GLI ANNI DELL'UNITà

All’indomani dell’Unità d’Italia il panorama della pittura del nostro paese si fa ancora più ricco di intrecci e di aperture.

Non a caso, nel 1870, l’Esposizione nazionale allestita a Parma, ha lo scopo di fare il punto sulla situazione artistica dopo l’Esposizione del 1861 a Firenze, che come si diceva era risultata piuttosto confusa e male organizzata secondo scuole regionali, senza alcun coordinamento né discernimento qualitativo. Le opere presentate a Parma hanno un vincolo: non devono essere state realizzate prima del 1861.


Come l’esposizione fiorentina aveva già messo in risalto, nel bene e nel male, anche adesso non è possibile celebrare una vera e propria, agognata arte nazionale, emerge una disparità e molteplicità di orientamenti che riflette anche la crisi dei valori positivisti fino a quel momento tanto diffusi. Oltre a quadri che raffigurano eventi risorgimentali come la Madonna della Scoperta di Giovanni Fattori, non risulta, a quella esposizione, la prevalenza di un genere specifico. Si vedono così, in un guazzabuglio di temi, scene quotidiane di momenti familiari, quadri di paesaggio, opere di tendenza orientalista.

Domenico Morelli, Bagno turco (1874-1876 circa).

A proposito dell’orientalismo, va detto che da tempo questo genere pittorico si era affermato anche in Italia, dopo un esordio assai felice in Francia, sin dai tempi delle campagne napoleoniche in Egitto. Molti artisti del nostro paese, ancor prima dell’Unità d’Italia, avevano iniziato a viaggiare anche oltre i confini europei (fra questi si è già detto di Ippolito Caffi). Forse il più rinomato fra loro, dopo l’Unità, è il fiorentino Stefano Ussi (Firenze 1822-1901), che aveva un passato di fervente patriota, per aver partecipato, fra le altre cose, alla battaglia di Curtatone, come volontario, nel 1848. Risale al 1869 il suo primo viaggio in Egitto, durante il quale rimane affascinato dalle suggestioni del deserto e dei villaggi fra le dune, con le case in terra cruda. Nel 1873 un suo dipinto, il Trasporto del tappeto sacro alla Mecca, viene esposto a Vienna e sarà acquistato dal sultano di Costantinopoli per il suo nuovo palazzo imperiale. Ma è del 1875 il viaggio più importante: Ussi torna in Nord Africa, questa volta in Marocco, con l’amico scrittore Edmondo de Amicis, al seguito di una spedizione di affari per conto del governo italiano, diretta dal ministro Scovasso. Al loro rientro Ussi illustrerà con un altro pittore meno noto, Cesare Biseo (Roma 1843-1901), anche lui al seguito, l’affascinante resoconto di viaggio deamicisiano, Marocco (Milano 1877), da Tangeri a Mogador (l’attuale Essaouira). Le illustrazioni piacquero molto e furono acquistate dall’editore Hachette per l’edizione francese; alcune vignette di Biseo vennero riprodotte nella famosa rivista “L’Illustrazione italiana” (5 agosto 1877).


Antonio Mancini, Le due bambole (1876); Roma, Galleria nazionale d’arte moderna.

Di quel viaggio resta traccia anche in un colorato taccuino di acquerelli, in collezione privata, in cui Ussi indugia, al di là del semplice sguardo di artista viaggiatore, su particolari di fine eleganza estetica. Sappiamo anzi, dallo stesso De Amicis, che l’amico pittore, affascinato dall’esotica e misteriosa bellezza di quella gente e dei loro costumi, spesso aveva indossato in quella spedizione l’abito tradizionale dei marocchini.

Orientalista di riflesso è invece Domenico Morelli (Napoli 1826-1901), docente all’Accademia di Belle arti di Napoli, e maestro di tanti futuri artisti di fama. A lui si devono, oltre ai tanti dipinti di storia ancora di tradizione romantica (come Gli iconoclasti, 1855, e i Vespri siciliani,1859), diverse tele di esplicita tendenza orientalista. Nel bellissimo Bagno turco, affronta il tema del nudo esotico, già tanto caro in Francia fin dai tempi di Ingres, in cui mescola ai temi esotici anche suggestioni dell’antica pittura pompeiana. Pur non avendo viaggiato in terra d’Oriente, a quanto pare, Morelli studia la Bibbia, il Corano e altri testi sacri, per approfondire i significati e i messaggi delle religioni monoteiste diffuse nel Mediterraneo. Lo studio dei costumi arabi o mediorientali, grazie anche alla conoscenza di fotografie e a una ricca collezione di incisioni, sfocia nei suoi dipinti in uno stile originalissimo, fatto di pennellate di colore che mutano con una ricca gamma di «effetti mimetici» (Dantini), che lo attestano come un grande virtuoso della pittura a olio.

