Arte in coppia
Elmgreen & Dragset

galeotto fu quel grottesco club
di copenaghen

di Cristina Baldacci

Il caso li ha fatti incontrare e la vicinanza di interessi, opinioni e punti di vista ha permesso ai due artisti scandinavi di avviare un sodalizio che dura da quasi vent’anni e che si traduce in opere volte a risvegliare, anche in modo ludico, le capacità critiche dello spettatore.

Quello di Michael Elmgreen e Ingar Dragset è un esordio ai margini: geografici, Michael è nato in Danimarca (Copenaghen, 1961), Ingar in Norvegia (Trondheim, 1969); sociali, da giovani frequentano entrambi l’ambiente anticonformista e omosessuale della capitale danese, dove si incontrano a metà anni Novanta; e artistici, poesia, teatro e mimo sono le loro prime passioni. Dopo quasi vent’anni di lavoro insieme e un fortunato percorso che da giovani performer li ha portati a essere una delle coppie dell’arte più acclamate, nonostante la loro storia d’amore sia finita da tempo, Elmgreen & Dragset hanno conservato quell’attitudine da saltimbanchi e da outsider che li fa guardare al sistema con spirito ludico, ma non per questo meno critico e attento.

Le loro opere, specialmente quelle progettate per lo spazio pubblico, rivelano aspetti contraddittori del nostro mondo e, soprattutto, del contesto artistico, suscitando spesso vivaci dibattiti e dissensi. 


Quando, in occasione della loro prima mostra in Italia (Short Cut, 7 maggio - 4 giugno 2003) collocarono al centro della Galleria Vittorio Emanuele di Milano una macchina e una roulotte bianche che sembravano appena riemerse da un viaggio verniano al centro della terra, perché era stata simulata una rottura del lastricato in marmo, la reazione non si fece attendere. Nei giorni successivi l’allestimento, che era avvenuto di notte, un ignaro vigile urbano fece una multa per sosta vietata al veicolo, mentre alcuni militanti leghisti inscenarono un grossolano banchetto con pizza in difesa dell’italianità. Avevano infatti considerato la Fiat Uno targata Napoli e la cartina di Rimini posta sul cruscotto, che i due artisti avevano scelto come immagini del nostro paese, ma anche come allusione al nomadismo turistico globale, un’offesa.

Due anni dopo, il lavoro di Elmgreen & Dragset fu nuovamente preso di mira. Nel cuore del deserto texano i due artisti costruirono il facsimile di un negozio di Prada (Prada Marfa, 2005). L’idea era realizzare un intervento temporaneo che scimmiottasse la scultura minimalista, l’oggetto pop e l’arte ambientale. La durata dell’opera era affidata all’azione del tempo e degli agenti atmosferici: non vennero perciò previste né misure di sicurezza, né eventuali restauri. Anche in quel luogo apparentemente lontano dal consumismo e dalle dinamiche di mercato, l’opera fu quasi subito oggetto di contestazione. Scambiata per un’icona pubblicitaria, venne imbrattata con graffiti e saccheggiata dei suoi contenuti. Borse e scarpe della boutique fittizia erano pezzi originali della casa di moda donati dalla stessa Miuccia Prada.

Non hanno avuto migliore accoglienza due lavori recenti a prima vista più tradizionali. Nel 2012, Elmgreen & Dragset sono stati chiamati a realizzare una scultura per il “Fourth Plinth” in Trafalgar Square a Londra. Il piedistallo, costruito a metà Ottocento e da allora rimasto senza statua, dal 1999 è stato usato per una serie di interventi di arte pubblica. Nello stesso anno, agli artisti viene commissionata anche un’opera per il lungomare di Elsinore, città della Danimarca famosa per il suo castello, che Shakespeare elesse a dimora di Amleto. In entrambi i casi, Elmgreen & Dragset hanno avviato un dialogo con il passato e con il contesto, ideando una reinterpretazione in chiave contemporanea della statuaria equestre per Londra e un remake al maschile della Sirenetta di Copenaghen per Elsinore (le due città danesi sono da sempre in competizione).

