La pagina nera

QUESTO ANTICO MANICOMIO
NON È DEGNO DELL’ENCOMIO

Fabio Isman

Sembra che il destino degli ex ospedali psichiatrici sia tristemente condiviso. Abbandonati, inutilizzati, in totale sfacelo. Ad Aversa (Caserta), uno dei più remoti nel nostro paese, fondato nel 1813 nel duecentesco convento della Maddalena dei frati minori, ci “regala” uno spettacolo raccapricciante. E il suo archivio, come quello del primo manicomio criminale istituito nella stessa città nel 1876 e rimasto attivo fino al 2015, è ancora nell’oblio.

L’ormai ex ospedale psichiatrico di Aversa, in provincia di Caserta, secondo qualcuno è il più antico nella penisola; ma forse, è soltanto uno tra i primissimi a sorgere. Lo fonda nel 1813 Gioacchino Murat, e dapprima si chiamava “Pazzeria degli incurabili”, poi “Reale casa dei matti”; soltanto dopo, manicomio, od ospedale psichiatrico. È nel convento della Maddalena dei frati minori, del 1269, dove, in passato, sono stati curati anche i lebbrosi; ha un chiostro del 1340, e fino all’Ottocento vi sono vissuti i francescani; in tutto, sono centosettantasettemila metri quadrati. Ma dal 1999 è chiuso e abbandonato; sta andando completamente in rovina, e non se ne immagina ancora un futuro: un tesoro che rischia di finire in malora come, peraltro, anche parecchi altri suoi confratelli sparsi per l’Italia intera. 

Quello di Aversa non è forse il primo istituto del genere nel nostro paese: preceduto, nel XV secolo, da quello di Prato; nel 1550, dal Santa Maria della Pietà di Roma; da quelli di Torino, del 1728, e di Lucca, di quasi mezzo secolo dopo; e forse, da qualcun altro. Ma è certamente tra i più remoti. Prima, nel regno di Napoli esisteva una sezione all’Ospedale degli incurabili del capoluogo, già dal 1519, la “Pazzeria”. Poi, per gli uomini sorge Aversa, con altri due complessi dedicati alle donne: viene scelta questa città perché a metà strada tra Napoli e Caserta. Primo direttore ne è un teologo, l’abate Giovanni Maria Linguiti: le sue teorie e le pratiche sono descritte come molto moderne e avanzate; perfino grate di legno alle finestre, invece di inferriate; davanzali con finte fioriere; grandi spazi per il tempo libero e addirittura un teatro. Ma Linguiti è sostituito da un altro prete, che di tutto ciò non sapeva nulla. 

Lasciamo perdere, tuttavia, la storia del complesso, defunto dopo alcuni anni dalla legge Basaglia (1978), nel 1999. Ma oltre un ventennio più tardi, l’abbandono è totale e completo. Le foto aeree mostrano i tetti sfondati della chiesa e del chiostro; le suppellettili all’interno, sono state tutte devastate e rubate; i vandali l’hanno fatta da padroni; le erbacce si impadroniscono dei padiglioni dei “matti” e delle facciate, dei corridoi e dei porticati; gli ambienti sono sfigurati e spesso pericolanti; le pareti, tutte scrostate. Entrarci, non è difficile: e i writers hanno trasformato il luogo in palestra. Ogni tanto, anche dei senzatetto ne occupano qualche parte: lo si vede dai rifiuti, e talora anche dai panni stesi. Diverse porzioni dell’edificio sono murate e non mancano tracce di crolli. Degli scaloni monumentali, restano pochi segni e i ricordi. Si prova un’immensa angoscia a vedere questo gigante, trascurato e morente. 

Ma, evidentemente, Aversa era un centro della “manicomialità”: all’istituto di Santa Maria Maddalena, dal 1876 si è affiancata anche una sezione, nelle carceri, per i “criminali maniaci”, divenuta il primo manicomio criminale in Italia. Era intitiolato a Filippo Saporito, ed è durato fino al 2015. Poi, è tornato a essere casa di reclusione. È divenuto famoso anche perché Nicola Graziano, giudice del tribunale di Napoli, vi si è fatto rinchiudere per tre giorni nel 2014 («volevo vedere che cosa c’era oltre quel muro»), e ne ha tratto un libro, Matricola zero zero uno (edito da Giapeto), con le immagini abbastanza sconvolgenti di Nicola Baldieri. 

