LA PITTURA DI PAESAGGIO
NEL SEICENTO

«Ecco un uomo che pensava e sentiva il bello, e nella cui mente esisteva un mondo che non trovava parallelo all’esterno. Le sue immagini sono reali senza che vi sia una traccia di verismo. Claude conosceva le forme del mondo intimamente, fin nei minimi particolari, ma usò questa conoscenza solo come strumento per esprimere la bellezza del suo animo». Così scriveva Goethe all’amico Eckermann nel 1829 a proposito di Claude Lorrain. 

Per capire l’arte del maestro francese, bisogna avere presente quella che fu all’inizio del Seicento la grande rivoluzione nella pittura di paesaggio, già presente sin dal Cinquecento con i fiamminghi e con i maestri del Rinascimento italiano. Ma all’inizio del Seicento la natura attrae i pittori in modo diverso, nella sua realtà viva, come succederà nell’Ottocento. La campagna romana con i suoi prati dagli alberi secolari, case diroccate, dirupi, vecchi castelli, torrenti, esercita un fascino straordinario sulle decine di artisti italiani e stranieri che inondano l’Urbe. Come Caravaggio ritrae i ragazzi di strada con le loro unghie nere, o i frutti bacati, così altri pittori si innamorano di alberi e fronde, laghi e specchi d’acqua, marine e porti, facendone soggetti autonomi. 

Roma diventa il centro di una “scuola internazionale” di paesaggio, con propri ideali estetici e schemi formali che dureranno sino al tardo Settecento. La rottura con il passato manieristico avviene con l’incrocio tra la tradizione nordica, veneziana e romana. Ciò che interessa agli artisti di primo Seicento è la percezione sensibile del reale, di cui erano abili maestri i fiamminghi, ma anche i veneti. Così, se i maestri nordici portano in Italia, a Roma, questa loro caratteristica, a loro volta non possono fare a meno di assorbire la tradizione italiana, la “grande maniera”, compresi classicismo e mitologia. Il loro gusto per il freddo, l’inverno e le foreste si intreccia con il desiderio del sole mediterraneo. Le loro idee calviniste si accompagnano all’antipatia per Chiesa e accademie, ma si nutrono del fascino dell’antichità. I Bentvueghels, per esempio, straordinari pittori nordici, riuniti tra il Pincio e piazza di Spagna, dipingono con libertà scene di iniziazione, rituali bacchici, ma sono rispettosi e innamorati della latinità.


Capriccio con rovine del Foro romano 1630-1635), particolare; Springfield, Museum of Fine Arts.


Adam Elsheimer, La fuga in Egitto (1609); Monaco, Alte Pinakothek.

Da queste mescolanze nasce una nuova pittura di paesaggio attenta alla natura, ai mutamenti delle stagioni, del giorno, della notte, dell’atmosfera, che tende ad arricchirsi di contenuti classici attraverso passaggi graduali e a differenziarsi con originalità secondo la cultura e il carattere degli artisti. Adam Elsheimer scopre la notte stellata, Claude Lorrain la luce del sole. Si tratta di una visione del mondo moderna, su cui influiscono le scoperte della scienza e la letteratura con l’Aminta e la Gerusalemme liberata di Tasso, il Pastor fido di Guarini. Ci vorranno ancora un paio di secoli per arrivare al paesaggio puro degli impressionisti. Ma il primo passo è fatto. 

All’inizio del Seicento i pittori scelgono temi sacri o biblici che consentano scene all’aperto, come la Fuga o il Riposo durante la fuga in Egitto, Agar e l’angelo, Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia. Oppure scene di caccia o legate al mito e alla letteratura. Vanno alla grande i paesaggi idilliaci legati alla tradizione di Ovidio e Virgilio, la cosiddetta Arcadia, regno utopistico di perfetta bellezza e felicità, rievocate con nostalgia. È il clima che si respira in molti dipinti di Lorrain e di Nicolas Poussin. I loro soggetti si ispirano a testi letterari, come le Bucoliche di Virgilio o le Metamorfosi di Ovidio, in cui in mezzo a selve lussureggianti dialogano e suonano i pastori con le loro capre. 

