Outsiders

LA DONNA PIÙ BELLA
DEL MESSICO

Alfredo Accatino

Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla scoperta di grandi artisti, opere e storie spesso dimenticate: Carmen Mondragón (Nahui Olin)

Carmen Mondragón è stata definita, non a torto, la donna più bella del Messico. Nuda, orgogliosa di mostrarsi, come voleva, ma solo quando voleva e se voleva. 

Pittrice, poetessa, pianista e modella, sogno erotico degli artisti della sua generazione, sicuramente una delle donne più scandalose del proprio tempo. Un volto moderno, a noi contemporaneo, sfrontato, che ricorda quello di una giovane Valeria Golino, occhi «verdi e viola con riflessi dorati, unici al mondo» (così mi sembrano), una voce che mi piace immaginare roca. Con una fisicità che rimane modernissima attraverso i decenni, che solo poche donne, come Louise Brooks, possono vantare. Lo capisce il fotografo americano Edward Weston che all’inizio degli anni Venti la trasforma in icona, facendola passare nei suoi ritratti da Giovanna d’Arco a puttana, da seduttrice a vittima. È Tina Modotti, la sua compagna, che gliel’ha presentata, avendone colto la capacità magnetica dello sguardo e del corpo. 

Lo scrittore Pino Cacucci, che molto della sua opera ha dedicato al Messico, la descrive così nel romanzo Nahui a lei ispirato, negli anni Settanta anziana e disperata: «Cammina a passi lenti lungo l’avenida Madero, lo sguardo smarrito nel cielo e il portamento altero, quasi sfidasse la curiosità dei passanti e le risate dei ragazzini che la indicano irriverenti. L’aria svagata, la noncuranza che si impone per difesa, contrastano con la fierezza dell’incedere e la bizzarra ricercatezza del vestire: il vezzo del fiore infilato nella scollatura generosa, i capelli costretti a furia di sforbiciate a seguire una moda dimenticata, ogni dettaglio del suo aspetto la rende ancora più grottesca agli occhi degli sconosciuti che notano i colori sgargianti, la povertà delle stoffe, il taglio antiquato e la consunzione che sta per ridurre i suoi vestiti in stracci». 

Carmen trascorre gli ultimi trent’anni in un esilio volontario nel nulla, svendendo per strada le sue foto nude, in modo poco consono al suo passato glorioso e al suo status di figlia del generale Manuel Mondragón, l’uomo che nel 1913 aveva ordito il colpo di stato che vide la caduta della presidenza Madero e l’instaurarsi della dittatura di Victoriano Huerta, cambiando la storia del Messico. 

Carmen Mondragón nasce a Tacubaya, l’8 luglio del 1893. Riceve un’educazione di livello, e tra il 1897 e il 1905 va a vivere in Francia, quindi in Spagna, dove il padre, grande esperto di artiglieria e di armi leggere, opera come consulente. 

Tornati in Messico, Carmen incontra a un ballo il cadetto Manuel Rodríguez Lozano, che sarebbe diventato in seguito un apprezzato pittore e che, forzata dal padre (ma sarà l’ultima cosa che si lascia imporre), sposa ventenne nel 1913. 

Il generale Mondragón, dopo eventi politici divenuti noti come la Decade tragica, successivi al golpe, viene mandato in esilio in Belgio. Carmen decide di non seguirlo e va a vivere con il marito a Parigi, dove entrambi si dedicano alla pittura. Lei ha uno stile che inizia a prendere solo adesso forma, che avrà negli autoritratti l’elemento autoreferenziale, gli occhi grandi come segno distintivo. È una apprendista, ma vive a stretto contatto con Pablo Picasso e Henri Matisse. In seguito, si trasferisce a San Sebastián, in Spagna, dove il fratello Manuel ha aperto uno studio fotografico. Qui si dedica al pianoforte e si compie la fine del suo matrimonio. Lui è omosessuale, lei lo aveva sempre saputo e anche per questo aveva cercato di opporsi alla volontà della famiglia. Aleggia nella loro vita anche la morte di un bambino appena nato, forse caduto durante un litigio. Addirittura, lui accusa la moglie di averlo soffocato, anche se oggi si mette addirittura in dubbio che questo bambino sia mai esistito. Fatto sta che, dopo la separazione dal marito nel 1921, Carmen torna in Messico. Si iscrive alla prestigiosa scuola d’arte della Real Academia de Bellas Artes de San Carlos e quando Diego Rivera fonda il sindacato artisti e artigiani Obreros Técnicos, Pintores, Escultores y Similares, sarà una delle due sole donne presenti. 

