LA GRANDE MANIERA

Il mondo di Lorrain è sempre più immaginario e aulico. È il mondo dell’antichità classica rievocata con nostalgia attraverso la pittura, che fa riaffiorare città lontane come Delfi, Cartagine, Delo.

Un mondo popolato di dèi ed eroi - Apollo, Mercurio, Ulisse -, di personaggi lievi e leggeri che escono dal mito per ridiventare reali. È l’universo della poesia e della bellezza, dei pastori sognanti e delle ninfe, che conquista le élites colte e la nobiltà romana ed eleva il genere paesistico a grande arte. Lorrain adesso guarda in grande, non solo a quei geniali paesisti nordici, che riuscivano a far brillare e fremere ogni foglia d’albero, ma a pittori “di storia”, come Domenichino e Annibale Carracci. Ad attrarlo è una maniera nobile e classica con cui continuare a dipingere scene pastorali, mitologiche, bibliche. Scrive Luigi Salerno: «Claude attua, in un certo senso, quella stessa operazione di riscatto della pittura di paesaggio, considerata genere inferiore, che verrà operata da Nicola Poussin, perché per lui la natura può nobilitarsi assumendo valore ideale, facendosi scenario della storia e della mitologia». I paesaggi di Annibale Carracci, ripresi dalla natura, erano intrisi di letteratura, di motivi della Gerusalemme liberata, secondo le teorie di Giovan Battista Agucchi. 

Su quella strada Lorrain c’era già da tempo, ma adesso amplia i suoi formati, li rende più severi e importanti. 

Il Paesaggio con l’adorazione del vitello d’oro (Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle), eseguito nel 1653 per il gentiluomo romano e collezionista Carlo Cardelli (1626- 1662), tratta in un’elaborazione complessa e un vasto scenario il tema biblico dell’adorazione del vitello d’oro. Il soggetto, allora comune, tratto dall’Esodo, rappresenta la folla di ebrei che balla e inneggia all’idolo d’oro fabbricato per loro da Aronne durante l’assenza di Mosè salito al monte Sinai. La natura è sempre dominante, le figure assumono maggiore importanza, ma protagonista rimane il paesaggio studiato attraverso molti disegni preparatori e un sofisticato dosaggio della luce. 

Il pendant, Paesaggio con Giacobbe, Labano e le figlie del 1654 (Petworth House, Sussex, National Trust), affronta un tema della Genesi (29, 15-17), la storia di Giacobbe e delle figlie dello zio Labano avute in moglie dopo quattordici anni di lavoro per lui. Anche in questo caso la storia è l’occasione per raffigurare un grande panorama naturale, che influenzerà Turner nel suo Apuleio in cerca di Apuleia (Londra, Tate Gallery). 

Nel 1655 Lorrain esegue due paesaggi a pendant per il cardinale Fabio Chigi, proprio nell’anno della sua elezione a pontefice con il nome di Alessandro VII, la Marina con combattimento su un ponte, forse la battaglia di Costantino e Massenzio, e la Marina con ratto di Europa, entrambi al Museo Puškin di Mosca. Un lavoro di prestigio, affidatogli da un importante mecenate. Nel secondo dipinto, firmato e datato a destra in basso, spicca la figura di Europa che si dirige verso il mare sul dorso del toro (Giove), guidata dalle ancelle. Altre fanciulle a sinistra intrecciano fiori e creano ghirlande, mentre a destra i pastori pascolano il gregge. Sullo sfondo, il mare con i suoi vascelli. Il soggetto, su cui il pittore torna più volte, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, è inserito in un paesaggio naturale di grande impatto e dal forte sapore letterario.


Paesaggio con l’adorazione del vitello d’oro (1653), particolare; Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle.


Paesaggio con l’adorazione del vitello d’oro (1653), intero; Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle.


Paesaggio con Giacobbe, Labano e le figlie (1654); Petworth House (Sussex), National Trust. Nel vasto paesaggio naturale, tra alberi secolari, fiume e un antico ponte si inserisce una storia sacra, che affronta il racconto di Giacobbe e delle figlie dello zio Labano avute in moglie dopo quattordici anni di lavoro per lui (Genesi, 29, 15-17). Firmato e datato 1654, il dipinto pendant dell’Adorazione del vitello d’oro, era destinato a Carlo Cardello, secondo il Liber Veritatis. La leggerezza delle sfumature tra il grigio, l’azzurro e il verde colpì William Turner.