Si tratta in ogni caso di un repertorio antico, mitologico, che incanta in modo particolare i pittori nordici, come Adam Elsheimer, Paul Bril, o di tendenze diverse come i Carracci. Un repertorio colto, intriso di simbolismo, in cui sotto ogni personaggio mitologico si celano richiami alla natura e ai suoi fenomeni: Mercurio è il mattino, Io è la luna, Argo la notte stellata o il Sole che guida al pascolo le vacche celesti. Allusioni sottili che tendono a nobilitare e ad animare la realtà sensibile con contenuti storici. Le scene bucoliche, trasferite sul mare e sulla costa, diventano marine e i pastori si trasformano in pescatori. 

A emergere nelle scene di mare sono soprattutto Paul Bril, Agostino Tassi, Claude Lorrain. Per questi pittori la natura, vasta e grandiosa, ha un senso come teatro della storia dell’uomo, in grado di riportare all’attualità memorie sepolte come quelle raccontate dall’Eneide di Virgilio. Ma ha anche valore per se stessa, la sua bellezza e purezza. È una nuova concezione che unisce realtà naturale, mito, storia. 

Ci sono però anche pittori che non sentono la necessità di animare la natura con il mito, la storia, ma preferiscono la realtà quotidiana. Si tratta degli olandesi italianizzanti come Pieter van Laer, a Roma dal 1625 al 1639, soprannominato il Bamboccio per il suo aspetto. Questo curioso e intelligente innovatore dipingeva l’esistenza dei poveri, gli incontri di venditori e poveracci agli angoli di strada, le taverne, le campagne battute da viandanti e miserabili, e ancora bellissime case diroccate. 

Intanto nascevano trattati sul paesaggio come categoria autonoma. Nel 1604 è pubblicato ad Haarlem lo Schilderboek in olandese del pittore fiammingo Karel van Mander, con alcuni capitoli dedicati al paesaggio. Il fiammingo basava le proprie teorie sulla paesistica di Pieter Bruegel il Vecchio e di Gillis van Coninxloo, ponendo la pittura di paesaggio dopo la pittura di storia e prima della natura morta e altri generi. Creava così una scala di valutazione con riflessi mercantili. Altro teorico fu monsignor Giovan Battista Agucchi, scrittore e diplomatico pontificio, che aveva conosciuto Torquato Tasso e sosteneva l’ideale letterario dell’Arcadia anticipando le teorie classiciste di Giovan Pietro Bellori. Con Giulio Mancini, medico, collezionista d’arte e scrittore, si distinguevano tre tipi di paesaggio: «semplice» (cioè spoglio di tutto), «arboreo» (con vegetazione) e «perfetto» (con vegetali ed esseri animati). 

Quindi, nei primi decenni del Seicento, quando Claude Lorrain inizia la sua attività, il paesaggio «perfetto» è concepito con figure, motivi storici, mitologici, azioni. Inoltre, deve essere giocondo e vario, con in primo piano uomini, animali, alberi, in secondo città, montagne, laghi, e nello sfondo le cose lontane. A dispetto della sua libertà, il “paesaggio” era pieno di regole, regoline e indicazioni.


Nicolas Poussin, Paesaggio con uomo che beve (1637); Londra, National Gallery.


Nicolas Poussin, Paesaggio con tempo calmo (1651); Los Angeles, Getty Center.


Paul Bril, Veduta marina (1611); Milano, Pinacoteca ambrosiana.

Lorrain
Lorrain
Maurizia Tazartes
Claude Gellée (Chamagne 1600 circa - Roma 1682) era lorenese, da cui il nomecon cui era noto: Claude Lorrain o anche il Lorenese. Con il suo connazionalePoussin è uno dei molti pittori francesi (e non solo francesi) che nei primi decennidel Seicento si innamorano di Roma e dell’Italia, scelgono di viverci – affascinatidall’Antico ma anche dagli sviluppi innovativi che l’arte italiana andava elaborandoin quel tempo – e contribuiscono alla formazione e diffusione del Baroccoin Europa. In realtà da ragazzo ha una formazione da pasticcere, al punto che èconsiderato uno degli inventori della sfoglia dei croissant. Il nostro prossimodossier, ovviamente, racconta e analizza il suo indiscusso talento di paesaggista,uno dei primi a stabilire un nuovo genere di grande successo: il paesaggio fantastico,combinazione di scorci dal vero, marine, rovine, grandiosi edifici di formaclassicheggiante.