A destare scalpore non sono stati i soggetti in sé, cioè un bronzeo bambino su cavallo a dondolo di quattro metri (Powerless Structure, Fig. 101) e un malinconico ragazzo appollaiato su uno scoglio in acciaio inox (Han), quanto piuttosto la loro esecuzione, giudicata brutta e kitsch. Il virtuosismo estetico non era certamente il traguardo di Elmgreen & Dragset, benché entrambe le opere abbiano richiesto parecchio lavoro. Non è mai stato un segreto che, per il loro giovane Marco Aurelio in Trafalgar Square, la cui posa ricorda quella del monumento all’imperatore romano in Campidoglio, gli artisti abbiano preso spunto da «un cavallo a dondolo modello Ikea». Elmgreen & Dragset si sono domandati quale valore, ruolo e significato abbia l’arte pubblica nella nostra società, cercando di suscitare nuovo interesse nello spettatore per le opere che costellano strade e piazze cittadine. Per modificare una cattiva abitudine oggi molto diffusa, quella che non ci fa quasi più notare le opere inserite nel contesto in cui viviamo, ci chiedono infatti di soffermarci a lungo davanti al “Sirenetto” di Elsinore per non perdere il suo fugace battito di ciglia azionato ogni sessanta minuti da un congegno meccanico.

L’atmosfera è surreale, come in molte delle loro opere, e dialoghi, gesti e tempi scenici ricordano il teatro beckettiano


Il duo scandinavo ha indagato i principali attori e aspetti del sistema dell’arte, rimettendoli in scena in performance, installazioni, sculture e pièce teatrali.

Alla figura del collezionista e alle sue innumerevoli ossessioni Elmgreen & Dragset hanno dedicato il progetto per il doppio padiglione, danese e dei paesi nordici, alla 53. Biennale di Venezia del 2009 (The Collectors), dove hanno allestito due immaginarie case private con le rispettive collezioni: quadri e sculture sono stati presi in prestito o commissionati ad amici e colleghi. Un’evoluzione successiva di questo progetto curatoriale è stata presentata al Victoria and Albert Museum di Londra con il titolo Tomorrow (2013).

Lo spettatore è stato messo al centro dell’opera in più di un’occasione: qui ricordiamo soltanto la volta in cui, visitando la galleria Massimo De Carlo a Milano, per vedere effettivamente qualcosa si doveva salire su una scala a pioli e spiare da un oblò quello che succedeva in un appartamento confinante al primo piano (How Are You Today?, 2002). 


L’artista è invece stato magistralmente ritratto in due opere teatrali: Drama Queens del 2007, i cui protagonisti sono sette delle sculture più iconiche del Novecento, dall’Uomo che cammina di Alberto Giacometti al Rabbit di Jeff Koons, che fanno le veci dei propri autori, svelandone sogni, manie e dubbi; e Happy Days in the Art World del 2011, una sorta di autoritratto di Elmgreen & Dragset, dove i loro alter ego si interrogano sul processo creativo, sullo spazio dell’opera, sul mercato, sulla critica e sul pubblico dell’arte, sul successo e sul fallimento, e, soprattutto, sul lavoro in coppia. L’atmosfera è surreale, come in molte delle loro opere, e dialoghi, gesti e tempi scenici ricordano il teatro beckettiano, ma, tra una battuta, una pausa e un ragionamento strampalato, ecco che giunge fulminea una rivelazione: «Dai, cosa faremmo l’uno senza l’altro?», domanda uno dei due. «Pensa soltanto se non ci fossimo incontrati tempo fa in quel grottesco club di Copenaghen […]. Che posto per iniziare una collaborazione lunga una vita».

ART E DOSSIER N. 307
ART E DOSSIER N. 307
FEBBRAIO 2014
In questo numero: SOUVENIR D'ITALIE L'Italia nell'arte dell'Ottocento, dalla Milano dei Navigli all'Agro Romano, al sole del sud: il Bel Paese prima del benessere e del disastro. IN MOSTRA: Anni Settanta, Molinari Pradelli, Vermeer.Direttore: Philippe Daverio