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Lautrec è stato un artista versatile, passando con disinvoltura dalla pittura al disegno alla grafica.

È soprattutto in quest’ultimo campo che la sua creatività tocca livelli altissimi, con una produzione premiata dal favore del pubblico che allora, come oggi, è conquistato in particolar modo dai manifesti ideati da questo grande artista, tra cui celeberrimi quelli eseguiti per il Moulin Rouge e per le vedettes delle folli notti di Montmartre.


Quando Lautrec approda alla litografia, nel decennio che va dal 1891 all’anno della morte, il 1901, questa tecnica è in definitiva ancora piuttosto recente, essendo nata non prima della fine del XVIII secolo e avendo iniziato a diffondersi soprattutto a partire dal 1820. Nel caso della litografia a colori, poi, le distanze si accorciano ulteriormente, visto che l’introduzione del colore nella pratica litografica risale al 1890 e si deve ai Nabis (Bonnard, Vuillard, Denis ecc.). L’attività di Lautrec litografo coincide dunque con la nascita della litografia a colori e del suo uso sperimentale nel campo dell’illustrazione dei libri, delle riviste e nei primi esempi di pubblicità.

Durante la Belle Epoque Parigi conosce un vero e proprio boom della stampa sia popolare che di alto livello. La collaborazione dell’artista a giornali e riviste di quegli anni è intensa. Tra le molte testate per cui Lautrec lavora ci sono “Le Rire”, il “Courrier Français”, “Le Figaro Illustré”, “L’Escarmouche”, “L’Estampe et l’Affiche”, “L’Estampe Originale”. Su tutte, spicca la “Revue Blanche”, la prestigiosa rivista di critica letteraria e artistica d’avanguardia dei coniugi Natanson, Thadée e Misia, che Lautrec conosce nel 1894, entrando a far parte del loro giro di amicizie. La pubblicazione, che simpatizza con gli ambienti simbolisti e anarchici ed è aperta a tutte le manifestazioni più innovative del pensiero contemporaneo, conta tra i suoi collaboratori scrittori come Félix Fénéon, Tristan Bernard, Romain Coolus, Jules Renard (ma anche Mallarmé, Verlaine e il giovane Proust) e artisti Nabis come Bonnard,Vuillard e Vallotton.

Confetti (1894).


May Belfort (1895).


Il fotografo P. Sescau (1896).

Questi ultimi, non meno di Lautrec, hanno ben altra statura rispetto agli illustratori contemporanei alla moda, da Forain a Willette, da Steinlen a Ibels, Raffaëlli, Hermann, padroni indubbiamente del mestiere ma inclini all’uso di uno stile facile e accattivante, all’esaltazione dell’effimero e del divertente, in sintonia con i gusti della maggioranza dei lettori. Lautrec ha il merito di prendere nettamente le distanze dalla visione tradizionale e “borghese” di questi artisti “di grido”, dando una salutare scossa al linguaggio grafico dei suoi tempi al quale conferisce nuova dignità e autonomia sottraendolo al destino di forma d’arte “minore”.


Alla “Revue Blanche” Lautrec ha modo di allargare ulteriormente le sue vedute e i suoi interessi. Prima di tutto nell’ambito delle sue strette competenze, con scambi proficui e produttivi con Bonnard e Vuillard, poi grazie ai rapporti con Fénéon, Coolus e Bernard che lo introducono al mondo letterario e in particolare a quello del teatro. Lautrec è preso in una girandola di prime teatrali che lo vedono mescolarsi al pubblico della tradizionale Comédie Française, ma anche agli spettatori dei più avanguardistici Théâtre de l’Oeuvre di Lugné-Poe (l’impresario che metterà coraggiosamente in scena il contestatissimo Ubu roi di Alfred Jarry e avrà tra i suoi stretti collaboratori i Nabis) e il Théâtre Libre di André Antoine, tempio del naturalismo teatrale. Inoltre Bernard, che è anche direttore del velodromo di Buffalo a Neuilly, subito fuori Parigi, gli comunica la passione per la bicicletta e il mondo delle corse. Tutti questi nuovi interessi, lasceranno il segno nella sua opera, con nuovi dipinti e serie di stampe che nascono con la consueta procedura, una lunga incubazione durante la quale l’artista familiarizza col soggetto da ritrarre tornando a vederlo ossessivamente: commedie a cui Lautrec assiste dieci o venti volte di seguito, per esempio, o domeniche passate immancabilmente alle corse con Bernard.


