Grandi mostre. 3
LE SCULTURE SONGYE A NAPOLI

Antiche figure
di potere

Alla scultura tradizionale dei Songye - popolo della Repubblica Democratica del Congo - è dedicata la più importante mostra mai realizzata sul tema, in corso nella cappella palatina del maschio angioino, con un nucleo significativo di opere anche al MANN - Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Un’arte emblematica della creatività africana, ma, fino a oggi, oggetto di pochi eventi espositivi.

Antonio Aimi

In questo periodo la Cappella palatina del Maschio angioino a Napoli offre ai visitatori la possibilità di godersi sia una mostra sui songye sia il dialogo eccezionale tra le opere di questa popolazione africana e i resti degli affreschi di Giotto, che si conservano sulle pareti del “contenitore” espositivo. Contemporaneamente il MANN - Museo archeologico nazionale di Napoli, affiancando quattro sculture songye a quelle greche e romane, arricchisce il percorso espositivo proponendo anche un altro tipo di dialogo. 

Tali sinergie sono rese possibili dall’esposizione: Sacri spiriti. I songye nella Cappella palatina, in corso fino al 15 gennaio 2023 e che, complessivamente, presenta centotrentatre figure magico-religiose di questa popolazione della Repubblica democratica del Congo. Ma, oltre al dialogo tra l’arte “altra” e la nostra, è importante sottolineare che l’esposizione di Napoli è la più importante mai realizzata sulla scultura tradizionale dei songye, la quale è stata al centro di ben poche mostre, anche se interpreta efficacemente l’immaginario della creatività africana. 

L’esposizione e il dialogo sono dovuti al lavoro dei due curatori, Bernard de Grunne e Gigi Pezzoli, che oltre al MANN sono riusciti a coinvolgere in modo molto efficace il Comune di Napoli, che non solo ha messo a disposizione la Cappella palatina, ma proprio per la mostra ha anche posticipato l’avvio di importanti lavori di restauro curati dalla Soprintendenza ai monumenti. 

In questo contesto, inoltre, è doveroso segnalare il ruolo di Andrea Aragosa, che con la sua società, Black Tarantella, sta facendo di Napoli un punto di riferimento per una serie di iniziative sulle culture dell’Africa, dato che quella sui songye è la terza grande mostra fatta nella città partenopea negli ultimi due anni. È anche importante sottolineare che in tempi di polemiche sulla “repatriation” e sulla “decolonizzazione” dei musei, De Grunne e Pezzoli sono riusciti ad avere il patrocinio dell’ambasciata della Repubblica democratica del Congo, ben contenta, evidentemente, che parecchie opere, caratterizzate fino a pochi anni fa da un valore puramente etnografico, siano ora accostate ai capolavori dell’arte del Mediterraneo e dell’Europa. 

Nella mostra sono esposte figure antropomorfe dai tratti subnaturalistici molto stilizzati e accentuati, anche se in alcuni casi i corpi possono essere rappresentati o da forti geometrizzazioni o da elementi vagamente cilindrici. 

In genere si tratta di “figure di potere” o “effigi cultuali”, che erano realizzate da scultori e da fabbri, i quali, finito il lavoro, passavano le sculture agli specialisti del sacro, che le “consacravano” con canti, preghiere e con l’inserimento di elementi animali e naturali. 

In ogni caso, appare chiaro che se da un lato gli scultori dovevano rispettare modelli e tradizioni, dall’altro avevano una certa autonomia nella scelta delle soluzioni formali, perché i tratti distintivi delle loro opere, pur ripetendosi, riescono comunque a caratterizzare molto bene i personaggi, che raggiungono un’ottima espressività e, in molti casi, sembrano raffigurare soggetti ben precisi. 

Alcune sculture sono rifinite e lisciate con maestria, mentre altre sono più grezze e più segnate dal tempo, tutte comunque non perdono il loro pathos. 

Grazie al lavoro fatto dagli specialisti, nel caso di questa etnia è stato possibile coniugare le ricerche etnografiche con quelle propriamente artistiche, che hanno consentito di fare le opportune attribuzioni, utilizzando la metodologia che gli storici dell’arte usano da sempre e che, purtroppo, è ignorata dalla maggior parte degli antropologi. 

In questo modo sono stati individuati cinque maestri della scultura songye, che i curatori hanno messo al centro della mostra. Per quanto non ci sia lo spazio per riprendere le loro analisi approfondite, sembra, tuttavia, opportuno citare questi artisti e segnalare gli elementi che li caratterizzano. 

Il Maestro di Muyemba si distingue per aver realizzato una scultura con testa molto espressiva e un corpo ben proporzionato con grandi piedi.


Maestro di Lusambo, gruppo di “nkishi” (fine XIX - inizio XX secolo). I “nkishi”, parola traducibile come “figura magico-protettiva”, erano ciò che un tempo venivano chiamati “feticci” e oggi, in modo più appropriato, “figure di potere” o “effigi cultuali”.


