BIOGRAFIE

Per approfondimenti e ulteriori biografie si rimanda alle seguenti pubblicazioni: S. Bietoletti, M. Dantini, Ottocento italiano. La storia. Gli artisti. Le opere, a cura di G. Fossi, Firenze 2002; S. Bietoletti e L. Lombardi in I grandi stili dell’arte, a cura di G. Fossi, Firenze 2007, pp. 540-815; le monografie dedicate da “Art e Dossier” ai più celebri pittori, qui segnalati in quarta di copertina.

Giuseppe Abbati

(Napoli 1836 - Firenze 1868)

Napoletano, vive dal 1846 a Venezia, dove il padre Vincenzo, pittore di paesaggi e interni di chiese, lavora per la duchessa di Berry. In laguna frequenta l’Accademia, presieduta da Pietro Estense Selvatico, e conosce il toscano Telemaco Signorini. Torna a Napoli a ventidue anni, e dipinge interni col padre. Fervente patriota, combatte nel 1860 con Garibaldi e perde un occhio nella battaglia del Volturno. Poi si trasferisce a Firenze e frequenta il caffè Michelangelo. Con Lega e Signorini dipinge “en plein air” fra orti e villini borghesi del sobborgo di Piagentina. Ospite di Diego Martelli a Castiglioncello, nei pressi di Livorno, sperimenta, con Borrani e Fattori, nuove variazioni di luce e tonalità cromatiche. Muore colpito da idrofobia per il morso del suo cane.


Andrea Appiani

(Milano 1754-1817)

Fra i più colti interpreti del neoclassicismo italiano, frequentatore dell’ambiente illuminato milanese, si forma come scenografo al teatro alla Scala. Nel maggio 1796, con l’ingresso di Napoleone a Milano, diviene pittore ufficiale della Repubblica cisalpina e nel nuovo secolo è incaricato dal governo francese delle decorazioni ad affresco di Palazzo reale, focalizzate sulla glorificazione di Napoleone (1803-1813).


Cristiano Banti

(Santa Croce sull’Arno, Pisa 1824 - Firenze 1904)

Dal 1854 è a Firenze, dove frequenta il Caffè Michelangelo. Nel 1860 inizia a dipingere paesaggi e figure all’aria aperta; talvolta, sull’esempio di Saverio Altamura (Foggia 1826 - Napoli 1897), usa uno specchio nero che filtra i contrasti di chiaro e di scuro. Dipinge con Borrani e Signorini a Montelupo e a La Spezia. Nel 1861 è a Parigi, poi a Torino dove conosce Fontanesi, del quale diventa committente e collezionista, sarà spesso anche a Londra.


Pietro Benvenuti

(Arezzo 1769 - Firenze 1844)

Protagonista della pittura toscana nel passaggio dal gusto neoclassico a quello romantico, si forma a Firenze e a Roma, dove fra il 1792 e il 1804 frequenta l’Accademia dei Pensieri e conosce artisti come Felice Giani, fondatore di quel singolare luogo d’incontro, e lo scultore danese Bertel Thorvaldsen. Dal 1807 dirige, fino alla morte, l’Accademia di Firenze. Raffinato ritrattista, dipinge tele celebrative negli anni del governo napoleonico in Toscana. Per l’ammodernamento di palazzo Pitti affresca la sala di Ercole, terminata durante la Restaurazione, ai tempi in cui per Leopoldo II di Lorena decora anche la cupola della Cappella dei principi in San Lorenzo.


Giovani Boldini

(Ferrara 1842 - Parigi 1931)

Figlio d’arte (il padre è pittore), studia a Firenze all’Accademia con Stefano Ussi (Firenze 1822- 1901), ma soprattutto frequenta il caffè Michelangelo. A Napoli nel 1866, a Parigi nel 1867, a Londra nel 1871, visita gallerie, musei, esposizioni. Risiede a Parigi dal 1871 e stabilisce contatti con la Galleria Goupil. Ricercato per ritratti e temi celebrativi, vanta amicizie internazionali come quelle con il parigino Degas (con lui andrà in Marocco nel 1889), e con il tedesco Adolph Menzel. Le sue opere sono sempre presenti ai Salon, alle esposizioni internazionali, e perfino a New York (1897). La sua pittura si caratterizza per una stesura veloce che lo rende maestro del “velázquismo” internazionale, in voga sul finire del secolo.