Jane Avril (1893).

Sono litografie in cui talvolta appaiono gli stessi proprietari dei teatri, come accade per Lugné-Poe e Antoine, o programmi di spettacoli come quelli per Le Missionaire, per L’Argent o per Une faillite al Théâtre Libre. Ma perlopiù sono dedicate a rappresentazioni e interpreti che lo hanno colpito, donne, soprattutto: Julia Bartet, Marguerite Moréno della quale Jules Renard apprezzava «il profilo d’egiziana», la divina Sarah Bernhardt, Réjane, Marcelle Lender che non si stancava di veder danzare il bolero in Chilpéric.

All’inizio della sua attività di illustratore e pubblicista, Lautrec procede nel suo lavoro a ritmo sostenuto, dando vita a decine e decine di litografie, a partire dalla prima che è poi un manifesto, la famosa affiche Moulin Rouge, la Goulue, realizzata nel 1891 per il locale di Charles Zidler.

L’intera produzione litografica dell’artista francese sarà costantemente segnata dai due filoni dell’illustrazione e del manifesto, due gruppi ben differenziati a partire dal 1893: da un lato le stampe destinate agli album, ai giornali, ai programmi teatrali e così via, dall’altro le affiches pubblicitarie. E questa non rimarrà la sola costante dei lavori litografici, ma ce ne saranno altre, come per esempio la presenza degli stessi personaggi tanto nelle stampe-illustrazioni quanto nei manifesti, oppure la tendenza a una produzione seriale. Caratteristiche, del resto, entrambe non esclusive delle sole opere a stampa ma anche di dipinti e disegni. La serialità nelle stampe si manifesta anche questa in modo sistematico a partire dal 1893, col ciclo del Café-Concert (in collaborazione con Ibels).

La tendenza è indipendente dal fatto che la serie sia concepita o meno, fin dall’inizio, in forma di cartella-album dal contenuto omogeneo: le litografie di Lautrec prendono infatti “spontaneamente” la fisionomia del ciclo di illustrazioni. Oltre al Café-Concert, altre importanti serie sono per esempio quella delle Vieilles histoires, destinata a copertine di canzoni, o le dodici litografie teatrali pubblicate nel 1893 nella rivista “L’Escarmouche” (tra cui quelle con Marcelle Lender al Théâtre des Varietés o con Sarah Bernhardt in Fedra al Théâtre de la Renaissance). Un album vero e proprio è invece quello dedicato nel 1894 alla cantante Yvette Guilbert, sedici litografie accompagnate da un testo di Gustave Geffroy nelle quali il segno graffiante e sintetico di Lautrec è stimolato più che mai dal particolare dei lunghi guanti neri che caratterizzavano il personaggio. Per anni Lautrec esegue stampe e manifesti indimenticabili. Poi, nella fase finale del suo percorso creativo, ormai alcolizzato, minato nel fisico e nel morale, lavora molto meno, ma dalle sue mani usciranno ancora poche preziose gemme come La Gitane del 1900, un manifesto per il teatro che può essere considerato una sorta di testamento nel campo della sua produzione litografica.


La troupe di M.lle Eglantine (1896); Chicago, Art Institute.

L’intero complesso delle litografie ha assicurato una notevole notorietà all’artista francese ma, come si è già detto, sono soprattutto i manifesti che ne decretano già in vita il successo di pubblico mantenendo poi intatta nel tempo la sua fama e la sua attualità. È senza dubbio con i manifesti, grazie al loro stile ardito e straordinariamente innovativo per i tempi, che si apre di fatto il capitolo della pubblicità modernamente intesa, affidata cioè a un’immagine capace di veicolare un messaggio in modo particolarmente efficace, a uno stimolo visivo che sappia “agganciare” l’osservatore andando dritto allo scopo e restando indelebilmente impresso nella sua mente.