Paesaggio con Giacobbe, Labano e le figlie, dal Liber Veritatis (1636-1682); Londra, British Museum.


Marina con il ratto di Europa (1655); Mosca, Museo Puškin.


Paesaggio con Mosè e il roveto ardente (1664); Edimburgo, Scottish National Gallery.

Le commissioni di rilievo si susseguono ininterrotte. Per François Bosquet, vescovo di Montpellier, Claude dipinge nel 1659 il Paesaggio con Ester che entra nel palazzo di Assuero, di cui oggi rimangono solo un frammento (Holkham Hall, conte di Leicester) e il disegno del Liber Veritatis. L’opera, di grandi dimensioni e con architetture monumentali, era considerata dal pittore il proprio capolavoro, come racconta Baldinucci. La poesia latina, l’Eneide, il Vecchio testamento, diventano fonti privilegiate per opere intense e originali. Emblematici il Paesaggio con Mosè e il roveto ardente del 1664 e il suo pendant del 1667 raffigurante la Marina con Ezechiele che piange sulle rovine di Tiro (o Marina con san Paolo), entrambi appartenenti oggi alla collezione del duca di Sutherland, ma eseguiti per l’abate Louis d’Anglure di Bourlemont (1627-1697), diplomatico francese a Roma, citato dal pittore come proprio benefattore nel testamento del 1663. Per lui aveva fatto cinque opere, oggi tutte identificate. 

Non sono molti gli avvenimenti di rilievo nella vita di Claude. Ma uno c’è, la nascita nell’aprile 1653 di Agnese, da «genitori sconosciuti » come recita l’atto di battesimo, ma con tutta probabilità figlia sua e di una domestica. Claude nel 1658, quasi sessantenne, l’accoglie in casa, la alleva e le destina i suoi beni, come emerge dal testamento del 28 febbraio 1663, fatto in occasione di una malattia. Insieme a lei nomina eredi i propri fratelli Denis e Melchior, i nipoti Claude e Jean, lascia prebende alla chiesa di San Nicola dei Lorenesi, suoi dipinti al cardinale Rospigliosi e all’abate Louis d’Anglure de Bourlemont. I legami con la natia Lorena sono forti, visto che il pittore nomina come testimoni gli artisti francesi Bellin di Borgogna e Dominique Barrière di Marsiglia, nonché l’architetto lorenese François du Jardin. Chiede poi di essere sepolto a Roma nella chiesa francese di Trinità dei Monti. 

Ma, a dispetto dei tristi presagi, la vita e l’attività di Claude continuano a lungo, con pressanti richieste di opere e prezzi molto elevati. Cornelis de Wael, agente a Roma del messinese Antonio Ruffo, in una lettera del 9 giugno 1663 informa il collezionista sui tempi lunghi per avere un’opera del lorenese, che chiede non meno di duecento scudi. Stessa cosa dice il pittore-mercante Abraham Brueghel, che aggiunge che le tele di Lorrain sono introvabili. 

Lorenzo Onofrio Colonna, a metà anni Sessanta, paga duecentoquaranta scudi per una coppia di dipinti con la storia di Psiche, il Paesaggio con Psiche e il palazzo d’Amore del 1664 (Londra, National Gallery) e il pendant con il Paesaggio con Psiche salvata dal suicidio (Colonia, Wallaraf-Richartz Museum) del 1665. Il primo dei due, citato da Baldinucci come un quadro bellissimo, si ispira a un episodio delle Metamorfosi (L’asino d’oro) di Apuleio. La drammatica e complicata storia viene raccontata con estrema sintesi, con la donna in solitudine fuori dal palazzo del dio Amore. Il dipinto, dal linguaggio severo, ebbe successo in Inghilterra dal Settecento col titolo Castello incantato, contribuendo a creare il mito moderno di Lorrain. Il secondo dipinto tratta con delicatezza la disperazione di Psiche. 