Inizia quindi una tormentata relazione con il vulcanologo e pittore Gerardo Murillo, in arte Dr. Atl, amico personale di Zapata, che perde la testa per lei nonostante sia la figlia del suo peggior nemico. Una convivenza appassionata, instabile, vissuta nell’ex convento de la Mercede, un monastero abbandonato di epoca coloniale dove vivono e dove se le danno di santa ragione. È lui che la battezza con il nome azteco Nahui Olin che significa “quattro movimenti del sole”, che da quel momento adotterà come proprio nome, non rispondendo più a chi la chiama Carmen. 

In questo periodo Nahui si concentra su uno stile pittorico basato su ampie pennellate, colori saturi, con un notevole senso del movimento e della sensualità. I suoi dipinti sono spesso definiti naïf, ma la storica dell’arte Mariana Rubio rifiuta una lettura semplicistica, indicando nel suo stile la volontà di affrontare con toni immediati temi come relatività, elettricità, ottica e atmosfera. Sono tuttavia le foto scattate in Messico tra il 1923 e il 1927 da Edward Weston e i nudi di Antonio Garduño che le danno la celebrità e la conducono a diventare protagonista di queste pagine. Destano scalpore, tanto che molti artisti le chiedono di fare da modella, e Diego Rivera, che la immortala in un murale, per cercare di provare a ricreare il colore dei suoi occhi utilizza scaglie d’oro zecchino.


Edward Weston, Nahui Olin (1923), dalla serie Heroic Heads.


Edward Weston, Nahui Olin (1920 circa). La posa ricorda Madonna negli scatti realizzati da Steven Meisel nel 1990.


Nahui Olin (senza data), ritratto realizzato dal suo compagno Dr. Atl (Gerald Murillo).


Nahui Olin, Nahui e Lizardo di fronte alla baia di Acapulco (1921), particolare, Città del Messico, Museo Nacional de Arte.

La sua fama supera i confini messicani, nel 1927 le arriva persino la richiesta di un provino a Hollywood dove, tanto per cambiare, appena accede agli studi della MGM la fotografano nuda. Nahui accetta, ma si sente sfruttata. 

Delusa, torna in Messico, considerando l’esperienza una mercificazione del suo essere donna: «Hollywood es una mierda», dichiara. Trasferitasi a Veracruz, conosce il capitano di lungo corso Eugenio Agacino y Martínez, va a vivere con lui e realizza le sue opere migliori. Lui è un tipo tutto di un pezzo, che comanda transatlantici e scrive libri di tecnica navale. Quando nel 1934 muore in navigazione per una partita di ostriche andate a male, Nauhi sprofonda in una depressione senza ritorno. 

Si racconta anche - non so quanto sia leggenda - che rifiuti la realtà, passando la giornata a spiare il mare, sperando che l’amato ritorni. 

Riportata a Città del Messico da amici pietosi, va a vivere nel quartiere Tacubaya, in una porzione residua della casa di famiglia, dove trascorre i suoi ultimi anni in povertà fino alla morte, avvenuta nel gennaio del 1978. 

E sta di nuovo con noi, oggi, perché la sua immagine è diventata un mito. E i miti non possono morire. 

Un messaggio nella bottiglia lanciato nel mare, destinato a ognuno di noi. 

Io l’ho trovato, e l’ho aperto e mi sono riempito gli occhi di pagliuzze d’oro.


«Una donna è in una stanza, vestita. Occupa oggettivamente uno spazio limitato. Nuda è un mondo» (Massimo Fini)


Antonio Garduño, Nahui Olin (1924).

ART E DOSSIER N. 404
ART E DOSSIER N. 404
DICEMBRE 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: Crivelli, una rivelazione di Federico D. Giannini; BLOW UP: Avedon - di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Olafur Eliasson a Firenze - Ognuno vede a modo suo di Lauretta Colonnelli; 2 - Freud a Londra - Quel senso di tragicità a fior di pelle di Valeria Caldelli; ....