Alla fine dell’Ottocento il manifesto era infatti un genere ancora “sperimentale”, il campo privilegiato di una ricerca estetica condotta sul grafismo e sul colore. La più recente tradizione del manifesto parigino aveva il suo campione in Jules Chéret e nei suoi epigoni. I suoi manifesti, molto apprezzati dal pubblico di fine Ottocento, sono certamente immagini di squisita fattura e dal tono fresco e leggero, ma in modo analogo alle immagini degli illustratori alla moda dello stesso periodo hanno il limite di non riuscire a superare i caratteri di una produzione in fin dei conti superficiale e aneddotica, spesso dolciastra e ammiccante, che andava disinvoltamente incontro ai gusti facili della borghesia.


Nel 1889, il manifesto di Chéret per l’apertura del Moulin Rouge presentava, al solito, un’immagine brillante e gradevole ma se paragonato a quello ideato da Lautrec nel 1891 per lo stesso locale appare decisamente scontato e povero di idee. In effetti, già questa prima litografia di Lautrec rompe in modo netto con lo stile del suo predecessore. I contrasti di colore, l’inquadratura insolita della scena, introdotta dalla sagoma di Valentin le Desossé, grande “ombra” in primo piano cui fanno da contrappunto le nere silhouette del pubblico in controluce sullo sfondo (un’allusione alle ombre cinesi degli spettacoli in un altro dei famosi locali di allora, lo Chat Noir?) e, al centro, il bianco dei mutandoni svolazzanti della Goulue che alza la gamba nelle movenze del can-can sono di sicuro impatto e portano subito lo spettatore ”in medias res”, fornendo informazioni esplicite sul luogo pubblicizzato.

Col “prodotto”, cioè, l’immagine di Lautrec stabilisce un rapporto diretto ed essenziale, non un lega- me “esteriore” e marginale come nel caso del manifesto di Chéret. Nel 1891 Moulin Rouge, la Goulue invade i muri di Parigi. Per una volta, la novità, che in questo caso significa anche qualità, viene premiata e da un giorno all’altro Lautrec, che ha al- lora ventisette anni, diventa famoso. Nei manifesti l’artista francese dà il meglio di sé quanto a inventiva tecnico-artistica. Essen- do a colori, le affiches appartengono a un gruppo di litografie più elaborate rispetto a quelle monocrome in nero, sanguigna o verde oliva. Ma il risultato, nei manifesti di Lautrec, è uno stile particolarmente sem- plice ed essenziale, costruito sulla stilizza- zione del segno e sulle grandi campiture “a piatto” riempite con colori vividi e intensi (celebri i suoi neri profondi, per esempio, o il verde oliva delle scritte), pigmenti spesso preparati appositamente dallo stesso arti- sta. Nell’elaborare quelli che a buon dirit- to si possono considerare gli archetipi del manifesto pubblicitario moderno, Lautrec capisce alcune regole fondamentali della sua fruizione, che va oltre la cerchia dei critici e dei collezionisti. Di conseguenza non concepisce i suoi manifesti come se fossero opere da esporre in una mostra o in un museo.


copertina per Les Vieilles histoires (1893).


May Milton (1895).

Ambassadeurs: Aristide Bruant (1892).


Eldorado: Aristide Bruant (1892).