Odoardo Borrani

(Pisa 1833 - Firenze 1905)

Figlio di un pittore di paesaggi, frequenta l’Accademia a Firenze (1853). Amico di Signorini, Cabianca e altri artisti del caffè Michelangelo, inizia a dipingere verso il 1860 seguendo gli esperimenti luministici della “macchia”. Dal 1862 è spesso insieme ad altri macchiaioli a Castiglioncello, ospite di Diego Martelli. Nel 1865, come Lega, si stabilisce appena fuori Firenze, a Piagentina.


Vincenzo Cabianca

(Verona 1827 - Roma 1902)

A Firenze nel 1853, frequenta il caffè Michelangelo. A Montelupo e a La Spezia, assieme a Signorini e Borrani, si esercita nel 1860 su un nuovo metodo per ottenere diversi effetti cromatici e di chiaroscuro. Al suo ritorno, espone alla mostra della Società Promotrice I novellieri toscani del XIV secolo. L’anno successivo è a Parigi e poi a dipingere con Banti nella campagna aretina (Piantravigne). Si trasferisce a Parma nel 1864, ma serba relazioni con Abbati e altri macchiaioli. Nel 1867, a Firenze, frequenta Fontanesi. Si stabilisce poi a Roma, dove conosce Nino Costa (Roma 1826 - Marina di Pisa 1903), capofila della pittura naturalista romana. Con lui va a dipingere in campagna. Ormai definitivamente a Roma, nel 1876 fonda la Società degli acquerel- listi e aderisce al gruppo “In Arte Libertas” fondato da Costa.


Vincenzo Camuccini

(Roma 1771-1844)

Disegnatore di talento, pittore di storia e ritrattista, capace di ideare composizioni di grande equilibrio anche in scala monumentale, si afferma a Roma con dipinti influenzati dal classicismo austero del francese David. Dal 1806 al 1810 è “principe” dell’Accademia di San Luca; nel 1811 direttore dei mosaici della Fabbrica di San Pietro. Con l’incalzare del gusto purista passa in secondo piano come pittore, ma riceve notevoli compiti di riordino, di collezioni private e pubbliche, come le Gallerie reali di Napoli (1826) e la Pinacoteca vaticana (1830).


Adriano Cecioni

(Firenze 1836-1886)

Formatosi all’Accademia di Firenze come scultore, è volontario nella seconda guerra d’indipendenza (1859). Nel 1863 vince un pensionato a Napoli (vi resta fino al 1867). Qui si avvicina alla Scuola di Resina: con De Nittis, Marco de Gregorio (Resina 1829-1876) e altri dipinge all’aperto. Il suo stile rifiuta il moralismo della pittura di genere e di storia. A Firenze, sulla scia degli artisti di Piagentina, insiste su temi domestici, nel rimpianto di un tempo semplice e gentile. Soggiorna a Parigi e Londra (1870-1872), dove lavora come caricaturista per “Vanity Fair”. A Firenze dirige poi, con Signorini, il “Giornale artistico” e si concentra sull’attività di critico d’arte. Si devono a lui vivide testimonianze sul caffè Michelangelo. Continua a scolpire e ottiene stabilità economica solo nel 1884, quando ha l’incarico di disegno al Magistero. Muore durante un ballo.


