Blow up 

AVEDON

Giovanna Ferri

Appartenente a una famiglia di immigrati russi di origine ebraica, Richard Avedon nasce a New York nel 1923. Il suo approccio alla fotografia inizia all’età di dodici anni quando aderisce alla Young Men’s Hebrew Association (YMHA) Camera Club. Studia presso la DeWitt Clinton High School nel Bronx, dove dirige insieme allo scrittore James Baldwin la rivista letteraria scolastica “The Magpie”. Al termine dell’istruzione superiore, si iscrive alla facoltà di Filosofia della Columbia University. Nel 1942, però, abbandona il corso universitario per arruolarsi nella marina militare, dove presta servizio fino al 1944. Durante questa esperienza riceve l’incarico di realizzare i ritratti dei documenti di identità dei suoi commilitoni. Scatti semplici che rappresentano, tuttavia, un punto di partenza per l’ingresso “ufficiale” del giovane americano nel mondo della fotografia. Da quel momento, con la sua Rolleiflex, la pratica, o meglio la “disciplina” delle immagini diventa per lui irrinunciabile e insostituibile. Una “compagna” costante anche nel tempo libero, della quale non potrà più fare a meno. 

Dopo il secondo conflitto mondiale, Avedon, tornato a New York, frequenta un corso di laboratorio di design presso la New School for Social Research. Tra i suoi insegnanti c’è Aleksej Česlavovič Brodovič, storico art director di “Harper’s Bazaar” (dal 1934 al 1958), il quale, osservando alcune fotografie scattate dal promettente allievo nel periodo trascorso in marina, coglie senza esitazione le sue abilità. Tra tutte, il suo riuscire a far emergere nei soggetti immortalati i segni meno evidenti ma fortemente caratterizzanti dei loro volti. Un riconoscimento netto da parte di Brodovič, precursore della moderna editoria, capace di mettere in discussione la grafica di un layout rigido e “ordinato” a favore di scelte ardite e di un’impaginazione diretta a creare dialogo, movimento e contaminazione tra illustrazioni e testi. Quale migliore “critico” per Avedon? Da quell’incontro e da quell’autorevole apprezzamento si avvia il suo percorso professionale, scandito da collaborazioni prestigiose con riviste di moda, costume e società, arte come - oltre alla stessa “Harper’s Bazaar” - “Vogue”, “Life”, “Look”, “Theatre Arts” e “Graphis”. 

Conoscere l’universo del suo patrimonio visivo è ora in parte possibile grazie alla mostra Richard Avedon: Relationships, in corso al Palazzo reale di Milano (fino al 29 gennaio 2023, www.avedonmilano.it), a cura di Rebecca Senf. Qui, con centosei immagini selezionate dall’ampia raccolta del Center for Creative Photography (CCP) dell’University of Arizona a Tucson, abbiamo la possibilità di testare il suo stile: unico, inconfondibile, visionario. Di afferrare la sua prassi e i suoi pattern compositivi. E poi, di “entrare” nella rete delle sue relazioni create durante una carriera durata sessant’anni. Attori, musicisti, registi, ballerini, scrittori, modelle, politici, pittori, scultori acquisiscono davanti alla sua fotocamera, perlopiù di grande formato, la bellezza della soggettività dell’istante, di un’emozione scolpita sul viso o attraverso un gesto, manifesto o involontario. 

Teatrali, cinematografiche le fotografie di moda datate prima del 1960: quadri narrativi dove il contesto è funzionale alla creazione una storia attorno al personaggio principale o all’elemento in primo piano. Lo osserviamo, per esempio, in Scarpa di Perugia, Place du Trocadéro, Parigi, agosto 1948: l’accessorio, con la parte alta rivestita di pelliccia, occupa una porzione importante dell’immagine contraddistinta da un’atmosfera rarefatta e spettrale con la Tour Eiffel, piccola, sul fondo, e “figuranti” che sembrano fantasmi e che, con la loro presenza, danno comunque maggior risalto a quella scarpa, in primo piano. 

Essenziali, decontestualizzate, con scenografie neutre, le fotografie di moda successive al 1960. Il focus in questo caso è sulla modella e sull’abito che indossa, sulla fluidità e dinamicità del tessuto, sulla sua trasparenza, sulla sua consistenza, sulla posa della protagonista, sulla sua mobilità (Jean Shrimpton, abito da sera di Cardin, Parigi, gennaio 1970). 

Ma oltre la moda, ci colpiscono i ritratti: sfondo bianco, attenzione ai dettagli, inquadratura stretta sulla figura, senso di intimità. Emblematiche le fotografie dedicate all’amico e collaboratore Truman Capote, oggetto a più riprese dell’attenzione di Avedon. Nel 1955, svestito, a mezzo busto, occhi chiusi, capo reclinato da un lato, lo scrittore statunitense, trentunenne, si mostra in tutta la sua delicata e morbida sensualità, in tutta la sua attaccabile vulnerabilità; nel 1974, a cinquant’anni, lo spazio dell’immagine è riempito esclusivamente dal suo volto, maturo, segnato dal tempo, con lo sguardo disincantato che pare immerso in un mare di pensieri. 

Ritratti - anche di persone non famose come quelli realizzati per il progetto In the American West - attraverso i quali Avedon (morto nel 2004 all’età di ottantun anni) ha raccontato, probabilmente, come leggiamo nel catalogo della mostra, qualcosa di sé.


Scarpa di Perugia, Place du Trocadéro, Parigi, agosto 1948, Tucson, University of Arizona, Center for Creative Photography (CCP), come le altre fotografie qui pubblicate.


Jean Shrimpton, abito da sera di Cardin, Parigi, gennaio 1970;


Truman Capote, scrittore, New York, 10 ottobre, 1955.

ART E DOSSIER N. 404
ART E DOSSIER N. 404
DICEMBRE 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE: Crivelli, una rivelazione di Federico D. Giannini; BLOW UP: Avedon - di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - Olafur Eliasson a Firenze - Ognuno vede a modo suo di Lauretta Colonnelli; 2 - Freud a Londra - Quel senso di tragicità a fior di pelle di Valeria Caldelli; ....