Graziano ammette di non aver visto «in quei giorni alcuna contenzione», e che «non vi si usava l’elettrochoc»; però, racconta tutta la devastazione dei centocinquanta ospiti del luogo; a carico del personale, nel tempo, vi sono stati anche alcuni procedimenti giudiziari. «Adesso, una buona metà dei miei “compagni di viaggio” vivono nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza: non più reclusi», dice Graziano; «e degli altri, molti sono finiti in case famiglia». 

Ma, giustamente, il magistrato solleva un altro problema: «L’ex ospedale psichiatrico e il manicomio criminale tenevano degli archivi. Non devono andare dispersi. Anzi, andrebbero valorizzati, per le mille storie umane che contengono, e raccontano. Per quest’attività di indagine, però, mancano i fondi». La ricostruzione del passato attraverso il recupero degli archivi è stata poco realizzata: per esempio, per la ex colonia penale del Tramariglio, a nord di Alghero, grazie a Vittorio Gazale quando dirigeva il parco di Porto Conte (che ingloba l’ex penitenziario(*). Oggi, a capo del parco nazionale e dell’area marina protetta dell’Asinara, Gazale ha ripreso lì la sua più che lodevole attività, in quello che a lungo è stato anche un carcere speciale. 

Però è vero che nemmeno Aversa deve essere dimenticata. In città, esiste il Centro ricerche e studi sulla psichiatria e le scienze sociali, intitolato alle “Reali case dei matti”, che conserva un archivio di settantamila faldoni e trentaduemila cartelle cliniche; ha già pubblicato alcuni libri, per merito di Candida Carrino, che oggi dirige l’Archivio di Stato di Napoli. 

Ma resta aperto il discorso sul futuro dell’istituto assolutamente in rovina che era nel convento della Maddalena. Si parla di fondarvi un “museo dei matti e della medicina”, che esponga anche parte delle cartelle cliniche di quanti vi erano ricoverati. Ma, per ora, è soltanto un’idea. Intanto, dal libro del giudice Graziano è derivato anche un dramma teatrale; pochi mesi fa è tornato in scena. Chissà che non serva, pure lui, a tenere alta l’attenzione sui manicomi di Aversa, poco indagati e troppo dimenticati.


Diverse porzioni dell’ex ospedale psichiatrico sono murate e non mancano tracce di crolli.
Si prova un’immensa angoscia a vedere questo gigante, trascurato e morente 



L’area delle vasche da bagno, fotografata qualche anno fa e ora distrutta, dell’ex ospedale psichiatrico di Aversa (Caserta), fondato nel 1813 da Gioacchino Murat nello storico convento di Santa Maria Maddalena dei frati minori del 1269 e chiuso e abbandonato dal 1999.


Veduta aerea che mostra l’area dell’ex ospedale psichiatrico di Aversa: chiesa, chiostro e altro con i tetti sfondati.


La facciata del corpo centrale dell’edificio, visibilmente scrostata.


L’interno fatiscente di una camerata colma di rifiuti, preda dei writers e dei senzatetto.


Nicola Graziano, giudice del tribunale di Napoli, quando, per conoscerne la realtà, nel 2014 si è fatto rinchiudere per tre giorni all’interno dell’ospedale giudiziario Filippo Saporito di Aversa, primo in Italia, fondato nel 1876 e tornato a essere casa di reclusione dal 2016.

ART E DOSSIER N. 404
ART E DOSSIER N. 404
DICEMBRE 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: Crivelli, una rivelazione di Federico D. Giannini; BLOW UP: Avedon - di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Olafur Eliasson a Firenze - Ognuno vede a modo suo di Lauretta Colonnelli; 2 - Freud a Londra - Quel senso di tragicità a fior di pelle di Valeria Caldelli; ....