Antonio Ciseri

(Ronco, Canton Ticino 1821 - Firenze 1891)

Nasce in Svizzera da una famiglia di decoratori spesso a Firenze, città dove si trasferisce al seguito del padre. Studia disegno in privato e poi all’Accademia (che dirigerà dal 1874 al 1875). Apre fin da giovane uno studio, dove anche insegna. Risente del purismo formale di Ingres, allora molto amato in Italia, mediato da un realismo crudo, fotografico, e da raffinate tonalità cromatiche. Ottiene successo e commissioni in Svizzera e in Italia. Nel 1873 vince una medaglia d’oro all’Esposizione di Vienna con il Martirio dei Maccabei, mentre l’Ecce Homo sarà esposto solo dopo la morte, con unanimi favori. Fu apprezzato anche da Diego Martelli, nonostante non in sintonia con le idee antiaccademiche del critico toscano.


Tranquillo Cremona

(Pavia 1837 - Milano 1878)

Dopo aver studiato alla Civica scuola di pittura di Pavia, nel 1852 frequenta l’Accademia di Venezia. Per evitare di arruolarsi con gli austriaci si trasferisce nel 1859 a Milano. Lavora come illustratore e caricaturista. Esperto nell’acquerello, è in grado di sciogliere le forme con pennellate morbide di colore puro. Fonda insieme a Daniele Ranzoni (Intra, Verbano - Cusio - Ossola 1843- 1889), Emilio Praga (Gorla, Milano 1839 - Milano 1875) e altri artisti, scrittori e intellettuali, il movimento lombardo della Scapigliatura. Nel 1878 dirige la Scuola d’arte di Pavia, ma muore quello stesso anno precocemente, a poca distanza dalla sua mostra di successo nel ridotto della Scala.


Massimo d’Azeglio

(Torino 1798-1866)

Non è stato solo uomo politico e letterato, ma anche artista colto e raffinato. Alla pratica pittorica si accosta a Roma nel 1814, quando il padre è ministro della Santa Sede. Si dedica al vedutismo e allo studio dal vero nella campagna romana. A Milano, dove si trasferisce nel 1831, sposa la figlia di Alessandro Manzoni. Di idee moderate e riformiste, attraversa la penisola nel 1844 per fare il suo «catechismo antirivoluzionario, ma riformista». Presidente del Consiglio dal 1849 al 1852, cede volentieri l’incarico a Cavour, e continua a dipingere. La Vendetta (1835) è fra i lavori più famosi: presentato all’Esposizione di Brera, gli varrà la nomina a socio d’onore dell’Accademia milanese.


Giuseppe de Nittis

(Barletta, Bari 1846 - Saint- Germain-en-Laye 1884)

Studia a Napoli all’Istituto di Belle arti, ed entra in contatto con altri artisti con i quali fonda la Scuola di Resina, che privilegia la pittura all’aria aperta. Amico dei macchiaioli, nel 1868 si trasferisce a Parigi, dove frequenta gli ambienti della cultura internazionale e stipula con il gallerista Goupil un contratto di esclusiva. Nel 1874 espone, non convinto, con gli impressionisti. Nel 1878 si afferma definitivamente all’Esposizione universale. Ormai De Nittis è il più rinomato e virtuosistico interprete della mondanità parigina. I tagli delle sue composizioni sono inconfondibili, giocati su primi piani ravvicinati, così come la sua gamma cromatica fatta di toni accesi di verdi e di neri intensi.


Giovanni Fattori

(Livorno 1825 - Firenze 1908)

Nato in una famiglia modesta, interrompe l’apprendistato all’Istituto di Belle arti di Firenze per i moti del Quarantotto. Poi inizia a dipingere in campagna, opponendosi alla pittura accademica imperante. Fra il 1859 e il 1866 l’ardore politico lo spinge a dipingere scene militari. Nel 1859 vince il Concorso Ricasoli con il bozzetto della Battaglia di Magenta, poi trasposto su una grande tela (1862). Spesso a Livorno e a Castiglioncello, si dedica a ritratti familiari e studi di campagna. Il suo stile si risolve nell’elaborazione di una sintesi spaziale di forma-colore, anche su tavolette e perfino sul retro di scatole da sigari. Nel 1875 è con altri artisti a Parigi (dove espone un dipinto); vi ammira soprattutto Corot e rimane colpito, non in senso positivo, dalla vita animata della metropoli. Le sue ricerche, ferme alle idee “toscane”, rifiutano i suggerimenti dell’amico Martelli, in linea con la pittura impressionista. La sua lunga carriera di pittore e di docente è scandita dalla passione per l’arte, il disinteresse per facili successi commerciali, la vita semplice.