Nelle affiches ogni traccia del “naturalismo” pittorico, in particolare artifici come il chiaroscuro o l’illusione della tridimensionalità, scompare, così come viene eliminato in molti dei manifesti ogni dettaglio realistico dello sfondo (già trattato in modo piuttosto indistinto e vago nelle pitture, come si è visto) che adesso diventa spesso un semplice fondale a tinta unita, quasi assumendo i caratteri di un “sipario” chiuso alle spalle della vedette ritratta o di un pannello di scena che suggerisce in modo stilizzato il contesto. Lautrec comprende perfettamente che le affiches si devono poter vedere anche da lontano e sa che per strada i passanti difficilmente indugeranno a lungo davanti alle sue immagini. Di conseguenza, il tratto sarà il più incisivo possibile, i colori decisi e le superfici estese; e, ancora, le figure saranno sufficientemente grandi e l’immagine riconoscibile e comprensibile a colpo d’occhio, con qualcosa di assolutamente originale che colpisca al primo sguardo. Insomma, il massimo del risultato col minimo dei mezzi. Nel 1893 Félix Fénéon riassumeva così la maestria di Lautrec nel realizzare i suoi manifesti: «Bianco, nero, rosso in grandi chiazze: ecco tutto il suo armamentario». Su trenta manifesti realizzati, molti diventeranno famosissimi, come quelli dedicati nel 1892 all’amico chansonnier Aristide Bruant e alle sue esibilizioni all’Ambassadeurs e all’Eldorado, oppure l’affiche realizzata lo stesso anno per il lancio del libro-scandalo di Victor Joze Reine de joie, o ancora il manifesto di Jane Avril al Jardin de Paris, del 1893, che è anche l’anno di esecuzione dell’originalissimo Divan Japonais, dove stavolta Jane Avril, altra dominatrice dei palcoscenici dell’epoca, è ritratta in veste di spettatrice dall’elegante e raffinata silhouette nel locale che il manifesto reclamizza: trovata geniale e modernissima per cui la famosa vedette fa da “testimonial”, si direbbe oggi, a questo caffè-concerto dall’atmosfera esotica. Particolarmente ardita è poi, in secondo piano, la figura di un’altra famosa star cara a Lautrec, Yvette Guilbert, qui “decapitata” dal taglio dell’inquadratura ma riconoscibile dai lunghi caratteristici guanti neri.

L’affiche del Divan Japonais è un ottimo esempio per introdurre il discorso dell’influenza delle stampe giapponesi sull’opera di Lautrec e in particolare sui manifesti. La fortuna di questo genere esotico, come si è già accennato in precedenza, era iniziata con gli impressionisti, che avevano amato, studiato e imitato le stampe Ukiyoe. Questa scuola, il cui nome è all’incirca traducibile con l’espressione “del mondo fluttuante”, era nata in Giappone all’inizio del XVII secolo, ma era giunta alla sua massima fioritura nella prima metà del XIX con artisti come Hokusai, Utamaro, Hiroshige. Lautrec si appassiona alle stampe giapponesi sia attraverso la mediazione della pittura impressionista, in particolare di Manet e Degas, sia in maniera diretta, collezionando stampe e oggetti orientali, favorito in ciò dal fatto che negli ultimi decenni dell’Ottocento la moda del giapponismo si era andata sempre più diffondendo, fino a raccogliere particolari consensi proprio nel decennio 1880-1890. Nei suoi manifesti i “prestiti” dalle stampe giapponesi risultano parte essenziale e fondante del nuovo linguaggio da lui impiegato: il taglio particolare delle immagini, le campiture di colore “a piatto” e le tonalità squillanti (per ottenerle Lautrec riduce la gamma dei colori a soli quattro toni: giallo, rosso, blu e nero), il trattamento della linea di contorno che “forma” la figura sono tutti elementi ripresi chiaramente da quel modello e rielaborati in un nuovo stile d’avanguardia creato dal gusto personalissimo di questo artista che ha saputo fondere insieme spunti dell’arte orientale e suggerimenti delle avanguardie occidentali sortendo un risultato totalmente originale.

TOULOUSE-LAUTREC
TOULOUSE-LAUTREC
Enrica Crispino
Un dossier dedicato a Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901). In sommario: Da aristocratico ad artista bohémien; I manifesti del successo; Un autore scandaloso; Gli ultimi anni. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utile quadro cronologico e di una ricca bibliografia.