DALL'IMPERO
AL QUARANTOTTO

Con fare sciolto, a matita e inchiostro, su un grande foglio, un abile borsista dell’Accademia d’Italia a Roma, Tommaso Minardi (Faenza 1787 - Roma 1871), disegna attorno al 1812 la simbolica incoronazione dell’erma di Canova.

La scena idealizzata si svolge in un tempio circolare con volta a cassettoni simile al Pantheon: luogo antico, simbolo per eccellenza delle arti dove stanno le spoglie di Raffaello, il più grande classicista del Rinascimento. Alle pareti busti di Lisippo, Apelle, Fidia confermano la maestosità dell’evento, mentre Pittura e Architettura tendono ciascuna una corona d’alloro, sedute su un sedile marmoreo anticheggiante. Assieme a loro è la Scultura, il cui serto sta per essere posto sopra la testa di Canova. A sinistra, la Storia iscrive Canova nel libro degli immortali, mentre il Tempo è in catene, sconfitto.


Il foglio servirà per una festa a sorpresa che la poetessa Clotilde Tambroni ha organizzato per omaggiare Canova, che allora, cinquantacinquenne, è il più stimato artista della penisola, capace di reinterpretare l’antico con grazia e sentimento. A Roma l’illustre scultore segue i giovani allievi dell’Accademia di palazzo Venezia, dove appunto ha modo di apprezzare Minardi, che poi disegnerà copie delle sue sculture. Niente di più esemplare di questo disegno per calarsi nell’atmosfera del primo Ottocento, imbevuta del gusto arcaizzante tardo-neoclassico. Sono gli anni in cui, dopo la proclamazione della Repubblica cisalpina, l’Italia è dominata da Napoleone, incoronato re d’Italia nel 1805. Nei luoghi di potere, ovunque in Italia, stanno membri della famiglia Bonaparte. Lo stile Impero predomina.


Fra i mecenati amanti delle arti assume un ruolo primario la sorella di Napoleone, Maria Anna, principessa di Lucca e Piombino e granduchessa di Toscana (1809-1814), meglio nota come Elisa Baciocchi, dal cognome del marito.

Pietro Benvenuti (Arezzo 1769-Firenze 1844), che dirige l’Accademia di Firenze dal 1803, ed è primo pittore di corte, raffigura la granduchessa a palazzo Pitti tra cortigiani e familiari, mentre Canova e altri artisti, fra cui Benvenuti medesimo, sono al lavoro per ritrarla. Ancor prima l’artista toscano era stato incaricato a Parigi, su suggerimento della Baciocchi, di dipingere uno dei cinque quadri dell’epopea napoleonica, Il giuramento dei Sassoni, episodio che aveva siglato la vittoria di Napoleone alla battaglia di Jena, nel 1806. L’opera, nella quale si risente in parte l’eco di un celebre dipinto di storia di Jacques-Louis David, Il giuramento degli Orazi (1784, Parigi, Louvre), è risolta dal pittore toscano in modo autonomo e scenografico. La ricchezza di dettagli risalta nel notturno, illuminato da tocchi di luce lunare, che insistono sulla figura di Napoleone, su altri volti e sul petto nudo del generale Hohenloe, che giura disteso a terra perché ferito gravemente.


Tommaso Minardi, Il genio delle belle Arti incorona l’erma di Canova (1812 circa).

Pietro Benvenuti, Elisa Baciocchi fra gli artisti (1813); Versailles, Musée du Chateau.


Pietro Benvenuti, Il giuramento dei Sassoni a Napoleone (1812); Firenze, palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna.

In Lombardia è Andrea Appiani (Milano 1754-1817), sostenitore della Repubblica cisalpina, il pittore ufficiale dei cantieri napoleonici. Fra i cicli di affreschi a lui commissionati, spiccava il fregio con i Fasti napoleonici (1800-1807): trentanove tele per il ballatoio della sala delle Cariatidi in Palazzo reale, distrutte nella seconda guerra mondiale, di cui restano le incisioni. Rimane invece, seppur frammentaria, l’Apoteosi di Napoleone affrescata per la volta della sala del Trono, oggi in una villa comasca. Napoleone vi appare divinizzato come Giove, con ai piedi l’aquila imperiale, a conferma della sacralità del suo ruolo. Paludato all’antica, siede su un trono sorretto da vittorie alate. Con queste allegorie, che denotano una meditazione sull’antico rivista con pittoricismo quasi rinascimentale, Appiani otterrà il vanto di “primo frescante” d’Europa.