Antonio Fontanesi

(Reggio Emilia 1818 - Torino 1882)

Fervido patriota oltreché valente paesaggista, ha lavorato anche come scenografo. Garibaldino nel 1848, si rifugia poi in Svizzera, dove resta fino al 1865, svolgendo anche attività di litografo. Nel 1859 partecipa alla seconda guerra d’indipendenza. Nel 1861 è presente all’Esposizione Nazionale di Firenze e la sua opera, vicina alla scuola di Barbizon, viene apprezzata. Risiede poi a Londra, e si indirizza a nuovi esperimenti coloristici. In seguito insegna all’Accademia di Lucca e all’Accademia Albertina di Torino, dove nel 1869 ottiene la cattedra di paesaggio. Tra il 1876 e il 1878 risiede in Giappone e insegna pittura a Tokyo.


Giacinto Gigante

(Napoli 1806-1876)

Figlio d’arte, inizia la carriera come pittore di vedute, adottando anche la camera ottica. Per mantenersi è tecnico disegnatore al catasto, ma nel 1822 prende lezioni di pittura dal paesaggista olandese Anton Sminck van Pitloo, che si trova a Napoli da tempo (nel 1824 avrà la cattedra di paesaggio all’Istituto di Belle arti). Gigante rimane affascinato dalla pittura emozionale del maestro, fatta di rapporti cromatici ottenuti con colori densi e a macchie. Ammi- ra anche i quadri che l’inglese Turner (Londra 1775 - Chelsea 1851) espone a Roma nel 1828. Per i moti del Quarantotto si rifugia a Sorrento, ma al rientro dei Borbone torna a Napoli e insegnerà alle principessine della casata.


Francesco Hayez

(Venezia 1791 - Milano 1882)

Fra i pittori più celebri di tutto l’Ottocento italiano, soprattutto per il tema risorgimentale del Bacio (da lui affrontato in più versioni, ormai un’icona dell’epoca romantica), già in vita è acclamato come una delle glorie nazionali negli anni della dominazione straniera. Originario di Venezia, si forma a Roma all’Accademia d’Italia guidata da Canova. Lavora al grande cantiere del palazzo del Quirinale, partecipa a importanti concorsi di pittura, mostrando la sua capacità di interpretare in modo attuale temi storici, ma anche ritratti e nudi. La sua pittura viene spesso paragonata al romanzo e al melodramma di quegli anni.


Silvestro Lega

(Modigliana, Forlì, 1826 - Firenze 1895)

Frequenta a Firenze l’Accademia, ma privilegia studi privati con Luigi Mussini (Berlino 1813 - Siena 1888) e con Ciseri. Dal 1861 si dedica a temi risorgimentali e si avvicina alla tecnica macchiaiola. Con Abbati, Signorini, Borrani, Cecioni dipinge a Piagentina, conferendo a paesaggi e temi domestici la solennità dei maestri del Quattrocento. Gravemente malato agli occhi, riuscirà ugualmente, dopo una pausa, a riprendere la pittura con ritratti e scene quotidiane. Si trasferisce infine al Gabbro (Livorno), e dipinge negli ultimi anni con pennellate dense e veloci.


Adeodato Malatesta

(Modena 1806-1891)

Dopo aver studiato all’Accademia della sua città, vince un pensionato a Firenze, poi compie viaggi di studio a Vienna, Roma e Venezia. La sua pittura si orienta sia verso il ritratto, del quale è abile interprete, sia verso il genere sacro, per il quale riceverà molte committenze destinate a monumenti religiosi emiliani. Nel 1839 dirige a Modena l’Accademia Atestina di Belle Arti, che lo aveva visto studente. Nel 1860 diventerà anche direttore della Galleria Estense.