Federico Zandomeneghi, Sul divano (Causerie) (1890-1895 circa).


Stefano Ussi, Palme (1875 circa); Firenze, Uffizi, Gabinetto disegni e stampe.

In Campania si afferma pure, per qualche tempo, la cosiddetta Scuola di Resina, denominata anche «Repubblica di Portici» (1863 circa 1876), che raggruppa per una decina d’anni alcuni artisti non solo napoletani fra cui Marco de Gregorio (Resina, Napoli 1829-1876), Giuseppe de Nittis (Barletta 1846 - Saint-Germain-en-Laye 1884), Federico Rossano (Napoli 1835-1912), Antonino Leto (Monreale, Palermo 1844 - Capri 1913) e perfino un critico e pittore toscano macchiaiolo, in queste pagine più volte rievocato: Adriano Cecioni. Luogo di ritrovo è lo studio di De Gregorio nella reggia di Portici presso Resina (una frazione di Ercolano). Gli studi “en plein air” su luce e colore assumono adesso l’aspetto di soggetti “schietti e puri” del mondo rurale. Questi artisti riescono con le loro sperimentazioni a rinnovare il canone della pittura di paesaggio di tradizione naturalistica, che dallo studio del vero della Scuola di Posillipo e dei fratelli Palizzi passa adesso anche al confronto con i macchiaioli. Non a caso, oltre a Cecioni, saranno diversi pittori toscani come Cabianca, Abbati e Fattori a esporre alle prime mostre della Società Promotrice di Napoli.

Ormai dialetti, accenti, inflessioni regionali appaiono evidenti e molto apprezzati, sia per il crescente sviluppo del mercato turistico degli stranieri, sempre più alla ricerca di immagini-souvenir, sia per l’interesse che la generazione romantico-naturalistica mostra verso l’elemento locale e nativo. Ne è un esempio eclatante l’elogio di Cecioni a un artista come Silvestro Lega (Modigliana, Forlì, 1826 - Firenze 1895), che a suo parere ha il merito di fare «un’arte locale che appartiene a Firenze». Già da questi accenni non può stupire che negli anni postunitari resti spesso inascoltato (e comunque poco realizzabile) l’appello a un’arte riconoscibilmente nazionale.

A Parma, nel 1871, la giuria dell’Esposizione nazionale è composta, fra gli altri, da Signorini, Banti e Cecioni, fatto che risulta scandaloso a Saverio Altamura, che pure con loro aveva frequentato il caffè Michelangelo: quei tre toscani erano «nemici d’ogni idea, d’ogni entusiasmo, d’ogni sentimento nell’arte». Proprio loro hanno criticato un quadro storico-emblematico, come La cacciata del duca di Atene di Stefano Ussi, che pure nel 1867 aveva vinto un premio all’Esposizione nazionale di Parigi. In fondo, lo sconcerto e la rabbia del pittore pugliese corrisponde allo sconcerto di tanti contemporanei di fronte a così tante sperimentazioni stilistiche, in apparenza prive di quel rigore morale che sarebbe occorso a un’arte di dignità manifestamente “nazionale”.


Giuseppe Pellizza da Volpedo, La processione (1893-1895); Milano, Museo nazionale della scienza e della tecnica Leonardo da Vinci.

E forse non è un caso che a Parma venga premiato un dipinto di Lega, La visita alla balia, «dove una pittura di grande tenore formale e una inusitata freddezza descrittiva erano adottate per la narrazione di un morceau di vita borghese; un tema accattivante, caro alla pittura di genere, che l’artista rinnovò infondendovi sentimenti di precarietà e di struggente rimpianto, grazie proprio alla qualità della forma» (Bietoletti).