Lorenzo Onofrio Colonna (Palermo 1637-Roma 1689), VIII principe e duca di Paliano, dal 1687 viceré di Napoli, marito di Maria Mancini, nipote del cardinale Mazzarino, fu uno dei più importanti committenti di Lorrain. Personaggio di spicco a Roma, gli ordinò nove opere in vent’anni, eseguite tra il 1663 e il 1682 (di tre si sono trovati i pagamenti), tra cui capolavori come il Paesaggio con la ninfa Egeria che piange Numa del museo di Capodimonte di Napoli, firmato e datato 1669. La storia della ninfa Egeria, una delle Camene, è trattata nelle Metamorfosi di Ovidio. Egeria si dispera per la morte del marito Numa Pompilio, il primo leggendario re di Roma, trasformandosi in fonte per il troppo piangere. 

Il racconto è l’occasione per rappresentare un vasto ambiente boscoso e lacustre con edifici classici, che sembrerebbe riprendere il lago di Nemi con una veduta di Marino, possedimento dei Colonna. La scelta di un episodio con il re di Roma allude indirettamente alla potenza della famiglia Colonna. È il clima che troviamo anche nel Paesaggio con pastori (Fort Worth), del 1677, che si distende sullo sfondo del tempio della Sibilla a Tivoli, destinato allo stesso Colonna, in cui Lorrain riesce a creare l’atmosfera umida e serena in cui vivono i pastori con i loro animali.


Paesaggio con Psiche fuori dal palazzo di Amore (o Il castello incantato) (1664); Londra, National Gallery.


Paesaggio con la ninfa Egeria che piange Numa, (1669); Napoli, Museo e real bosco di Capodimonte. Firmato e datato 1669 il dipinto racconta la storia della ninfa Egeria trattato nelle Metamorfosi di Ovidio. La ninfa si dispera per la morte di Numa Pompilio, primo leggendario re di Roma, e per il troppo piangere si trasforma in fonte. Anche in questo caso il soggetto è l’occasione per dipingere un vasto scenario naturale. Eseguito per il principe Colonna, rimase presso la famiglia sino al 1800.


Veduta di Cartagine con Didone, Enea e il loro seguito in partenza per la caccia (1676); Amburgo, Kusthalle.


Paesaggio con pastori (1677); Fort Worth, Kimbell Art Museum.

Per il Colonna Lorrain aveva eseguito, nel 1676, un altro capolavoro, la Veduta di Cartagine con Didone, Enea e il loro seguito in partenza per la caccia (Amburgo, Kunsthalle), in cui architettura, figure e natura convivono in perfetto equilibrio. È l’apice della classicità raggiunta dal pittore nell’atmosfera di perfetta tranquillità, nelle proporzioni dei vari elementi, nel dosaggio di tinte e luci in quell’alba chiara e trasparente di sole. Anche le figure allungate sono più morbide e meglio riuscite, chiunque le abbia fatte. 

Nell’ultimo decennio sono molti i capolavori per diversi committenti che spaziavano da Roma a Parigi, da Anversa a Napoli a Vienna. Alcune lettere di Claude rivelano come i suoi clienti seguissero con attenzione l’esecuzione dei quadri e come lui avesse stretta familiarità anche con gli artisti stranieri residenti a Roma. Commissionato da Gaspare Altieri (già Albertoni), nipote acquisito di Clemente X, è il Paesaggio con lo sbarco di Enea nel Lazio, firmato e datato 1675. Destinato a sottolineare l’importante posizione raggiunta dal committente e le nobili origini, racconta l’episodio virgiliano dello sbarco di Enea a Pallanteo, città di Evandro, re degli arcadi, figlio di Mercurio e di una ninfa. Claude rende l’emozione dell’arrivo di Enea con i suoi compagni su imbarcazioni piene di guerrieri troiani, in una terra con pastori. 

Le vicende di Enea erano molto richieste e dovevano appassionare il pittore che le tratta in diversi dipinti degli anni 1670-1680 (perlomeno sei), per esempio in Marina con Enea a Delo del 1672 (Londra, National Gallery) e in Marina con Enea e la sibilla cumana del 1673 (perduto). La Marina con Enea a Delo, per «Monsieur Dupassy», è un dipinto che potremmo definire “metafisico” per quell’improbabile convivenza sulle rive del mare di edifici di epoche diverse. 