Diego Martelli

(Firenze 1839-1896)

Figlio di un patriota, al liceo conosce Carducci e frequenta molti intellettuali toscani. Amico di Signorini, conosce tramite lui tutti gli artisti fiorentini e i forestieri che Firenze accoglie dopo il 1859 (Borrani, Sernesi, Zandomeneghi, Boldini, Fattori, Lega). Con Abbati divide un appartamento a Firenze. Nel 1862 eredita una tenuta presso Castiglionello, sul litorale livornese, che diviene luogo d’incontro e sperimentazioni pittoriche. A Firenze fonda nel 1867 il “Gazzettino delle Arti del disegno”, con lo scopo di situare le esperienze dei pittori italiani non accademici in un contesto europeo. Fondamentali i suoi scritti e il suo ricco epistolario. La sua situazione economica ha alterne vicende, ma egli non mancherà mai di sostenere gli amici pittori.


Tommaso Minardi

(Faenza, Ravenna, 1787 - Roma 1871)

Formatosi a Roma, studia con Antonio Canova (Possagno, Treviso 1757 - Venezia 1822) all’Accademia d’Italia. Conoscitore della pittura italiana, grazie anche a viaggi di studio, dal 1819 dirige l’Accademia di Perugia; tre anni dopo insegna a Roma all’Accademia di San Luca; nel 1832 all’Accademia di Firenze. Fra i più colti pittori del primo Ottocento italiano, esperto disegnatore e in contatto con artisti milanesi come Appiani e Giuseppe Bossi (Busto Arsizio, Milano 1777 - Milano 1815), si occupa anche di teoria della conservazione e ha un ruolo notevole per la formazione di una coscienza civica del nostro patrimonio artistico. Nel 1834 tiene un discorso sull’arte italiana «dal rinascimento all’epoca della

perfezione». Si accosta al gusto dei nazareni e aderisce infine al manifesto purista.


Francesco Paolo Michetti

(Tocco da Casauria, Pescara 1851 - Francavilla al Mare, Chieti 1929)

Dall’Abruzzo si sposta a Napoli dove studia all’Accademia. Si unisce alla Scuola di Resina orientandosi alla pittura naturalistica. Espone a Parigi ai Salon (1872, 1875) e grazie a De Nittis entra nell’orbita di galleristi come Goupil e di fotografi come Reutlinger. Non a caso dagli anni Ottanta si dedica quasi totalmente alla fotografia. Docente all’Istituto di Belle arti a Napoli, continua a esporre all’estero; alla Biennale di Venezia è presente a lungo, fin dal primo appuntamento del 1895.


Angelo Morbelli

(Alessandria 1853 - Milano 1919)

Come Pellizza da Volpedo, si trasferisce a Milano fin da giovane per studiare all’Accademia di Brera e in Lombardia si accosta alla pittura di orientamento naturalistico. Attorno al 1890 comincia a sperimentare la tecnica divisionista della quale diventa il maestro più impegnato. Oltre a dipinti di grande impegno sociale, che raffigurano miseri anziani negli ospizi, o mondine nelle risaie, è autore di composizoni di struggente malinconia, come S’avanza (1896), che raffigura una donna seduta su una terrazza, davanti a un largo panorama di campagna: dipinto che lo vedrà al lavoro dal 1892 al 1896, quando si risolverà a darne la forma definitiva, circolare e ad accentuare il senso sentimentale dell’opera. Negli ultimi anni farà uso anche della fotografia per una migliore resa dei suoi paesaggi.


Domenico Morelli

(Napoli 1826-1901)

Figura di spicco nel panorama culturale dell’Ottocento italiano, si forma all’Accademia di Napoli e poi a Roma. Partecipa con eroismo alle barricate del Quarantotto con l’amico Saverio Altamura e finisce in carcere. In contatto con i macchiaioli, e notevole esponente, nei primi anni Cin- quanta, della pittura romantica, affronta frequenti e proficui viaggi, in Italia (Firenze, Roma, Venezia) e all’estero (Monaco, Dresda, Berlino, Parigi, Amsterdam). A Napoli cura collezioni private e raccolte museali, come quelle di Capodimonte. Fondatore nel 1878 del Museo artistico industriale, è uno dei promotori di una sinergia fra mondo del lavoro e didattica artistica. Fra il 1884 e il 1886 affronta con frequenza temi orientalistici e nudi ridotti quasi a motivi ornamentali. Conoscitore della cultura islamica e bizantina e di storia delle religioni, si occupa anche di interventi integrativi di importanti monumenti amalfitani.