Intanto nel Meridione d’Italia la lezione religiosamente isolata, quasi visionaria, di un Oriente immaginario, sperimentata da Domenico Morelli, viene seguita da artisti come l’abruzzese Francesco Paolo Michetti (Tocco da Casauria, Pescara 1851 - Francavilla al Mare, Chieti 1929) e il romano Antonio Mancini (Roma 1852- 1930), suoi allievi all’Accademia reale di Napoli. I soggetti dei loro dipinti sono popolari. Mancini indugia su aspetti di una società povera e malata, dipinge bambini malvestiti, denutriti, tristi prima del tempo, ai quali l’infanzia è stata negata da sempre. Michetti tratta temi plebei con una particolare velocità del pennello e con una sostanza materica del colore e un senso del movimento quasi fotografico.

Dagli anni Ottanta si osserva poi, soprattutto nel Nord Italia, un senso di inquietudine, di rimpianto quasi, nella raffigurazione di una natura malinconica, che è in armonia con le emozioni e i sentimenti più profondi e privati. Spesso è stata sottolineata la coincidenza con gli sperimentalismi letterari di un Verga o meglio ancora di un Pascoli. L’ispirazione di molti pittori tende ora alla raffigurazione del mondo contadino, alle sue abitudini centenarie. A questo proposito, uno dei più rinomati pittori dell’ultima generazione dell’Ottocento italiano, Giuseppe Pellizza da Volpedo (Volpedo, Alessandria 1868-1907), nel 1897 scrive: «La vita fittizia delle grandi città non può fare a meno di esercitare un’azione mistificatrice sull’animo sensibile dell’artista il quale perdendo la semplicità e schiettezza primitiva perde la qualità maggiormente atta per la creazione delle grandi opere d’arte».


Gaetano Previati, La danza delle Ore (1899 circa).

Sulla scia delle ricerche iniziate da artisti “scapigliati” come Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, che qui possiamo solo citare, un artista come il milanese Angelo Morbelli mostra la sua insofferenza verso «una realtà insostenibile».

Sulla metà degli anni Ottanta, nel frattempo, si affacciano i primi esperimenti pittorici che adottano la tecnica divisionista, cui aderiscono, fra gli altri, lo stesso Morbelli e soprattutto Giovani Segantini: adesso si privilegia un paesaggio incantato, denso di evocazioni sentimentali, di memorie, di atmosfere melodiose, che sottolineano, ancora una volta, i misteri della natura e del suo rapporto con l’umanità.

Il metodo adottato dai pittori divisionisti è basato sui principi della scomposizione del colore, e questa tecnica ben si adegua alla necessità, da una parte, di esprimere aspetti intimi del sentire umano, come il sogno, la fantasia, l’immaginazione, e dall’altra alla possibilità di sperimentare un metodo di dipingere tecnicamente scientifico da opporre sia alla convenzionale pittura accademica, sia alla “disgregazione” impressionista.

L’arte ha ormai acquistato, in quel torno di anni, un valore morale, ed emblematiche paiono le parole di Pellizza da Volpedo, quando rievoca la stesura del suo bellissimo dipinto, La processione, dove per la prima volta anche lui applica la tecnica divisionista, «ritirato dal mondo nella bassa e malinconica pianura di Lomellina, volendo compulsare direttamente la natura». Il risultato è un dipinto che si ispira anche simbolicamente al Beato Angelico (del quale l’artista possedeva in studio decine di riproduzioni). «Nel viale ombrato dai pioppi», come scrive all’amico Tumiati, gli sembrava che «niun altro soggetto sarebbe stato più adatto in quel luogo in quell’ora». Le linee stesse del paesaggio, dalle grandi alle piccole quasi tutte leggermente arcuate, gli paiono in stretto rapporto col mite sentimento religioso. L’Ottocento italiano si può chiudere idealmente con La danza delle Ore di Gaetano Previati (Ferrara 1852 - Lavagna, Genova 1920), artista maestro del simbolismo italiano, che proseguirà la sua attività ben oltre il secolo, anche grazie a un fervido impegno di teorico della pittura e di trattatista. L’opera, presentata alla Biennale di Venezia del 1899, è tutta concentrata sul movimento circolare, quasi in competizione con la fotografia e il cinema.

OTTOCENTO ITALIANO - LA PITTURA
OTTOCENTO ITALIANO - LA PITTURA
Fossi Gloria
Un dossier dedicato alla pittura italiana dell'Ottocento. In sommario: Premessa. Sfortuna e fortune dell'Ottocento italiano; Dall'Impero al Quarantotto; I decenni del Risorgimento; 1858-1870: Francia e Italia, primi intrecci cosmopoliti; Gli anni dell'Unità. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.