Sono rappresentati Enea e il vecchio padre Anchise che, fuggiti dalla Tracia, approdano nell’isola di Delo, accolti dal re e sacerdote Anio con la lunga veste e la corona di alloro. Il paesaggio con il suo porto naturale, la sua frescura, le capre che pascolano è il vero protagonista di un dipinto di natura assurto al livello di un quadro di storia. Lorrain riesce a dare la sensazione struggente di un antico mondo poetico perduto. 

Non mancavano tuttavia altri soggetti, paesaggi con Giacobbe che lotta con l’angelo, o con il Riposo durante la fuga in Egitto, o con temi più rari come san Filippo che battezza l’eunuco, fatti per particolari committenti. Nel 1680, per esempio, Lorrain esegue un Parnaso che doveva fare da pendant a un dipinto posseduto dal Colonna, un Giudizio di Paride, eseguito da Gaspard Dughet per il paesaggio e da Carlo Maratta per le figure (Roma, palazzo Colonna), come ci informa una lettera del 1679 dell’archivio Colonna. Il Parnaso (Boston, Museum of Fine Arts), realizzato nel 1680 dal pittore ottantenne, firmato e datato, sembra riassumere lo spirito che ha animato tutta la sua opera: la poesia antica, il mito. Una luce chiara e fredda, tipica del mattino, illumina Apollo, dio della poesia e della musica, circondato dalle nove muse, dee delle arti. In alto a destra il cavallo alato Pegaso. Firmato e datato, preparato attraverso cinque disegni, è il messaggio elegiaco che il lorenese ci ha lasciato.


Paesaggio con lo sbarco di Enea nel Lazio, dal Liber Veritatis (1636-1682); Londra, British Museum

Per il Colonna Lorrain firma l’ultima opera, rimasta sul cavalletto alla morte: il Paesaggio con Ascanio che colpisce il cervo di Silvia (Oxford, Ashmolean Museum), firmato e datato 1682, pendant della Veduta di Cartagine con Didone, Enea e il loro seguito in partenza per la caccia. Non ancora registrata sul Liber Veritatis, la tela era stata studiata attraverso molti disegni e realizzata con uno studio sofisticato delle tinte violacee e una struttura solida. Il risultato, una perfetta integrazione tra figure e paesaggio, come in un quadro di storia. 

Considerata l’intensa produzione e l’altolocata committenza, potremmo pensare che, alla fine della sua carriera, Lorrain fosse ricchissimo. Invece gli studi di Natalia Gozzano, che hanno esaminato le finanze del pittore attraverso i suoi conti nel Banco di Santo Spirito e in altre banche del tempo, parlano di una solida situazione e un guadagno di circa settecento ducati l’anno, ben inferiore a quella di artisti come Poussin, Bernini, Pietro da Cortona. Denari che il pittore destinava in gran parte a parenti. Da un codicillo del 25 giugno 1670, aggiunto al testamento, sappiamo che Claude lasciava ulteriori beni ai parenti rimasti in Lorena, che il nipote Jean viveva presso di lui e che desiderava essere ricordato, dopo la morte, con alcune messe nella chiesa di Saint Denis a Chamagne, suo paese natale. 

Da alcune lettere del 1679 e del 1681 sappiamo anche che il fratello Denis era morto in quest’ultimo anno e che il nipote Joseph, figlio del fratello Merchior, era venuto in quell’anno a vivere a Roma con lui. I due nipoti Jean e Joseph, suoi eredi insieme alla figlia Agnese, saranno anche esecutori testamentari. Claude muore a Roma il 23 novembre 1682, sepolto in Trinità dei Monti, poi traslato nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi. 