Pelagio Palagi

(Bologna 1775 - Torino 1860)

Formatosi nella sua città natale presso l’Accademia di belle arti, dal 1806 prosegue gli studi artistici a Roma, aggiornandosi allo stile neoclassico a contatto con Canova e con i pittori pensionati di Villa Medici, primo fra tutti Ingres (che fu a Roma per molti anni, fino al 1824). Nel 1812 è fra i decoratori dell’appartamento di Napoleone al Quirinale e l’anno dopo lavora a palazzo Torlonia. Nel 1815 si stabilisce a Milano, dove è particolarmente rinomato come ritrattista, anche perché aveva dipinto, già nel 1810 a Roma, un intenso ritratto dell’intellettuale lombardo Gaetano Cattaneo, che gli aprirà le porte dei salotti milanesi. Lavora con Hayez alla sala delle Cariatidi in Palazzo reale, e si dedica anche, oltre ai quadri mitologici e di storia, a pitture devozionali. Nel 1832 si trasferisce a Torino, chiamato da Carlo Alberto di Savoia che lo incarica ufficialmente di guidare la decorazione dei palazzi reali.


Giuseppe Palizzi

(Lanciano, Chieti 1812 - Passy 1888)

Dall’Abruzzo si sposta fin da giovane a Napoli per studiare al Reale istituto di belle arti, dov’è allievo dell’olandese Pitloo. Qui, attento alle novità introdotte dai pittori francesi della Scuola di Barbizon, si accosta ai paesaggisti napoletani della Scuola di Posillipo. Si trasferisce in Francia nel 1845 e comincia a dipingere paesaggi spesso popolati da animali, per i quali si fa mandare disegni dal più giovane fratello Filippo, animalista di talento.

Nella sua lunga carriera francese otterrà numerosi riconoscimenti, e un suo quadro (Printemps) sarà perfino acquistato dal Louvre, dopo essere stato esposto al Salon del 1852.


Giuseppe Pellizza da Volpedo

(Volpedo, Alessandria 1868-1907)

Dal Piemonte si sposta in gioventù a Milano, dove nel 1884 frequenta l’Accademia di Brera. Tre anni dopo studia a Roma, all’Accademia di San Luca; nel 1888, è allievo di Fattori all’Accademia di Firenze. Un anno dopo si reca a Parigi dove visita l’Esposizione universale. Torna poi a Volpedo dove comincia a dipingere paesaggi, vedute, ritratti e nature morte. Agli inizi degli anni Novanta si accosta alla pittura divisionista. Assieme al conterraneo Angelo Morbelli si interessa alle questioni sociali. Nel 1896 visita nella Città del Vaticano le Stanze di Raffaello, per trovare nel passato una valida ispirazione per i nuovi dipinti di storia. Agli inizi del nuovo secolo conosce a Roma i futuristi (Balla, Boccioni) e Severini. Morirà suicida nel suo paese natale.


Gaetano Previati

(Ferrara 1852 - Lavagna, Genova 1920)

Allievo a Firenze di Amos Cassioli (Asciano, Siena 1832 - Firenze 1891), prosegue gli studi all’Accademia di Brera. A Milano si accosta agli scapigliati e si orienta su temi sociali e patriottici. Vicino anche ai preraffaelliti inglesi, nel 1892 espone al Salon del gruppo parigino della Rose-Croix e si afferma fra i principali maestri del simbolismo europeo. Agli inizi del nuovo secolo pubblica importanti opere teoriche sul divisionismo e le tecniche della pittura.