Maestro di Lubao e la sua bottega, gruppo di “nkishi”. Le figure col lungo collo ad anelli riprendono elementi dei songye orientali e dei confinanti Hemba.


TESTE ARROTONDATE, LABBRA SENSUALI, TESTE SFERICHE PUNTEGGIATE DA CHIODI

Tre “figure di potere”: quella a sinistra è riconducibile alla bottega del Maestro di Lubao; la centrale è tipica degli stili della regione centro-nord orientale; quella a destra proviene dalla bottega del Maestro di Lusangay.


A sinistra: “nkishi” comunitario collocato su sedia e dietro, in piedi, un sacerdote-indovino. Fotografia scattata da di W. F. Burton nel territorio songye, verso il 1932, Tervuren (Belgio), Archives Africa Museum.
A destra, scuola di Giotto, particolare di un frammento di affresco (1332 circa) della Cappella palatina del Maschio angioino di Napoli.

Il Maestro di Lubao si segnala, invece, per figure con teste arrotondate, con labbra sensuali e con occhi quasi sempre chiusi. I suoi personaggi hanno gambe corte e possenti che sostengono busti lunghi e slanciati con braccia poco significative. 

Il Maestro di Lusangay preferisce scolpire personaggi dalle teste quasi sferiche con volti punteggiati da chiodi e con bocche aperte a forma di un otto orizzontale. È uno dei più prolifici artisti, dato che a lui sono attribuite dodici sculture, sette delle quali in mostra. 

Il Maestro di Lusambo ha realizzato alcune delle più belle sculture dei songye, che emergono per essere perfettamente rifinite e con teste grosso modo espressionistiche. 

Il Maestro di Plasmans si caratterizza per figure molto armoniose con tagli netti, che formano un susseguirsi di spigoli che rappresentano quasi la “firma” delle sue opere. 

Parallelamente, sono stati messi in evidenza anche gli stili delle diverse aree geografiche in cui vivono i songye. 

Naturalmente, alcuni degli artisti citati e dei rispettivi stili erano già stati individuati prima della mostra di Napoli, tuttavia è importante sottolineare che una sistematizzazione così puntuale su questi maestri non era mai stata fatta in passato e che non era mai stato possibile vederli tutti insieme. 

Il percorso espositivo comincia nella navata centrale della Cappella palatina con una scultura esposta ad Anversa nel 1937 nella prima grande mostra sulle culture del Congo. Quindi prosegue con alcune opere di particolare importanza, e in alcuni casi di grandi dimensioni, che erano collocate originariamente nelle costruzioni loro riservate al centro dei diversi villaggi. 

Lungo le pareti laterali della Cappella palatina, invece, le opere sono disposte in “ordine geografico” come se si percorresse la regione dei Songye in senso grosso modo antiorario: dal Sud-Est al Sud passando per il Nord-Est, il Nord-Ovest ecc. In questo modo i visitatori possono osservare dove vivevano i maestri e gli stili che hanno caratterizzato il loro territorio. 

Il catalogo della mostra contiene i saggi di Bernard de Grunne, François Neyt, Constantine Petridis e Gigi Pezzoli, che prendono in esame i dati etnografici ed etnostorici sui songye e gli studi sulla loro arte. 

I testi degli studiosi sono introdotti da due brevi note di Roberto Tottoli, rettore dell’Università degli studi di Napoli L’Orientale, e di Paolo Giulierini, direttore del MANN, che ci ha dichiarato in esclusiva: «In realtà il rapporto tra il MANN e l’Africa è molto antico, perché il nostro museo ospita una rassegna spettacolare di vasi greci e di mosaici e affreschi di Pompei che ci offrono uno spaccato di come i popoli del Mediterraneo del Nord vedevano il continente africano: o identificandolo di solito con l’Egitto oppure trasformandolo nel regno dell’esotico e del fantastico, popolato da pigmei e creature sconosciute. E credo che proprio da qui si deve partire per comprendere il lungo e difficile viaggio degli antropologi che hanno restituito il valore profondo e originale di queste culture».


Maestro di Muyemba, “nkishi”, particolare. L'opera riprende stili della regione sud-occidentale dei songye.

Un “nkishi” storico, già esposto ad Anversa nel 1937.


Maestro di Lusangay, “nkishi”.

Sacri spiriti. I songye nella Cappella palatina

a cura di Bernand de Grunne e Gigi Pezzoli
Napoli, Cappella palatina del Maschio angioino, orario 10-17,
chiuso la domenica
e MANN - Museo archeologico nazionale di Napoli, orario 9-19.30,
chiuso il martedì
fino al 15 gennaio 2023
catalogo Silvana Editoriale

ART E DOSSIER N. 404
ART E DOSSIER N. 404
DICEMBRE 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: Crivelli, una rivelazione di Federico D. Giannini; BLOW UP: Avedon - di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Olafur Eliasson a Firenze - Ognuno vede a modo suo di Lauretta Colonnelli; 2 - Freud a Londra - Quel senso di tragicità a fior di pelle di Valeria Caldelli; ....