A differenza di molti compatrioti ribelli alle accademie, Lorrain fu legato all’Accademia di San Luca, dove il 1° gennaio 1669 è ricordato come «curatore dei forestieri», per gli stretti rapporti e i continui scambi con gli artisti stranieri residenti a Roma. Le poche notizie sul suo tenore di vita le conosciamo dall’Inventario dei beni redatto il 23 dicembre 1682. Viveva in una casa decorosa in affitto, cinque stanze su due piani, molte suppellettili, e aveva una collezione di centocinquanta dipinti, un clavicembalo e qualche altra cosa. Da piccolo garzone lorenese, giunto poco più che tredicenne a Roma, al più ricercato paesaggista d’Europa, la trasformazione di Lorrain era stata radicale. Il ventenne pittore della Schildersbent, come ce lo mostra Leonaert Bramer, era un tipo anticonformista, pronto alle bevute con i compaesani nordici. L’artista maturo del Ritratto del Musée des Beaux-Arts di Tours, è un uomo elegante, sobrio, severo, come Nicolas Poussin, inserito nel sistema delle grandi committenze internazionali. Un uomo che, se anche non si arricchisce come Bernini, guadagna molto grazie alla bellezza e originalità dei suoi dipinti richiesti dappertutto. Opere nuove che portavano il paesaggio al genere più alto, il dipinto di storia. Delle sue invenzioni Lorrain era gelosissimo, firmava, datava, e ridisegnava i suoi quadri, per evitare che circolassero falsi. 

I primi estimatori furono paradossalmente i tanti copisti, imitatori, incisori, falsari. Ma già nel Settecento la sua opera fu capita e ammirata. Dichiarava il pittore inglese Joshua Reynolds a fine secolo: «Claude Lorrain era convinto che raramente si giunge alla bellezza prendendo la natura così come essa si presenta. I suoi paesaggi sono la composizione di diversi schizzi eseguiti in precedenza di molti luoghi e vari punti di vista […] Non si può dubitare che la maniera in cui Claude Lorrain ha trattato il paesaggio, fatte le debite distinzioni, debba essere preferita dai pittori paesaggisti a quella olandese, poiché questa verità è fondata sullo stesso principio attraverso il quale il pittore di storia giunge alla perfezione delle forme». 

Spiega nel 1835 John Constable, che ha certamente guardato a Lorrain per i suoi paesaggi: «Con l’innesto di un certo settore dell’arte fiamminga in quella italiana, una più perfetta e meravigliosa “trascrizione” della natura fu compiuta dall’inimitabile Claude, e portò alla produzione di quelle squisite opere, assolutamente senza rivali in questo splendore che le distingue. Nelle sue marine, nei tramonti dorati, nei lidi selvaggi e romantici e nelle scene pastorali squisitamente poetiche, la luminosa bellezza realizzata dal pittore risulta espressa così chiaramente».


Il Parnaso (1680); Boston, Museum of Fine Arts. Preparato attraverso cinque disegni, il dipinto realizzato nel 1680 dal pittore ottantenne, rappresenta il suo messaggio ai posteri: il valore della bellezza, della poesia, del mito e della storia. Il Dio Apollo, circondato dalle nove Muse vive la sua eternità in un bosco idealizzato tra colline, declivi, laghetti con oche, il suo tempio, il cavallo Pegaso. Un sogno, una visione destinata ad uno dei suoi maggiori committenti, il principe Colonna, presso cui l’opera rimase sino all’Ottocento per poi passare in Inghilterra e girare tutto il mondo sino alla sede attuale. Il soggetto era già stato affrontato nel 1652 con un’iconografia molto diversa in un dipinto ora alla National Gallery di Edimburgo.


Paesaggio con Ascanio che colpisce il cervo di Silvia (1682); Oxford, Ashmolean Museum.

Lorrain
Lorrain
Maurizia Tazartes
Claude Gellée (Chamagne 1600 circa - Roma 1682) era lorenese, da cui il nomecon cui era noto: Claude Lorrain o anche il Lorenese. Con il suo connazionalePoussin è uno dei molti pittori francesi (e non solo francesi) che nei primi decennidel Seicento si innamorano di Roma e dell’Italia, scelgono di viverci – affascinatidall’Antico ma anche dagli sviluppi innovativi che l’arte italiana andava elaborandoin quel tempo – e contribuiscono alla formazione e diffusione del Baroccoin Europa. In realtà da ragazzo ha una formazione da pasticcere, al punto che èconsiderato uno degli inventori della sfoglia dei croissant. Il nostro prossimodossier, ovviamente, racconta e analizza il suo indiscusso talento di paesaggista,uno dei primi a stabilire un nuovo genere di grande successo: il paesaggio fantastico,combinazione di scorci dal vero, marine, rovine, grandiosi edifici di formaclassicheggiante.