Anche nella Roma cosmopolita, nel grande cantiere del palazzo del Quirinale, sperimentano nuovi modelli decorativi artisti di fama internazionale come Ingres e Thorvaldsen, accanto a italiani quali Vincenzo Camuccini (Roma 1771-1844), Pelagio Palagi (Bologna 1775 - Torino 1860), il già citato Benvenuti e molti altri.
Roma è ancora uno dei centri culturali e artistici di spicco in Europa, se non il primo. Qui le istituzioni straniere, come l’Accademia di Francia, incentivano il perfezionamento con pensionati per i loro giovani artisti, mentre nuovi metodi riformano la nostra tradizione didattica, come accade all’Accademia d’Italia, sostenuta come si diceva da Canova (pure vanno ricordate le Accademie di Milano, Parma, Bologna, Firenze, Napoli).

A Roma la Scuola di nudo è gestita in Campidoglio dall’Accademia di San Luca, mentre nella stessa città un pittore eccentrico, talentuoso e girovago come Felice Giani (San Sebastiano Curone 1758 - Roma 1823) aveva fondato già nel 1789 l’innovativa Accademia de’ Pensieri, poi Accademia della Pace: luogo di ritrovo, più che accademia, ricco di stimoli per artisti già formati. Lo rammenta un testimone: «Era detta Accademia de’ Pensieri perché pensieri si chiamano, le prime idee gettate in carta dai pittori [...]. Il tema si dava alla fine di ogni seduta, per quella prossima, a quindici giorni [...]. Si deponevano i disegni da coloro che la frequentavano, nell’anticammera. Giunta l’ora destinata, colui ch’era di turno, portava la cartella de’ disegni nella Sala degli adunati; ed uno alla volta ne facea l’ostentazione sopra il cavalletto, acciò fossero giudicati»: metodo, dunque, non convenzionale ma efficace per favorire scambi e idee in liberi raduni fra maestri di diversi orientamenti stilistici vi erano passati, fra i tanti, Benvenuti, Camuccini, Luigi Sabatelli (Firenze 1772 - Milano 1850). Giani, d’altra parte, aveva già mostrato a Faenza, negli affreschi di palazzo Altieri (1805 circa), un genio narrativo, una scioltezza di mano, un gusto che in certi toni cupi e misteriosi appare preromantico, come nel bellissimo disegno a penna del cosiddetto Incappottato, che a Roberto Longhi apparve come «un letterato bohémien, forse un nostalgico di Russia, fra il Foscolo e Julien Sorel».


Andrea Appiani, Apoteosi di Napoleone (1808-1812); Tremezzo (Como), villa Carlotta.

All’Accademia d’Italia si erano formati anche Pelagio Palagi e Francesco Hayez (Venezia 1791 - Milano 1882), oggi definiti i «futuri e alternativi» protagonisti della scuola romantica milanese. Con la caduta di Napoleone, la fine dell’Impero e l’avvento della Restaurazione, attorno al 1814, le più giovani generazioni passate dall’Accademia d’Italia si confrontano adesso con le poetiche del sublime e del visionario. Da loro nasce il nuovo corso della pittura italiana, ardentemente voluto da Canova.

Hayez, che a palazzo Venezia aveva studiato dal 1809 sotto la guida di Canova stesso, si afferma a Venezia e a Milano con dipinti di storia cui sa infondere un’atmosfera contemporanea, non disgiunta da un tono epico e popolare che lo rendono tanto amato da critici e letterati come Giuseppe Mazzini e Alessandro Manzoni. Hayez è anche abile ritrattista, e capace di nudi di grande sensualità, come si vedrà oltre. La sua convincente adesione civile non è tuttavia l’unica, giacché fra i più stimati pittori di storia e di temi devozionali emergono personaggi come il già citato Pelagio Palagi, più orientato a uno stile classicista, oppure altri che si legano allo stile purista, come Luigi Mussini (Berlino 1813 - Siena 1888).

Ricordiamo a questo proposito che il termine purismo risale a una definizione elaborata a partire dal 1833 da Antonio Bianchini (Roma 1803-1884), colto allievo di Tommaso Minardi e di Friedrich Overbeck (Lubecca 1789 - Roma 1869). La teoria di uno stile “puro” confluisce nel 1842 nella codificazione di un vero e proprio manifesto, Il Purismo nelle arti, al quale aderiscono anche Minardi e il suo maestro. Gli intenti dei puristi nascevano sull’onda delle idee dei nazareni: da tempo residenti a Roma, questi pittori tedeschi, che avevano come capofila proprio Overbeck, ambivano con i loro dipinti e cicli decorativi a un ritorno all’atmosfera semplice, imbevuta di spiritualità, dei grandi maestri della pittura medievale e del Quattrocento. Al purismo avrebbe aderito anche una figura eclettica come quella dell’architetto, pittore, teorico e storico dell’arte Pietro Estense Selvatico (Padova 1803-1880), appassionato estimatore dell’arte dei grandi maestri del Medioevo italiano, che all’epoca venivano chiamati “i primitivi”: la loro fortuna s’incrementa proprio in quegli anni.


Luigi Mussini, La musica sacra (1841); Firenze, Galleria dell’Accademia.


Pelagio Palagi, Sacra Famiglia con san Giovannino (1855); Torino, Palazzo reale.


