In questo numero: SOUVENIR D'ITALIE L'Italia nell'arte dell'Ottocento, dalla Milano dei Navigli all'Agro Romano, al sole del sud: il Bel Paese prima del benessere e del disastro. IN MOSTRA: Anni Settanta, Molinari Pradelli, Vermeer.Direttore: Philippe Daverio