Giovanni Segantini

(Arco, Trento 1858 - monte Shafberg, Svizzera 1899)

Di origine trentina, studia a Brera a partire dal 1874. In contatto con naturalisti e scapigliati, stipula un contratto nel 1880 con il pittore e gallerista Vittore Grubicy de Dragon. Dopo la metà degli anni Ottanta inizia a dipingere secondo la tecnica divisionista, che adotta per paesaggi e scene popolari della vita in Engadina. Si unisce poi a Previati e si orienta a temi simbolici e religiosi. Espone alla celebre mostra londinese del 1888 sulla pittura italiana. In Italia ha fama come naturalista; in Europa, specie in Germania, per i suoi temi mistici.


Pietro Estense Selvatico

(Padova 1803-1880)

Conoscitore della storia dell’arte, efficace didatta, è fra gli innovatori del giornalismo moderno, sperimentato sul “Giornale Euganeo” di Padova (1844-1848). Appoggia

le idee puriste, evidenti in molti suoi scritti. Nel 1849 è segretario dell’Accademia di Venezia e l’anno dopo presidente. Fra le opere storico-critiche spiccano quelle sull’educazione del pittore storico (1842, in cui oppone la formazione accademica all’esperienza del “vero” e della “storia”), e su come si debbano insegnare le arti del disegno (1848, 1858, 1859). Con l’editore fiorentino Barbera si dedica a un nuovo genere letterario, le vite degli artisti sceneggiate in “forma drammatica”.


Telemaco Signorini

(Firenze 1835-1901)

Acuto polemista, presto privilegia la vocazione artistica rispetto a quella letteraria. Dopo l’Accademia a Firenze, risiede nel 1852 a Venezia, dove con Abbati e altri disegna nei musei e all’aperto, pratica che approfondisce a Firenze. Frequenta il caffè Michelangelo e dipinge in campagna con Borrani e Cabianca. Lavora anche in Liguria (1858, 1860), a Castiglioncello da Diego Martelli (1861), poi di nuovo a Firenze e Piagentina (1862). Spesso a Parigi e a Londra, è critico attento ai fermenti internazionali e alla rivalutazione della pittura di paesaggio, anche per la sua «influenza sull’arte moderna».


Giuseppe Tominz

(Gorizia 1790 - Gradiscutta, Udine 1866)

A lungo studente d’arte a Roma, dove frequenta la scuola di nudo dell’Accademia di San Luca, ha modo di conoscere artisti di gusto neoclassico come Antonio Canova e Bertel Thorvaldsen e anche il gruppo dei nazareni. Tornato a Gorizia nel 1818, è subito molto richiesto come ritrattista. Poi si trasferisce a Trieste, dove è stimato per i ritratti che raffigurano con particolare incisività e indagine psicologica i più autorevoli personaggi della vita cittadina. Negli ultimi anni torna a Gorizia, dove continua a dipingere fin quando non perde la vista.


Federico Zandomeneghi

(Venezia 1841 - Parigi 1917)

Si forma all’Accademia della sua città, e a soli diciotto anni partecipa alla spedizione dei Mille. Amico di Abbati, conosce a Firenze nel 1862 i macchiaioli. Quando Venezia viene annessa all’Italia torna in laguna e vi resta fino al 1874, anno in cui si trasferisce a Parigi, dove si accosta alla pittura di Degas, che lo fa partecipare alle mostre degli impressionisti. Dal 1893 stipula un contratto col gallerista degli impressionisti Paul Durand-Ruel. Il successo commerciale lo costringe a iterare i soggetti più fortunati, fatto che non gioverà all’evoluzione della sua pittura, orientata, sull’esempio di Seurat, verso la tecnica divisionista.

OTTOCENTO ITALIANO - LA PITTURA
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Fossi Gloria
Un dossier dedicato alla pittura italiana dell'Ottocento. In sommario: Premessa. Sfortuna e fortune dell'Ottocento italiano; Dall'Impero al Quarantotto; I decenni del Risorgimento; 1858-1870: Francia e Italia, primi intrecci cosmopoliti; Gli anni dell'Unità. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.