Dipinta per l’altare del pregadio di Carlo Alberto di Savoia nel Palazzo reale di Torino, questa tela devozionale, incorniciata e dorata all’antica secondo il disegno e l’esecuzione dello stesso Palagi, è tutta improntata a una classicità neocinquecentesca ispirata con evidenza alla pittura di Raffaello e di Correggio.

Per tornare alla nostra rapida panoramica, rammentiamo che intanto in Italia si sta rafforzando un turismo colto e cosmopolita con la conseguente, pressante richiesta di vedute. Nel Meridione d’Italia, soprattutto nel Napoletano, prosperano dipinti di paesaggio, vedute di rovine, templi, chiese, che hanno nella cosiddetta Scuola di Posillipo, e nel suo principale esponente, Giacinto Gigante, allievo nel 1822 di un grande vedutista olandese, Antoon Sminck van Pitloo (Arnhem 1790 - Napoli 1837), un’eccezionale varietà di raffigurazioni, con modulati effetti atmosferici.
L’Italia tutta del XIX secolo, a dire il vero, costituiva una scenografia ideale per la pittura di paesaggio; tuttavia va detto che nei primi decenni dell’Ottocento il paesaggio è ancora un genere di secondo piano per la norma accademica; spesso serve da studio per la trattazione del “vero naturale”, e viene usato per far da sfondo ai temi storici imperanti. Non a caso la cattedra di paesaggio, a Napoli già tenuta da Pitloo e a Milano istituita nel 1838, a Firenze sarà inaugurata solo dopo l’Unità. Gli sperimentalismi in questo campo si riscontrano comunque, e non solo nel Meridione dove, oltre a Giacinto Gigante e i suoi allievi, spiccano pittori come l’abruzzese Giuseppe Palizzi (Lanciano, Chieti, 1812 - Parigi, Passy 1888); dopo essersi accostato nel 1837, con il più giovane fratello Filippo, alla Scuola di Posillipo, Giuseppe soggiorna dal 1845 in Francia. Qui sperimenta effetti atmosferici e di controluce, e ottiene gran successo al Salon del 1852.

Tornato a Napoli, Palizzi indugia su temi popolari e idilliaci, come il Paesaggio con figure oggi conservato a Milano, che ci appare come una scena serenamente agreste, inquadrata dai ruderi delle arcate di un antico acquedotto.

Nel Nord Italia, oltre a Massimo d’Azeglio, si affermano artisti come Giovanni Migliara (Alessandria 1785 - Milano 1837) o Angelo Inganni, le cui vedute cittadine si caratterizzano per “un’affabile cordialità”. Anche il ritratto ha particolare fortuna, soprattutto quello declinato secondo un tono familiare e borghese, tipico del gusto Biedermeier; un gusto romantico, intimo e delicato, semplice e conservatore, che dalla Germania e dall’Austria si era diffuso in tutta Europa, non solo nelle arti figurative ma anche negli arredi: uno stile di vivere, se vogliamo. Quella è l’epoca magistralmente definita da Mario Praz come il tempo «dei diari, delle dediche piene d’effusione, delle lunghe lettere affettuose, degli albi di schizzi di viaggio, dei fiori secchi nei libri, dei ricordi curiosi e ingombranti».

Mentre fermentavano, in Italia come oltralpe, i germi di rivoluzione sociale e politica, «la borghesia, giunta all’apice del suo fiorire, era orgogliosa del nuovo modo di vita che aveva instaurato nel mondo, e si faceva ritrarre nella scena di tutti i giorni, con gli oggetti cari intorno, e la familiare veduta dalla finestra» (Praz 1944). Valgano come esempio i due ritratti illustrati qui a fianco, l’uno di Tominz (Gorizia 1790-1866), l’altro di Malatesta (Modena 1806-1896).


Giuseppe Palizzi, Paesaggio con figure (1863); Milano, Galleria d’arte moderna. Pennellate veloci illuminano il bellissimo sfondo, oltre l’arco coperto di erbe rampicanti e fiori selvatici: un contadino dietro a una bestia da soma, e forse una capra, è preceduto da una contadina con l’anfora sulla testa e il figlioletto che forse le chiede da bere. Il primo piano, immerso in una natura selvatica e ombrosa, rende l’atmosfera serena delle popolane alla fonte con i panni da lavare.

Gustavo Tominz, La famiglia Moscon (1829); Lubiana, Narodna Galerija.


Adeodato Malatesta, La famiglia Malatesta (1828-1833); Modena, Museo civico.

OTTOCENTO ITALIANO - LA PITTURA
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Fossi Gloria
Un dossier dedicato alla pittura italiana dell'Ottocento. In sommario: Premessa. Sfortuna e fortune dell'Ottocento italiano; Dall'Impero al Quarantotto; I decenni del Risorgimento; 1858-1870: Francia e Italia, primi intrecci cosmopoliti; Gli anni dell'Unità. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.